La terza serata della XIX edizione del Pomigliano Jazz Festival inizia all’improvviso. Kenny Garrett non si fa aspettare: per lui non esistono i canonici quindi minuti di ritardo. Per il musicista di Detroit conta solo raggiungere il palco suonando e abbracciando il suo sassofono. Ed è così che inizia la magia.
Il sassofono di Garrett evoca un groviglio di voci che si rincorrono e intersecano senza accavallarsi mai, fin da subito ad accompagnarlo nella presentazione del suo ultimo lavoro “Pushing the World Away” ecco fin dal primissimo brano il batterista Mc Clenty e il percussionista Rudy Bird che accompagnano le note del sax e poi della tromba di Kenny a ritmi rallentati, accelerati e con slittamenti simili ai battiti del cuore.
Insieme a questi tre artisti, per completare in bellezza e perfezione il Quintet il pianista Vernell Brown e il contrabbassista Corcoran Holt.
Vederli suonare e ammirare la loro complicità rende lo spettatore quasi disorientato: Garrett e il suo sax restano l’unica bussola.
Brano dopo brano, improvvisazione dopo improvvisazione regalano al pubblico emozioni quasi contrastanti: le note del Kenny Garrett Quintet sono al limite dell’immaginazione.
Da sottolineare l’eleganza dei corpi di tutti e cinque gli artisti, la loro danza ininterrotta e le loro mani che sfidano qualsiasi limite e lo fanno con la semplicità tipica dei bambini. Mani che non hanno smesso di stupirsi e stupire, mani che giocano con altre mani e sfiorano da lontano le dita di ogni singolo spettatore.
Partecipare a un concerto di Garrett rende ogni singolo ascoltatore assuefatto dal desiderio, vien da pensare alle persone che non ci sono e che avremmo voluto accanto per condividere questa particolare serata, queste note che cullano come fossero le braccia di una madre, che ci indicano la strada trasformandosi in vellutato tappeto.
Risulta quasi impossibile non credere in un Dio, si resta inglobati anche in un delirio di onnipotenza: il miracolo che avviene sul palco è la dimostrazione tangibile che ognuno di noi può fare qualsiasi cosa voglia.
Dopo un’ora e mezzo di concerto tutto il pubblico ha alzato, almeno una volta gli occhi al cielo. Garrett è la stella polare, il satellite intorno a cui tutti stanno ruotando, ma si sa che l’uomo ragiona e agisce per istinto: tutti guardano il cielo per cercare di “vedere” dov’è che svanisce la magia, dov’è che vanno a finire quelle note.
Non c’è però tempo per altre riflessioni su ciò che realmente ascoltiamo e ciò che pensiamo di ascoltare: Kenny Garrett chiama accanto a sé tutto il pubblico, fa salire una parte degli spettatori con lui sul palco ed ecco che si inizia a ballare, simultaneamente.
Sax e voce di Garrett coinvolgono anche i più restii, i più timidi, tutti quelli che solitamente preferiscono restare dietro in silenzio. Un unico coro accompagna le note del quintetto, alle 23 in punto Garrett saluta il suo pubblico. Il concerto però non è finito: le Basiliche Paleocristiane di Cimitile sono pregne di jazz, rimandano al sassofonista che non è più visibile, ma non vuol dire che non c’è.
Si continua a cantare, tutti insieme. Il pubblico aspetta e aspetterà per molto Garrett, lo aspetta anche se sa che non tornerà più sul palco.
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