Dopo l’uscita dell’ultimo lavoro discografico “Mozarella Nigga”, Capone & BungtBangt tornano con il nuovo singolo e video “WhiteBlack”, un brano dal testo diretto, semplice e allo stesso tempo anche ironico. Lo storico gruppo, capitanato dal percussionista e cantante Maurizio Capone, attraverso la sua musica suggerisce un modo di pensare aperto e senza discriminazioni con un linguaggio attuale ed una strumentazione innovativa. Diversi sono i progetti che vedono impegnati Capone & BungtBangt. Ne abbiamo parlato con Maurizio Capone.
Riaccendere la memoria per illuminare il presente, questo è lo spunto creativo che ha dato vita a WhiteBlack, il vostro nuovo singolo. Ce ne vuoi parlare?
«È stata una scelta viscerale, il desiderio di dire la nostra su un argomento attualissimo ed inquietante. Come si può dimenticare che noi italiani siamo stati migranti e che tutt’ora in alcuni paesi veniamo discriminati ed associati agli africani, che per me è in realtà un grande complimento visto che l’Africa è la mamma dell’essere umano e della musica! La musica ha il grande potere di parlare al cuore, e questo è un argomento di cui bisogna parlare perchè ci hanno preso in giro, il problema non sono i migranti ma chi li strumentalizza a fini politici con crudeltà lasciandoli affogare a mare. Io questo non lo posso accettare ed il modo migliore per dirlo a tutti mi è sembrato quello di parlare dei nostri nonni che hanno vissuto una condizione molto simile».
Oltre a un album “Mozarella Nigga” è un vero e proprio progetto? Com’è nata l’idea e come si è evoluta?
«Sì, la questione migranti è molto legata al problema del razzismo, a seconda dei momenti storici i razzisti travestono il loro suprematismo con argomenti contingenti, spesso fake news, per portare acqua al proprio mulino. C’è un’interessante filo rosso che lega noi musicisti napoletani, tutti sentiamo una grande affinità con l’Africa, ad esempio Pino Daniele si definiva “nero a metà”. Spesso nelle interviste i giornalisti mi chiedono come mai sentiamo questa affinità? E allora ho cominciato una ricerca, per capire perché noi napoletani, più dei siciliani, dei calabresi, o di altri popoli più vicini geograficamente all’Africa ne sentiamo l’appartenenza. Così mi sono imbattuto nelle definizioni offensive che venivano date ai nostri emigranti ed ho trovato questa parola Mozzarella Nigger (che poi ho contratto in Mozzarella Nigga) che mi ha dato una spiegazione. Il nostro approccio spesso leggero ai problemi della vita, la nostra solarità, musicalità e coesione identitaria vengono evidentemente viste dai popoli nordici come caratteristiche molto simili a quelle del popolo africano. Devo dire che questa percezione all’estero è estesa a tutti gli italiani e quindi mi è sembrato il momento di far partire un movimento di pensiero per stimolare una sana visione della realtà e cioè che siamo tutti africani, avvalorato anche dalle dichiarazioni di illustri genetisti che ricordano ai più ignoranti che l’origine dell’umanità è l’Africa è che anche il più biondo dei biondi ha nel dna geni africani, che disdetta pare che la razza pura sia quella africana ed i bianchi siano i meticci!»
“Mozzarella Nigga” è il vostro sesto album uscito lo scorso novembre, un lavoro con 15 brani che vanta la collaborazione di diverse special guest. Cosa rappresenta questo nuovo album?
«Mozzarella Nigga è stato l’album del nostro ritorno discografico dopo otto anni di pausa. Quindi è a tutti gli effetti una ripartenza, specialmente per me è del mio modo di scrivere. Per un compositore ci sono periodi di riflessione dove bisogna trovare il senso dello scrivere. Noi non facciamo dischi se non c’è una urgenza compositiva. Facciamo tanto live, io sono in perenne movimento come ambasciatore di creatività sostenibile per questo siamo sempre in movimento e decidere di fare un disco è una scelta che ha bisogno di tanta determinazione. Credo che Mozzarella Nigga sia un disco molto sentito, desiderato e con un pensiero a monte molto intenso. È un figlio desiderato quindi molto amato, i brani hanno ricevuto una bellissima accoglienza dai più giovani che sono il nostro obiettivo primario. Parlare alle nuove generazioni è sempre stato il mio obiettivo anche perché mi piace essere un’avanguardia da quando faccio questo mestiere, scandagliare i linguaggi più innovativi e sapere di essere amati dai liceali è quanto di più emozionante perché significa che nonostante l’età anagrafica sia diversa riusciamo a parlare la stessa lingua. La musica racconta i cambiamenti del tempo ed io mi sento sempre dentro al mio tempo, non mi interessa fermarmi al passato, guardo sempre avanti».
Un disco di quindici brani in cui oltre ad essere autore e compositore, sei anche produttore artistico ed arrangiatore.
«Come dicevo questo disco è il mio risveglio come autore e sound designer quindi è stato importante che ne fossi il motore da tutti i punti di vista. Dovevo trasmettere il mio pensiero anche sulle scelte sonore, per questo ho voluto produrlo in prima persona. Mi piace molto collaborare ma in questo caso dovevo fare da solo, per ritrovarmi e per trasmettere a tutti la mia idea, mie compagni compresi. E credo di esserci riuscito, oggi siamo molto più coesi ed il fatto che la musica di WhiteBlack sia firmata da tutti e quattro ne è la prova».
