
ph Gabriele Cozzolino
Pippo Mezzapesa, dopo il suo esordio nel 2001 con il cortometraggio “Lido Azzurro” e nel 2003 con “Zinanà”, con il quale ha vinto il David di Donatello, non si è più fermato, continuando a farsi strada nel mondo della cinematografia. Il regista e sceneggiatore pugliese, fa il suo esordio con la docufiction “Pinuccio Lovero – Sogno di una morte di mezza estate”. Altri riconoscimenti per Mezzzapesa non tardano ad arrivare per il corto “L’Altra Metà”, che riceve le candidature al David di Donatello e al Globo d’Oro e si aggiudica una menzione speciale per la regia ai Nastri d’Argento. Nel 2011 scrive e dirige “Il paese delle spose Infelici” e nel 2018 “Il bene mio”, uscito lo scorso ottobre nelle sale e presentato alle Giornate degli autori all’ultima Mostra del cinema di Venezia. Il film con protagonista Sergio Rubini, racconta quanto sia importante tenere vivi, non solo i ricordi ma anche i luoghi che sono stati colpiti da disastri ambientali o da svuotamenti dovuti ad emigrazioni. Abbiamo intervistato Pippo Mezzapesa in occasione delle Giornate Professionali di Cinema a Sorrento.
«Dopo “Il Paese delle spose infelici” è uscito il secondo lungometraggio “Il bene mio”.
«Il bene mio nasce da una passione profonda che ho per i luoghi marginali, i luoghi traditi. Ed ho pensato che non ci fosse nulla di più tradito di un paese fantasma, abbandonato dalla propria comunità dopo un terremoto che l’ha distrutto. Questo progetto è nato anche dalla passione che ho per i personaggi marginali e gli ultimi rimasti, quindi ho coniugato la voglia di raccontare questi due elementi ed è nata la storia di Elia, l’ultimo abitante di Provvidenza, una sorte di custode della memoria. Un personaggio che contrariamente al resto della comunità è convinto che non ci possa essere un futuro e un presente disperdendo il passato.
Il film è stato girato ad Apice, paese in provincia di Benevento, disabitato dal 1980 e Gravina. Come hai scelto queste due location?
«È sempre molto difficile scegliere una location, soprattutto quando si passano mesi a sviluppare un progetto e a scrivere una sceneggiatura. Mentre scrivi ti ritrovi a vivere dei luoghi, che potrebbero anche non esistere. La scelta è sempre molto lunga e particolare, anche perché ci tengo molto a scegliere la location giusta per la mia storia. Ho visitato tutti i paesi abbandonati da Roma in giù e ce ne sono tanti, alcuni di una bellezza struggente. Alla fine ho trovato Apice, praticamente un miracolo perché è stato come aver ritrovato quello che avevamo scritto nella sceneggiatura, ovvero le strade, i luoghi, ma soprattutto la magia che avevamo immaginato. I luoghi abbandonati hanno un’anima particolare, hanno una voce. Oltre ad Apice abbiamo girato a Gravina in Puglia. Ad Apice, essendo un paese inagibile abbiamo potuto girare solo gli esterni, mentre a Gravina abbiamo girato il resto delle scene».
Il titolo è nato da una canzone?
«È ispirato a una canzone. Molto complesso è trovare i luoghi, ma lo è ancora di più trovare i titoli. I titoli devono racchiudere un po’ tutto. Dopo vari titoli che ci sono stati in corso d’opera, è riemersa alla memora questa canzone di Matteo Salvatore, un cantore del foggiano scomparso nel 2005. La canzone parla della nascita di un amore tra due ragazzi, quindi mi è sembrato bello dare il titolo di una canzone che parla della nascita di un amore a un film che parla di un’interruzione dell’amore di Elia nei confronti della moglie, ma anche di una comunità nei confronti del proprio paese».
Hai conosciuto realmente un uomo come Elia?
«Il personaggio di Elia è nato spontaneamente, non è ispirato a qualcuno realmente vivente, ma nelle ricerche della location ho trovato diversi ultimi rimasti, diversi personaggi che sono dei baluardi di questi fantasmi. Ce n’è uno a Roscigno nel Cilento, un barbiere nella stessa Apice. Chiaramente parlando con ognuno di loro ho ritrovato degli aspetti di Elia, che mi sono serviti per arricchire il personaggio di alcuni elementi che mancavano».
In questo periodo stai scrivendo una nuova sceneggiatura? C’è un altro progetto in cantiere?
«I film sono come i figli, soprattutto all’inizio vanno seguiti, accompagnati, vanno curati, ed è quello che sto facendo adesso con “Il bene mio”. Contemporaneamente sto sviluppando un altro progetto che avrà un stile completamente diverso da “Il bene mio”».
Ci sono delle critiche in particolare che ti hanno lusingato o infastidito?
«Ci si mette a nudo quando si racconta una storia, quando si realizza un film, quindi ci sono persone che veramente hanno amato questa pellicola. Le critiche sono state molto positive in generale. Sicuramente ci sono anche persone a cui il film non è piaciuto, ma naturalmente non si può piacere a tutti. Nonostante tutto devo dire che da Venezia in poi, la reazione del pubblico è stata sempre molto calorosa e positiva. Sono stato molto soddisfatto di una presentazione in particolare che è stata quella al Nuovo Cinema Paradiso ad Amatrice. Un’anteprima nazionale, dopo Venezia, che mi ha fatto tremare le gambe, perché presentare un film del genere ad una comunità che sanguina ancora, non è stato semplice. Devo dire, però, che mi sono trovato di fronte a una comunità che è ancora capace di emozionarsi. Sono stato accolto benissimo».
Com’è stato dirigere Sergio Rubini?
«È stato Elia dal primo momento. Questa storia è stata scritta praticamente per lui. È un privilegio riuscire a lavorare con un attore che hai pensato ed immaginato in fase di scrittura, questa è una cosa che non capita spesso. Sul set c’è stato un continuo confronto tra di noi per creare un personaggio che avesse una forza, una solarità, una gioia di vivere e rivolesse la vita intorno a sé. Rubini è stato l’attore ideale per me».