Formazione classica chitarra, basso batteria e voce, testi mai banali, suoni non scontati, oggi, vi invitiamo a conoscere i KuTso. Giovanissima realtà pronta ad emergere nel mare della banalità della musica italiana con il suo linguaggio schietto e senza fronzoli, ma al contempo ricercato e ben strutturato. “Decadendo” (su un materasso sporco) è il loro album d’esordio, prodotto da 22mc (Metatron, Cosecomuni, 22R), è composto da 12 brani, molti dei quali hanno già girato in rete ottenendo ottimi riscontri di pubblico.
I kuTso sono: Matteo Gabbianelli (voce), Donatello Giorgi (chitarra), Luca Amendola (basso) e Simone Bravi (batteria).
Per i Kutso la parola d’ordine mi sembra di poter capire sia ironia, ma c’è una dose neanche residuale di denuncia vera e propria. Vi sentite interpreti di un disagio sociale tutto italico?
«Siamo interpreti di noi stessi e del nostro ego che ha dimensioni siderali. Non neghiamo che ci siano problemi contingenti in questa società, ma la nostra medicina è abbandonarsi ad un “sano egoismo” e liberarsi dalle ipocrisie relazionali che pervadono i rapporti professionali e sempre più spesso sconfinano in quelli amicali e sentimentali, rendendo l’interscambio tra individui un’unica grande presa per il culo.»
Non solo denuncia sociale, ma anche, se capite cosa intendo, denuncia musicale. Sbaglio oppure ho sentito una certa insofferenza rispetto alla banalità che alcune volte si riscontra nella musica leggera?
«Le nostre non sono denunce, ma riflessioni individuali sull’esistenza e il nostro modo di rapportarci col mondo esterno. Nello specifico, per quanto riguarda l’ambiente musicale, l’aspetto più evidente di ciò che viene chiamato “la scena” è l’intenzione sistematica di assecondare le mode, le tendenze e in generale tutto ciò che viene dall’Inghilterra e dall’America. La maggior parte delle proposte musicali, mainstream o indie che siano, scimmiottano fenomeni stranieri e ne copiano letteralmente lo stile e la composizione. La stampa e le testate specializzate sono corresponsabili ed incitano gli artisti a comportarsi in questo modo, dando spazio solo a ciò che ha un riferimento all’estero, solo a ciò che possa essere paragonato con qualcosa che sia già avvenuto al di fuori dello stivale; il più delle volte chi scrive di musica non è in grado di accorgersi ed apprezzare quelle proposte musicali che splendono di luce propria senza riferimenti diretti ad altro. Tutto questo fa sì che l’Italia sia un paese di serie B artisticamente parlando e non solo.»
Le vostre sono sonorità molto grintose, ma qual è l’ambiente musicale nel quale singolarmente siete cresciuti, cioè qual è la musica che vi ha accompagnato, e vi accompagna tutt’oggi?
«Tutti noi veniamo da estrazioni diverse, ma nei kuTso sicuramente l’appeal aggressivo è stato mutuato dal punk-hardcore italiano, ambiente in cui Matteo, il nostro cantante ha militato come batterista per anni. Nella nostra band confluiscono comunque influenze diverse che vanno dai Beatles a Giorgio Gaber, passando per Iggy Pop e Rino Gaetano.»
Avete riscosso un certo apprezzamento anche dalla critica musicale, vincendo diversi premi, quale tra quelli che avete portato a casa vi ha galvanizzato di più o del quale siete più soddisfatti?
«In realtà, a nostro avviso, non siamo stati ancora apprezzati a dovere. Abbiamo avuto delle gratificazioni, ma dobbiamo fare ancora molto. Sicuramente è stata una grande soddisfazione vincere Martelive. Durante le selezioni ci sentivamo come un “carrarmatorock” e quella volta non siamo stati smentiti dagli eventi.»
Se decideste di eseguire una jam session con un artista o un gruppo (anche quelli non più in attività) chi scegliereste? E per suonarci cosa?
«Stevie Wonder per suonare “Smells Like Teen Spirit”.»