Un pubblico numeroso ed entusiasta ha accolto ieri sera la prima, al Teatro Bellini, del nuovo spettacolo di e con Paolo Rossi, L’Amore è un Cane Blu – Alla Conquista dell’Est (repliche fino a domenica 10; mer e dom ore 17:30, altri giorni ore 21:00; biglietti da 12 a 30 euro).
Lo spettacolo, scritto con Stefano Dongetti e Alessandro Mizzi e la supervisione di Riccardo Piferi, si presenta nella ormai collaudata formula del teatro-concerto, e ha come spunto la realizzazione di un film, che sarà effettivamente girato, e di cui rappresenta il momento più creativo e divertente (come annuncia un cartello in palcoscenico: “SIAMO IN PROVA”). Il testo parla di Amore, nel senso più ampio del termine: amore di coppia, certamente, ma anche amore per gli altri, nel senso politico, e amore per se stessi. In ogni caso, un sentimento difficile da ritrovare nella sua accezione pura, in un tempo in cui dominano ben altri dis-valori. Ed è singolare che, per parlare di come si sia trasformata la nostra società negli ultimi trent’anni, Rossi ambienta la sua storia – anzi, le sue storie – sull’altopiano del Carso, terra di confine, allo stesso tempo nostra e straniera, simbolo di un Est illusorio e dissoltosi come nebbia, cui tanti Italiani avevano guardato come emblema e speranza di un mondo più giusto. Ma l’Amore è appunto un cane blu, creatura magica e mitologica, che si ritrova in tante leggende di quelle zone, in una parola: utopia. Così, tra gabbiani famelici e maiali steineriani, funghi allucinogeni e vacche anarchiche autogestite, poesie di Ungaretti e citazioni shakespeariane, incontri inaspettati e discese agli inferi, Rossi traccia un quadro della nostra società nello stile che gli è più consono: unendo realtà e surrealtà, linguaggio aulico ed infimo, ma sempre con garbo ed intelligenza, in una satira più che altro allusiva e, proprio per questo, più incisiva e graffiante. Come quando, in un improbabile incontro con Berlinguer, lo rassicura che in Italia la questione morale è stata risolta alla radice: abbiamo abolito la morale. Ma lo sguardo del comico non è mai severo, semmai compassionevole, nell’accezione più alta del termine. Ed è qui che ci sovviene, forse, il significato più profondo di quel cartello che incombe sulla scena: siamo in prova.
A sostenere Rossi e accompagnarci in questo viaggio onirico, le belle musiche (non tutte originali, però) del Maestro Emanuele Dell’Acqua, eseguite dall’ottimo gruppo multietnico de I Virtuosi del Carso.
Divertente. E commovente.
Nota a margine. Paolo Rossi sembra aver trovato il modo di estirpare l’annosa piaga dei cellulari che squillano durante gli spettacoli. “Chi non spegne il telefono sarà individuato e diventerà il protagonista della serata”. Problema risolto.