Inevitabile accomunare l’artista Veronica Pivetti a simpatia e ironia, allegria e vivacità, ma nella sua opera prima come regista “Né Giulietta, né Romeo”, vediamo una Veronica totalmente differente. Un film divertentissimo con battute sagaci e che in un turbinio di confessioni sull’omosessualità del protagonista, il sedicenne Rocco (Andrea Amato) si affrontano i problemi che ne scaturiscono, il padre che non ne vuol sentir parlare, la madre lo vuole portare dal psicoanalista, la nonna viene tenuta all’oscuro, l’amico che lo rifiuta. Scritto a quattro mani con Giovanna Gra, Veronica Pivetti considera questo film un figlio e lo sta portando in giro per i festival e le scuole di tutta Italia e che, una volta per tutte, questa assurda omofobia tra i ragazzi adolescenziali non venga a scemare. Abbiamo intervistato Veronica Pivetti in occasione della sua ospitata al Social World Film Festival di Vico Equense, dove la “giuria critica” della kermesse cinematografica le ha conferito un premio per la sua opera prima “Né Giulietta, né Romeo”.
Nel film “Né Giulietta, né Romeo”, nei dialoghi fatti dagli altri attori ho visto te, la tua verve e simpatia, ma non ho visto te nel personaggio che interpreti…
«Il mio personaggio non è tanto simpatico. È una mamma che si dice poverina, molto aperta, progressista, senza pregiudizi, mentre invece n’è piena. In questo film, in realtà, sono un bersaglio sia per mio figlio, sia per mia madre, però, alla fine si salva per un motivo, perché è presente. Mentre il padre se ne frega di questo figlio, non discute. Com’è all’inizio così è alla fine del film, un vero ottuso e le persone ottuse non cambiano mai. Questa madre fa un sacco di gaffe, ha molte mancanze però alla fine insegue il figlio, lo va persino a recuperare a Milano, dove scappa per vedere il suo idolo, insomma, diamole almeno il premio per la tenacia. I personaggi veramente spiritosi sono gli altri, quello della nonna è sicuramente il più spiritoso ma anche il figlio e gli altri ragazzi. Io vengo presa in giro da tutti, ciò mi diverte molto, negli altri ruoli che ho fatto sono sempre stata quella con la battuta sagace, stavolta sono in coda, ce l’hanno tutti gli altri più di me».
Dialoghi anche nerd, tipo la battuta di Rocco, “Wendy, sono a casa” (citazione da Shining) o con il richiamo al giovane Holden. Un linguaggio molto ricercato che potrebbe penalizzare una fetta di pubblico…
«Il pubblico è trasversalissimo di questo film. La prima volta che facemmo una proiezione con ragazzi di dieci anni, ci dicemmo: Oddio, come faremo? Poi si sono divertiti, ed è questo l’importante. L’altro giorno alla proiezione al festival alle Grotte di Castellana c’erano tanti ragazzi in sala cinematografica, ma anche bambini che si sono divertiti, magari non hanno colto la citazione del giovane Holden, ma chi se ne importa. Uno le scrive, non bisogna limitarsi mai, le citazioni può coglierle una persona sola, ne sarà contenta, ma va bene così. Anch’io quando vado al cinema alcune cose non le colgo e poi me le fanno notare. Tante cose anche se si perdono è meglio, perché vuol dire che c’è ricchezza di dialoghi. Abbiamo avuto un pubblico di ragazzi estremamente attento, ma anche di adulti. È un film molto trasversale in cui c’è la generazione dei quindicenni, quella dei cinquantenni e poi dei settantenni. Abbiamo cercato di pigliare più generazioni possibili, uno scontro continuo di generazioni».
Non hai apportato nessuna censura a questo film?
«Al film no, assolutamente. Per me va bene così».
Durante questi tour per le scuole c’è qualcosa che ti hanno detto e che ti è piaciuto moltissimo o ti ha infastidito?
«Nulla di fastidioso. Questo film lo hanno visto ragazzi di tutte le zone d’Italia e di tutti i generi, in scuole ricche e povere, abbiamo trovato una grande partecipazione e un grande desiderio dei ragazzi di parlare della loro sessualità senza essere censurati ed è per me una grande cosa. Ad ogni modo, ricordo in particolare una ragazza a Milano che durante un dibattito, volle assolutamente dire a tutti che era stata cresciuta da uno zio trans. Era stato per lei padre e madre, la persona più importante della sua vita. Ha avuto un grande coraggio a dirlo di fronte a trecentocinquanta compagni. Una dichiarazione del genere non è cosa da niente, perché, intanto presi dall’onda dell’emotività del dibattito e del film, può essere più facile esporsi, ma poi passano i giorni e va a finire che ti possono additare, prenderti in giro o escluderti. Può succedere di tutto, l’omosessualità è un argomento sempre delicato e scivoloso e in questo Paese è difficilissimo. Ci sono molti ragazzi e ragazze coraggiosissime che hanno detto di essere omosessuali. In Puglia, una ragazza disse: “In questo cinema ci sono un sacco di professori che non hanno le palle di dire che sono loro i primi a discriminarci”. Non è facile dire questo. La prima cosa che ho pensato, ora questa la bocciano. Su questo argomento sempre delicato abbiamo sentito un sacco di cose, ma di dissidenti non me ne ricordo, sicuramente ricordo persone in imbarazzo di fronte a questo tema e questo lo metto assolutamente in conto».
