Julieta è il nuovo e stupendo film di Pedro Almodóvar che trae spunto dai tre racconti (Fatalità, Fra poco, Silenzio) di Alice Munro inclusi nella raccolta dal titolo In fuga del 2004. Il film inizialmente doveva essere girato a New York, in lingua inglese e con protagonista Meryl Streep ma il regista, non sentendosi sicuro della lingua, ha preferito poi spostare tutto in Spagna e chiamare due attrici per il ruolo di Julieta: la bellissima Adriana Ugarte e Emma Suárez, entrambe perfette. Julieta è un film karmico, tutto procede attraverso un disegno misterioso, preciso e, al tempo stesso, folgorante, acceso, impetuoso come solo certi dolori improvvisi sanno essere. Ma tutto torna e, per fortuna, alcuni cerchi si chiudono. Potrebbe essere davvero il continuum ideale del suo immenso capolavoro Tutto su mia madre. Anche questa volta, al centro del film, il rapporto filiale: una madre e una figlia rappresentate nel loro legame stretto e, per certi versi, soffocante. Le incomprensioni, i silenzi (la pellicola doveva intitolarsi proprio Silenzio perché, questo, costituisce l’elemento cardine che guida le peggiori cose che accadono alla protagonista principale femminile), le azioni mancate mettono distanze e non colmano le crepe di muri ormai troppo alti. Da qui, la decisione della figlia di abbandonare la madre dall’oggi al domani. L’allontanamento per chiudere col passato, per serrare, in malomodo, qualcosa che, se non affrontato, rimarrà comunque lì, netto, intonso e perfettamente scontornato. Poche volte è stato trattato l’abbandono da parte del figlio e, paradossalmente, questo appare più forte e più doloroso. Non siamo abituati, ci sentiamo generalmente ancora così tanto figli che ci sembra inimmaginabile abbandonare volontariamente questa certezza che ha radici in archetipi lontani. Certo, tutto è possibile ma a quale prezzo? Almodóvar ce lo spiega perfettamente, ci accompagna verso il dolore di queste donne ma sempre alla sua maniera ritagliando immagini efficaci, dialoghi superbi e citando l’arte nell’arte senza mai ostentare. Alla sua musa Rossy De Palma ritaglia il ruolo meschino della governante che ricorda un’altra folle governante, la signora Danvers, di Rebecca, la prima moglie di hitchcockiana memoria. Insomma, genio come sempre.
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