“14/7 dalla parte dell’arte”, un doppio progetto autobiografico – discografico e teatrale – che racconta l’attacco terroristico avvenuto a Nizza il 14 luglio 2016, un avvenimento che tutti ricordano e che ha visto il musicista Marco Vezzoso coinvolto in prima persona. Dopo la tragica esperienza, il celebre trombettista jazz – sopravvissuto all’attentato che ha colpito Nizza, città in cui vive e insegna da anni – è stato lontano dalle scene musicali per più di un anno, fino a quando non ha iniziato di nuovo a comporre, realizzando “14/7 dalla parte dell’arte”, con la collaborazione dell’attrice Chiara Buratti. Oltre allo spettacolo teatrale che andrà in scena anche nella prossima stagione in diversi teatri italiani, Vezzoso ha pubblicato un doppio album. Il primo è “Du côtè de l’art”, che contiene 9 brani strumentali, il secondo disco è “14.07 Promenades”, che in parte riporta quello che è lo spettacolo teatrale. Per l’occasione abbiamo intervistato sia Marco Vezzoso che Chiara Buratti.
Marco Vezzoso
“14/7 Dalla parte dell’arte” un progetto nato dall’esperienza vissuta in prima persona, durante l’attentato terroristico che ha colpito la città di Nizza nel luglio 2016.
«Questo progetto nasce dalla forte volontà di rendere un omaggio a qualcosa che mi ha toccato profondamente come puoi sicuramente immaginare. Oltre ad omaggiare c’è anche un altro aspetto a cui tengo molto ed è la mia rinascita artistica e creativa soprattutto, perché dopo quel 14 luglio del 2016 ho avuto un blackout creativo di più di un anno, nel quale non sono più riuscito a scrivere. Per uno come me, molto produttivo sul lato compositivo, questa è stata una frustrazione maggiore. Dopo più di un anno ho ritrovato il gusto, l’esigenza e la voglia di scrivere, e questo progetto che sto portando avanti è stato il prodotto dopo una lunghissima pausa».
È nata prima l’idea di questo progetto o le musiche?
«Ho composto prima le musiche e poi in fase di finalizzazione ho visto che mancava qualcosa, ovvero quello che potesse rende il messaggio più universale possibile, che potesse toccare il maggior numero di persone. L’unico linguaggio che mi è venuto in mente, ovviamente quello più universale, è la parola. Per dare ancora più importanza al progetto ho deciso di rivolgermi al poeta Giannino Balbis, perché volevo che la parola fosse più alta e forte come la voglia che avevo di raccontare questa storia. È nata prima la musica e poi le parole, però in realtà, quando Balbis, dopo ore ed ore di chiacchierata insieme mi ha dato la prima stesura dei testi, ho deciso di cambiare la musica. Nello stesso tempo avevo dato le musiche a Balbis come fonte di ispirazione e lui che già aveva improntato alcuni testi, li ha cambiati. Quindi possiamo dire che la musica e le parole le abbiamo scritte a quattro mani».
Ad interpretare questi testi hai scelto Chiara Buratti
«La scelta di Chiara è stata per me ovvia, nel senso che avevo bisogno di qualcuno che avesse una sensibilità tale per viaggiare nella stessa direzione. È un testo che non deve essere solo interpretato, ma deve essere vissuto, soprattutto perché racconta la mia esperienza. Dopo solo cinque minuti che parlavo con lei, ho capito che era la persona giusta, perché ha capito dal primo momento quello che avevo in testa, senza tante parole. È un elemento molto prezioso, soprattutto nella messa in scena di questo progetto che è nato come un prodotto discografico, ma che poi è diventato uno spettacolo teatrale vero e proprio, dove Chiara ha svolto un grande lavoro, non solo per quanto concerne l’interpretazione, ma anche a livello scenico e di regia».
Portare avanti questo progetto è un po’ come un voler esorcizzare quello che hai vissuto?
«Per me Giannino è stato come uno psicologo, a cui ho raccontato la mia esperienza per poi vederla scritta. Da quando ho deciso di voler fare un omaggio a quella giornata, ho iniziato a fare un percorso di disintossicazione, in particolar modo di presa di coscienza di quello che avevo vissuto e di quello che volevo fare, ovvero di raccontare questa mia esperienza per cercare nel mio piccolo di lanciare il messaggio “rinnegate la violenza e state dalla parte dell’arte”. Con questo progetto, il nostro è intento è quello di portare un messaggio di pace. Infatti il ricavato dei nostri concerti sarà devoluto a delle associazioni che si occupano di solidarietà, perché quel giorno sulla Promenade, oltre all’orrore c’’è stata molta solidarietà tra la gente che era stata toccata da quel dramma, ed è stato un momento di unione. Dalle cose brutte possono nascere delle cose belle. Più siamo vivi e più possiamo ricordare le persone che purtroppo non ci sono più e hanno perso la vita durante quell’attentato».
“14/7 Du côtè de l’art” è un doppio cd composto da “Du côtè de l’art” che contiene 9 brani strumentali originali e il secondo “14.07 Promenades” è la registrazione su disco dello spettacolo e comprende anche le versioni dei canti recitati in inglese e francese dall’attore Marc Duret.
