A 27 anni Antonio Maggio per il secondo disco ha deciso di metterci tutto l’amore che ha per il suo paese, le sue origini, la musica che ama. Su questi tre pilastri si regge L’Equazione, un album di 11 pezzi che ripesca nel repertorio cantautorale storico (una cover di Domenico Modugno, La Donna Riccia), le linee melodiche della nostra tradizione (con sguardo a metà tra Buscaglione e Celentano) e tanta allegria. “Io faccio testo e sottotesto, è una mia caratteristica” dice il protagonista riferendosi all’ironia delle sue canzoni, presentando il disco nel mezzo di un tour promozionale nei negozi (le date nel suo sito appena rilanciato: AntonioMaggio). Quello vero, live si farà da metà giugno in poi.
Hai scelto un titolo matematico, perché?
«Io andavo male a scuola in matematica, volevo votarmi al santo patrono di Lecce, Sant’Oronzo. Non volevo fare il concept album, lo lascio a chi ha più esperienza di me, penso che però il filo conduttore del disco sia la riflessione sulle difficoltà che possono diventare opportunità. Ho sempre un approccio positivo quando scrivo e ci tengo che resti così. Nel mio piccolo spero possa piacere quello che faccio.»
È la tua seconda prova, come ti senti?
«Dopo il successo di Sanremo dell’anno scorso che era andato oltre le aspettative più rosee è chiaro che avessi un po’ tensione. Mi dicono che il secondo album è quello delle conferme, quello più difficile. Non arriva temporalmente lontano dal primo e credo che se ho sviluppato di più la contaminazione con la ricerca, con l’elettronica, resistono ancora delle cose che mi hanno fatto conoscere al grande pubblico e che sono quelle che voglio fare, cioè il legame con la tradizione del canto italiano.»
La musica è evasione?
«Le persone hanno bisogno di quei tre minuti per evadere quando vogliono sentire una bella canzone. Secondo me il mio marchio di fabbrica è l’ottimismo e l’ironia e voglio che resti così. Detto questo, anche se nei ringraziamenti del disco scrivo che l’Italia è il paese più fico del mondo, nel singolo L’Equazione me la prendo un po’ con chi lo rovina, questo paese. Ma credo sia un ragionamento da prendere in linea generale.»
Ma quindi questa Italia ti piace o no?
«Mi piace il fatto che da tante situazioni brutte sappiamo sempre tirare fuori il meglio e fare delle genialate. Questa è una cosa molto italiana e a volte bisognerebbe studiare più la nostra storia per capire come la cultura e le idee italiane abbiano fatto da apristrada per il mondo. Al posto di buttarci giù, dovremmo imparare dalla nostra storia.»
Cosa ascolti in privato? Dalle canzoni che scrivi si capisce che sei molto legato all’italiano…
«Sì ci sono degli artisti che devi per forza sentire perché devi capire dove va il gusto musicale. Ma poi per l’80% io ascolto cose italiane, mi piace Cesare Cremonini, mi piace molto Adriano Celentano. Quando fanno paragoni tra i giovani e i mostri sacri della canzone mi spavento sempre. Però non è possibile guardare solo al passato. Io sento la responsabilità di proseguire l’evoluzione della canzone italiana, tenendo presenti i grandi che ci sono stati prima ma anche innovando. E questo secondo me si vede in alcune canzoni, nel mio piccolo Nell’Etere è una canzone di ricerca per quanto mi riguarda.»
È vero che questo pezzo era destinato ad altro?
«Sì lo avevamo presentato a questo Sanremo ma non ci hanno fatto sapere niente. Non so perché non sono stato preso pur avendo vinto lo scorso anno. Ma per me resta sempre un bell’obiettivo. Se ci fosse la possibilità lo rifarei l’anno prossimo. Per questa volta è andata bene, so di non poter vincere Sanremo ogni anno ed è una vita fatta di curve, alti e bassi. Dicevo che è andata bene perché ho avuto più tempo per fare il disco che volevo e usciamo ora con un progetto davvero completo.»
Come ti vengono dei testi così…inventivi?
«A volte mi sorprendo anche io lo sai? Diciamo che l’incipit viene di getto poi rifinisco le parti finali. Mi piacerebbe scrivere di più, magari in futuro un libro di favolette.»
Ti senti parte di una scena salentina?
«Io sono pugliese e sono attaccato alle mie origini, come dico in una canzone dedicata a un personaggio del mio paese Squinzano. Lui era Bruno e lo ricordo in Pirindiffi, cantata in dialetto, che era anche il suo soprannome. Era un pittore che viveva di poche cose, un tipo strano che nei paesi, come si sa, ha vita dura. Tanto tosta che alla fine un giorno ha deciso di prendersi il cuscino e coricarsi sui binari. Io ho immaginato che quella sera si fosse fatto la valigia e preparato per andare a fare un viaggio.»
Cosa pensi dei talent show oggi?
«Io sono uscito da X Factor in un momento in cui ovviamente ero diverso, e ogni scelta ha la ragione nel suo tempo. Con gli Aram Quartet abbiamo fatto un bel percorso e quando abbiamo deciso di separarci non nascondo cheè stato un salto nel buio per me. È facile oggi dire che è stata la scelta giusta, ma prima di scrivere la canzone che poi è stata il mio rilancio, Nonostante tutto, ne ho passati di momenti…poco piacevoli diciamo. Ho la consapevolezza che la vita è alterna, e questo lo voglio dire nelle mie canzoni. Ma la maturazione che ho avuto mi ha portato fin qui ed è stato bello così. I talent devono essere una tappa non un arrivo, secondo me. Ringrazio ancora Morgan oggi per quello che ci ha dato. Lui è un tipo particolare, dopo Sanremo mi telefonò alle 7 e mezza del mattino e non credendo fosse lui, gli riattaccai il telefono nel sonno. È un pozzo di cultura, rimanevo estasiato. È stata una formazione davvero bella. Chi è andato avanti, dopo le esperienze in tv, secondo me aveva le basi giuste.»