Come sei approdata alla regia?
«Questo film nasce circa dieci anni fa. Mi sono avvicinata alla regia, dopo qualche anno, con dei cortometraggi e mi è piaciuto. A un certo punto, mentre cercavamo un regista per questo film, mi sono detta facciamo due più due, ho un ruolo che mi piace molto, voglio fare la regia, proviamoci. Poi a pochi giorni dall’inizio delle riprese, il produttore ci abbandonò e ci trovammo in difficoltà, infatti, il film è uscito nelle sale, in tutta Italia, con solo diciassette copie, è come non essere distribuite, un’uscita fantasma. Nonostante siano passati molti anni da quando fu scritta questa storia, come regista sono molto contenta che questo tema sia sempre molto caldo, come cittadina italiana un po’ meno, perché i diritti sono molto lontani a venire, però per quanto riguarda la vita del film credo che solo per gli abiti passerà di moda, ma fra trent’anni temo sarà sempre molto scottante il tema, perché non si è risolto tanto».
Avete avuto anche il patrocinio di Amnesty International…
«Amnesty International ci chiese di vedere il film, avevamo appena finito di montarlo. Noi rispondemmo che non era un tema di cui solitamente si occupavano, poiché loro trattano di cose molto più dolorose e drammatiche, questa è una commedia. Ma loro incuranti insistettero e alla fine della proiezione furono molto contenti e ci ringraziarono anche perché per una volta tanto avevano riso, affermando che “questo è un film che parla di diritti umani. Ci siamo molto divertiti e ci piace com’è raccontato”. Ed è la prima volta in assoluto che Amnesty patrocina una commedia ed è per noi motivo di grande orgoglio. Con loro abbiamo organizzato diverse proiezioni e abbiamo un grande sostegno anche dall’AGeDO (Associazione Genitori, Parenti ed Amici di Omosessuali) con la quale stiamo facendo un bellissimo percorso, organizziamo moltissime proiezioni per le scuole».
Avete trovato degli sbarramenti?
«Ripeto, da parte dei ragazzi abbiamo trovato una grande partecipazione ed interesse, sono molto più avanti degli adulti, però anche molti professori sono stati aperti a questo tema, anche se non sono mancate le difficoltà. Anche Amnesty è stata molte volte bloccata. Fanno diverse campagne nelle scuole contro il bullismo omofobico, nel film come argomento è sfiorato, conosciamo benissimo i danni e i drammi che scatena. Amnesty con queste campagne fa diversi incontri, rilascia delle pubblicazioni, parla con i ragazzi di questo argomento, ma più volte sono stati accusati di diffondere l’omosessualità nelle scuole».
Lo vedremo un giorno in tv, al posto dei soliti Pretty Woman e Ghost?
«Tenteremo, ma non sappiamo come, perché, quando. È stato visionato dalla Rai e ci hanno già detto tutti i tagli da apportare facendolo diventare un cortometraggio. Io non voglio togliere manco una virgola, non perché penso sia intoccabile, ma secondo me dice quello che deve dire. Vogliono togliere tutto l’inizio con le parolacce. La scena, di cui sono molto orgogliosa, perché ne abbiamo girato dodici, con la macchina da presa che gira intorno ai ragazzi quando parlano degli ovuli. No, non si può parlare che la ragazza si vende gli ovuli. Via quella scena. Ci hanno mandato la lista dettagliata. Chiaramente su Raiuno, in prima serata, non andrà mai, ma a me non me ne frega niente. Andrà su RaiMovie dopo la mezzanotte? Pazienza. Non ci guadagneremo molto, anche se il film ci è costato moltissimo, ma sono contenta che ha dato lavoro a settecento persone, compreso le comparse».
Cosa farai adesso?
«Sto finendo di scrivere, sono oltre la metà del mio secondo libro, ne ho già scritto uno nel 2012, Ho smesso di piangere, e ci lavorerò quest’estate. Dovrei finirlo per ottobre e ci sto lavorando da molto tempo. Continuerò a portare in giro questo film sia negli altri festival sia nelle scuole, e, verso novembre o dicembre, inizierò a girare la settima stagione della mia professoressa Camilla Baudino in “Provaci ancora Prof!”. Da poco ho finito di girare in Puglia “La cena di Natale”, il nuovo film di Marco Ponti con Riccardo Scamarcio, Laura Chiatti e Michele Placido».