“#CantaKettyPassa” è il titolo dell’ultimo lavoro discografico della giovane ed eclettica artista milanese Ketty Passa, leader della band Toxic Tuna. Un album dalle atmosfere pop, impreziosito da venature ska e reggae che vanta importanti collaborazioni. Una tracklist che aiuta l’ascoltatore ad apprezzare il lato positivo della vita, un percorso canoro di “autoguarigione psicologica” capace di mostrarci ciò che già crediamo di conoscere attraverso nuovi occhi e diverse prospettive.
Iniziamo facendo una domanda sul titolo di questo tuo nuovo lavoro. Evidente il gioco di parole, ma quando hai pensato di presentarlo sottoforma di hashtag?
«L’idea è nata la sera di un paio di anni fa. Dopo l’ennesima vasca di emozioni condivise in sala prove durante la scrittura del disco, mi sono ritrovata a scrivere su twitter “#CANTAKETTYPASSA”. In un secondo momento, rileggendo il post, ne sono rimasta colpita. Così ho pensato di unire un motto popolare vecchia scuola com’è “canta che ti passa”, rivisitandolo col mio nome d’arte e unendolo al cancelletto che rappresenta una nuova forma di scrittura multimediale. Il tutto rende perfettamente il mood di questo mio lavoro in cui, tra le sue mille sfaccettature ho cercato di unire presente e passato senza la benché minima paura di sbagliare.»
Nonostante i toni scanzonati e leggeri del cd, in tutte le canzoni c’è sempre un messaggio ben preciso. Sembra, inoltre, che la “fine di un amore” sia ciò che lega quasi ogni brano…
«Diciamo che “#CANTAKETTYPASSA” è nato come percorso di “autoguarigione psicologica”, necessario per superare situazioni e cambiamenti radicali che fino a pochi mesi fa hanno inevitabilmente destabilizzato la mia vita.
Perdere l’equilibrio però, apre le porte verso una nuova ricerca. Sono convinta che esorcizzare i propri turbamenti con le passioni, con ironia, senza fermarsi né deprimersi e senza aver paura di scrivere e condividere se stessi col mondo intero fa di un cantante un vero artista.
Ogni brano nasce da un nuovo approccio allo scavare, alla ricerca spasmodica verso qualcosa. Fino ad arrivare alla coscienza che il cambiamento è parte della vita stessa e la felicità, mai assoluta ma sempre a tempo determinato, arriva di pari passo con l’accettazione del primo. L’amore è il motore della mia vita: vivo tutto di cuore e il mio equilibrio dipende molto dalle energie di cui mi circondo.»
Ed ecco che, nonostante l’amore finisca, nonostante svaniscano le illusioni, non permetti mai che svanisca anche la speranza, che risuona infatti in ogni singola nota …
«Sono contenta arrivi la “diversa cromia” dell’amore e la profondità di quello che è stato il lavoro e il modo di scrittura di questo disco. Io avevo l’esigenza di raccontare una storia. Una storia che ognuno vive a suo modo e genera quindi altre storie
Nonostante i tanti racconti però, tutti i miei testi viaggiano in un’unica direzione. Credo che il filo conduttore di questo lavoro stia nelle parole unite da un ambiente anni 60 che accoglie l’italianità insieme al linguaggio popolare. L’approccio melodico unisce passato e presente in maniera costante, mentre nelle parole il metodo di scrittura guarda molto più ai grandi nomi della storia della musica cantautorale italiana. Il disco parla con grande malinconia, ma mai con depressione, anzi! La musica sottolinea ampiamente l’aspetto dinamico, positivo ed ironico della vita di tutti i giorni. Fermarsi e perdere la speranza sono due grandi errori, soprattutto in fase di lotta verso un cambiamento.»
Due i brani fuori dal coro: “Come devo vivere” e “Italia da bere” … Puoi spiegarci la loro genesi?
«Con questa domanda mi hai dimostrato di aver ascoltato attentamente e di aver colto il racconto di quello che sta dietro a questo disco e spero che ogni lettore qui abbia voglia di metterci lo stesso spirito. La risposta è molto semplice: sono 11 brani che parlano di amore verso qualcuno o qualcosa. Nel caso di “Come devo vivere”, il sentimento di cui si narra è quello tra genitori e figlio, quando quest’ultimo capisce di essere grande e indipendente per tutti, tranne che per il nucleo familiare. In “Italia da Bere” parlo dell’amore forte e viscerale che provo per il mio paese, i suoi profumi, i suoi paesaggi… ma per l’altrettanta delusione che sento da molti anni a questa parte sullo stato sociale e l’egoismo di massa e le menzogne su cui, a differenza di tanti altri paesi e forme di cultura, ci siamo seduti smettendo di lottare.»
Noi ti conosciamo come speaker, deejay, opinionista … ma chi è sul serio Ketty Passa?
«Il palco, l’interazione diretta, l’aspetto live della musica, questo mi diverte più di tutto. Questa è l’unica condizione per cui potrei fare a meno di tutto il resto. Non viceversa.
Voglio fare la cantante, poi voglio fare radio. All’ultimo posto credo ci sia la TV. Mi piacerebbe però poter utilizzare il piccolo schermo come mezzo di informazione, non per forza legato alla musica. Mi affascinerebbe sperimentare un approccio più giornalistico, d’altronde amo mettermi alla prova!