«Il disco è uno registrazione dello spettacolo in parte. Nello spettacolo Chiara ha aggiunto dei monologhi insieme a Giannino Balbis, alcuni che spiegano quella giornata, altri che sono semplicemente dei dialoghi tra la sua voce e la musica. Il live quindi è diverso dal progetto discografico e in un’ora e un quarto di spettacolo si ripercorre quella lunga giornata. Sentivo l’esigenza di voler fare un doppio disco, per due ragioni. La prima perché dare più importanza a un progetto a cui tenevo maggiormente, ecco perché “14.07 Promenades” volevo che rientrasse in un album a parte. Dall’altra parte, in quanto musicista, avevo bisogno di esprimermi anche a livello musicale. I due progetti sono univoci, perché nati nella stessa maniera ed entrambi sono progetti che hanno come caratteristica quella di rimanere dalla parte dell’arte».
Chiara Buratti
“14/7 Dalla parte dell’arte” un progetto che nasce dall’esperienza vissuta in prima persona da Marco Vezzoso, durante l’attentato terroristico che ha colpito la città di Nizza nel luglio 2016.
«Marco non lo conoscevo. Un amico in comune gli ha parlato di me, perché Marco sentiva proprio l’esigenza di unire la musica a un linguaggio che potesse arrivare a più gente possibile, infatti il disco è stato letto oltre che musicato. È stato letto in italiano, in inglese, in francese. Dopo aver cercato alcune cose mie in rete, Marco ha capito che entrambi eravamo affetti dalla stessa sindrome, avevamo gli hard disk un po’ graffiati, avevamo un po’ di cicatrici, di ferite aperte, così mi ha telefonato e mi ha proposto il progetto. La cosa che mi ha colpito molto di Marco è stato quando mi ha detto “Io non so fare nient’altro che suonare. Ho solo bisogno che tu mia aiuti usando le parole”. Visto che l’unica cosa che io so fare è recitare, utilizzare la parola e la mia voce, ho pensato che fosse la persona giusta con cui iniziare un percorso. In realtà ci siamo conosciuti e abbiamo capito che, forse, la cosa che sappiamo fare meglio è cercare di mettersi in ascolto di se stessi e l’uno nei confronti dell’altro. Così è iniziato il nostro percorso. Abbiamo fatto questo debutto a Genova e adesso ci aspettano altre date».
Cosa ha significato per te interpretare questi testi, scritti per l’occasione dal poeta Giannino Balbis?
«Lui è un grande poeta. Devo dire che è stato strano perché Marco mi ha detto di provare a recitare questi testi senza la musica sotto perché voleva capire quale fosse il mio punto di vista. Non voleva che la musica mi coinvolgesse, ma che nell’interpretare i testi fossi me stessa. Ho iniziato a registrare e lui mi ha subito detto che le mie parole andavano di pari passo con la musica che aveva creato, che ha iniziato ad inserirmela sotto mano mano che leggevo, in maniera tale da rende la mia voce uno suono. Forse all’inizio, visto che non ci conoscevamo bene è stata più una forma di rispetto la sua. Poi abbiamo iniziato a seguire strade diverse che pian piano si sono unite in un unico suono».
C’è un brano che ti ha colpito particolarmente?
«Giannino ha una grande capacità di creare delle immagini. Ha cercato di facilitare arrivando a più gente possibile, perché ha diviso questo testo in tre liriche, tutte relative a Nizza, che rappresentano il prima della tragedia, il durante e la Nizza dei senza guerra, che è un’ultima lirica che mi ha colpito in modo speciale. La trovo bellissima perché è quella della ripartenza. Vorrei dire quella della rinascita, ma è una parola secondo me ancora troppo precoce, perché l’arte non è detto che guarisca, l’arte aiuta l’anima a riprovarsi a ricucire degli strappi, che tutti noi abbiamo con il passato, però bisogna prima cercare il filo. Quest’ultima lirica fa capire che ogni azione dell’uomo, la più alta e la più bassa, è umana, e tutto ciò che è umano è di tutti e dobbiamo prenderci anche questo fardello di quello che compie un nostro fratello, perché nessuno è straniero a nessuno. Poi si conclude con una specie di mantra, perché alla fine le parole che si ripetono prendono sempre più energia, sempre più vigore. Si tratta di un mantra relativo alla pace, un augurare all’uomo che conosce l’amore, che conosce l’odio – perché l’uomo deve conoscere anche l’odio per cercare di spargere amore – di lanciare con energia la pace all’uomo vecchio, all’uomo nuovo, ai popoli, alle nazioni, alle religioni, alla pace, al tempo che verrà, a chi conosce il perdono e a chi ricerca il senso delle cose, di quelle più fragile e terribili. Questo è un po’ quello che vogliamo comunicare attraverso, donando questo seme un po’ a tutti, anche a chi non è pronto ancora ad ascoltarlo, perché siamo sicuri che in qualche modo il seme germoglierà».
Quali saranno i prossimi appuntamenti?
«Il 24 maggio a Torino, il 16 giugno a Rovigo e poi partirà una tournée invernale».
Per quanto riguarda il tuo percorso artistico, stai lavorando ad un tuo progetto?
«Sto portando in scena da un po’ di tempo lo spettacolo scritto da Giorgio Faletti per me dal titolo “L’ultimo giorno di sole”, spettacolo scelto anche da un festival di teatro che si svolge a New York “In Scena! Italian Theater Festival NY”».