Utilizzate strumenti con materiali di riciclo. In questo album ci sono nuovi strumenti che avete adoperato?
«Si qualcosa di nuovo c’è sempre, in particolare da qualche anno ho inventato il Tastieker che è una tastiera di computer, ovviamente non funzionante, che svuoto del suo contenuto e che diventa uno strumento ritmico molto efficace. È nata per risolvere il problema di avere strumenti per tutti i partecipanti quando vado nelle scuole a fare i laboratori. Le scuole nei loro depositi hanno tante di queste tastiere rotte che possono solo essere buttate. Invece in questo modo vengono riutilizzate e visto che ne hanno tante si riesce a dare uno strumento ad ogni studente».
I testi sono in italiano, napoletano, inglese, per comunicare in modo universale nel quale le lingue superano i confini territoriali…
«Amo le lingue, tutte le lingue, ovviamente di quelle che parlo ne sono più padrone quindi mi oriento su queste tre, ma a volte mi piace usare anche lo spagnolo e comunque mischiarle è un modo per restare meticci, che secondo me è alla base della creatività innovativa».
Oltre alla musica anche i laboratori sono diventati un punto di riferimento per le zone a rischio. In questo periodo stai curando un altro progetto?
«Quest’anno ho dovuto scegliere tra le tante richieste, faccio due spettacoli diversi per il progetto Arrevuoto, un laboratorio annuale in una scuola elementare di Qualiano, in provincia di Napoli e tanti altri workshop intensivi. Ormai ho la fila di presidi ed insegnati che mi vogliono nelle loro istituti. È bello poter entrare nelle scuole per trasmettere un modo diverso di guardare le cose. Per tutta la vita ho scelto una strada da indipendente e non allineata, il fatto che le istituzioni mi ritengano un esempio dimostra che i tempi sono cambiati, certa creatività “anarchica” può trasmettere un approccio più adeguato al mondo che è in continua evoluzione. Nei miei laboratori si parla di ambiente, legalità, antirazzismo, rispetto ed uguaglianza ma senza moralismi. Anzi partendo dal caos che ci circonda il mio sforzo è di guidare i ragazzi ad armonizzare le contraddizioni, a trovare un posto unico e personale nella società senza sottomettersi ma scegliendo il proprio percorso per raggiungere una consapevolezza che potrà servire in tutte le esperienze della vita futura. Tutto questo attraverso la grande metafora della mia strumentazione che da spazzatura si trasforma in strumenti di grande qualità».
“Mozzarella Nigga” è anche un docufilm, diretto da Demetrio Salvi, in cui ti vediamo protagonista. Com’è nata l’idea?
«Questa è stata un’altra delle avventure nate per passione, un’intesa umana e l’urgenza di raccontare una Napoli diversa ci ha unito in questo viaggio che continua e che ci ha portato in tanti festival ed ancora ci riserverà sorprese. Stiamo cercando anche una proiezione a Napoli e nelle principali cotta italiane».
Il 9 Maggio riceverai il “Premio Felicia e Peppino Impastato”. Cosa rappresenta per te questo riconoscimento e in generale quanto sono gratificanti i premi per te?
«È stata una grande ed inaspettata sorpresa, Peppino Impastato è uno dei simboli della lotta alla mafia ed essere destinatario di questo premio insieme a Mimmo Lucano è sicuramente molto importante per me. Premi come questo non appartengono all’estetica del prestigio ma alla sostanza delle proprie azioni. Quindi sicuramente ha per me un altissimo valore. Anche perché fermo restando il grande piacere di ricevere premi, non sono questi i motivi del mio fare. La mia dimensione è molto semplice e terrena, e non mi piace stare sul piedistallo, tranne che sul palco quando suono. Mi piace sentirmi e comportarmi da uomo comune».
Capone & BungtBangt tra i protagonisti al Napoli Teatro Festival 2019 con Solis String Quartet e Iaia Forte in Strativari. Cosa proporrete per l’occasione?
«Questo è un altro grande viaggio, quando Ruggero Cappuccio, il direttore di NTFI, mi ha chiamato per chiedermi cosa proponevo per questa edizione del festival non ho esitato a dirgli che avremmo fatto uno spettacolo insieme ai Solis, siamo due quartetti veramente fuori standard e questo incontro era necessario. Corona il mio desiderio di dimostrare che la musica è il più universale dei linguaggi e che qualunque sia l’area di provenienza si fa parte dello stesso mondo. La presenza di Iaia, finalmente una donna, ci permetterà di completare questo progetto che ruota intorno alla lettura di una Napoli a strati, di qui il titolo Strativari dove sacro e profano convivono e dialogano senza paura, dove criminalità ed eccellenza convivono in modo evidente. Napoli è una città complessa, contraddittoria ma ha il pregio di essere limpida, le contraddizioni sono ben visibili, niente è nascosto sotto al tappeto e questo, credetemi, è una qualità rara e noi proveremo a metterla in scena».