Detto questo, Ketty Passa è tutte queste passioni, seppure non tutte importanti alla stessa maniera. Come disse Pirandello, “Uno, nessuno, centomila”: non si può pretendere di essere una persona sola. Più si nasce sensibili caratterialmente, cervellotici e profondi, più sono i ruoli di se stesso che ci si trova ad interpretare. Oppure puoi metterti a tavolino e studiare un unico prodotto mediatico che funzioni e faccia guadagnare te e chi ti sta intorno, a discapito del “valore artistico”. Sono scelte, io non potrei che stare nella prima delle due nicchie. Ad ognuno il suo posto nel mondo.»
Tra le tante esperienze formative per la tua carriera artistica e anche semplicemente per la tua persona … resta quella che hai fatto a “Tamarreide”. Come definisci la scelta di partecipare a quel tipo di programma? Se potessi tornare indietro lo rifaresti?
«Se tornassi indietro sapendo già a cosa sarei andata incontro direi proprio di no. Non lo rifarei, e lo dico con un’enorme tranquillità nel cuore poiché lo stesso regista del format è stato immediatamente informato di questo. E quest’anno pare abbiano fatto un Director’s Cut sul programma, a due anni dall’uscita, dal quale ho continuato a dissociarmi in maniera schietta e senza mezzi termini. E’ stata, lavorativamente parlando, l’esperienza peggiore della mia vita.
Difficile e poco soddisfacente. Conoscendo il regista, ho creduto che sarebbe stata una situazione totalmente diversa, che avrei fatto parte di una docu-soap (da laureata in comunicazione so bene cosa sia, e Tamarreide ne è ben lontana purtroppo) in cui 8 persone, tutte diverse tra loro, avrebbero portato il loro mondo street all’interno del piccolo schermo. Speravo in altre tipologie di persone e, per come mi era stato presentato, credevo sul serio avesse un quid più intelligente e innovativo. Speravo in un rimborso spese quantomeno, ma dato il lato innovativo apparente della cosa (da copione), ho pensato valesse la pena andare gratis. E invece, arrivata a girare a Marzo le puntate che poi sono andate in onda a Luglio 2011, mi sono ritrovata in una situazione imbarazzante con personaggi totalmente distanti da me e dai miei valori e i miei credo lavorativi. E vedere che le poche cose interessanti inerenti alla musica girate con me siano poi state tagliate in fase di montaggio, non può che farmene parlare così oggi. Non mi è interessato il giudizio delle persone che hanno detto peste e corna a riguardo, soprattutto perché le persone sono sempre troppo brave a giudicare dal loro piccolo spazio davanti a un monitor senza metterci la faccia nelle cose. Io imparo anche dalle esperienze brutte e cerco sempre di uscirne a testa alta. La cosa che mi ha fatto sdegnare è stata la presa in giro e la poca considerazione che ho ricevuto dagli addetti ai lavori come persona prima che come personaggio. Capito l’errore, mi sono dissociata da ogni forma di lavoro che mi venisse proposta dopo il programma, comprese le classiche serate “per guadagnare”. E credo che rimanendo coerente con questo, il Karma mi abbia ripagata portandomi l’anno dopo da Piero Chiambretti che proprio poiché “diversa” dagli altri, si è incuriosito sul mio personaggio e mi ha coinvolta nel suo programma su Italia 1. Un’esperienza durata poco, ma che è stata tuttavia intensa e meravigliosa.»
Grazie al tuo percorso musicale, sei da tempo impegnata nel sociale. Puoi spiegare ai lettori in cosa consiste e quanto ti appaga personalmente il progetto Rezophonic?
«Rezophonic è un progetto di Mario Riso che tramite concerti e vendita cd manda i fondi in Kajaido, zona del Kenia in cui si costruiscono pozzi d’acqua tramite AMREF e Icio De Romedis. E sono felicissima di dire che dal 2012 esiste anche “Osotua”, il mio pozzo personale profondo 23 metri che disseta 5 famiglie e 3 mucche. Io ne faccio parte dal 2010 come presentatrice e cantante, e oltre all’aspetto sociale che arriva in prim’ordine la caratteristica geniale è quella di mettere sullo stesso palco artisti molto affermati nel settore con musicisti e cantanti nuovi, tipo me. Questo è un grande merito che mi sento di dare a Mario Riso, senza il quale tutto questo non esisterebbe.»
Il cd è appena uscito, quale sarà la prossima mossa? Quali sono insomma i progetti futuri?
«I progetti a lungo termine mi hanno sempre terribilmente spaventata, per il semplice fatto che creano aspettative e l’imprevisto, sempre dietro l’angolo, arriva a gamba tesa spesso a disilludere un sogno o a frantumare un progetto. Per questo motivo a questa domanda rispondo dicendo che nei prossimi mesi spero di poter suonare il più possibile live con i Toxic Tuna.
La vita live è quella che un artista deve coltivare, perché è li che dimostra di avere tutto quello che serve per lavorare come tale e soddisfare se stesso e il pubblico. La prima volta che sono salita su un palco ho sentito quello che ho provato la prima volta che ho incontrato gli occhi del mio primo rapporto di coppia: Amore, Adrenalina. Mi tremavano le gambe, sudavo freddo, ero insicura perché pensavo al giudizio altrui. Ero nuda davanti a un’altra entità. Che sia uomo o un pubblico davanti a un palco, il risultato non cambia. Per questo motivo, coi Toxic Tuna cercheremo di creare uno spettacolo interattivo, fatto di coinvolgimenti con il pubblico stesso, ma anche unendo varie forme d’arte.
Di più, per il momento, non posso anticipare. Vi invito a venire sul mio sito personale, per scoprire le nuove date previste e poter condividere qualcosa del nostro spettacolo. #StayTuna, ma soprattutto… #cantakettypassa!»