“Panir” (Radici Music Records) è il nuovo disco dell’artista toscano Krishna Biswas. Un lavoro evocativo e pregiato che si compone in diciassette tracce inedite in cui ciascuna disegna in musica una descrizione di sola chitarra acustica. Attualmente è in distribuzione il video ufficiale dal titolo “Respira” con il pittore Fresno Persicalli. Krishna Biswas, classe 1977, nasce a Firenze sebbene la sua origine sia di madre americana e padre indiano. Si avvicina dalla musica da giovanissimo, infatti inizia gli studi di pianoforte all’età di 5 anni presso il conservatorio L. Cherubini a Firenze. A 7 anni scopre la passione per la chitarra classica, poi quella elettrica. Dal 2007 Krishna ha approfondito una ricerca musicale originale che si è concretizzata con la registrazione di diversi dischi che contengono le registrazioni di sue composizioni per solo chitarra acustica. Ha pubblicato cinque dischi per chitarra acustica con la label indipendente norvegese Noprideinlife Records. Krishna Biswas pubblicherà dalla fine del 2016, con l’etichetta RadiciMusic Records, sia i suoi prossimi lavori che quelli precedenti. Il suo ultimo lavoro è “Panir”, un album dai suoni pregiati in cui ad ogni sezione viene attribuita una descrizione in aree. A ciascuna di esse è affibbiato il nome di suite. Ognuna trova la sua identificazione tramite un colore. Tre suite dunque, di colore verde, rosso e nero. Al colore verde corrispondono personaggi di fantasia o figure di ambito quotidiano. Il rosso è un colore estremante artistico, legato alle suggestioni. Il nero è il colore che rimanda alla sua radice indiana. La convivialità dei cibi, la sua vita vissuta. “Un lavoro personale, intenso, privo di confini”. È così che viene definita l’eterogeneità dei ritmi e dei contenuti di Panir, che noi abbiamo costruito in una conversazione con il musicista.
Le tonalità americane si alternano ai suoni colorati dell’India insieme ad un’incursione di ritmi italiani. Ci parli di questo nuovo lavoro discografico?
«Panir è un disco composto per chitarra acustica strumentale, nato con l’intento di comunicare quanto di meglio potessi fare in quel momento. La musica che ne scaturisce è figlia delle scelte musicali che ho intrapreso nel corso degli anni, sia nell’ascolto che nella proposta. Non credo si possa parlare di un album di chitarra aderente a luoghi comuni del virtuosismo, anche se la formula potrebbe trarre in inganno un ascolto poco attento ed un orecchio disinformato».
La chitarra è lo strumento che prorompe in ogni traccia di Panir. Una scelta voluta oppure una dinamica spontanea?
«Panir è il primo disco edito per la RadiciMusic Records ma non il mio primo lavoro con questo assetto. La scelta di esprimermi con la chitarra acustica in modo strumentale è riconducibile a più elementi quali la ricerca di un timbro musicale vicino ai suoni della natura, l’esplorazione di un territorio che mi permettesse di muovermi liberamente e la sperimentazione di accordature dello strumento che depistassero i rituali gestuali in cui ero impigliato e che favorissero l’emersione di una voce musicale personale».
La tua è un’origine indio-americana, però tu sei nato a Firenze. Quanto ha inciso questo nella tua formazione musicale?
«Non saprei quantificare né proporre un’equazione di qualche tipo. Ad intuito posso pensare di aver avuto dei vantaggi nell’esposizione a più di uno stimolo culturale e musicale provenienti da mondi diversi e molto ricchi. La famiglia da cui provengo è sempre stata attenta ed ha avuto cura di esporre culturalmente me ed i miei fratelli».
C’è un brano nell’album a cui sei particolarmente legato?
«”Respira”. Lo suono sempre con piacere e trasporto».
Ritorno sul timbro predominante della chitarra, dove in alcuni brani viene sviscerata quasi a sentirne il suono estremo. C’entra con la suddivisione delle tracce in aree definite “suite”, a cui ognuna hai affidato un colore?
«Le suites del disco sono tre. Contengono quattro brani ciascuna, due riflessivi e due di movimento. Sono suddivise a seconda delle tematiche e delle accordature dello strumento. Diverse tra loro e mai standard. Le timbriche dello strumento sono influenzate dalle diverse accordature e favoriscono le direzioni che prendono i brani ed i loro limiti».
Panir è il contenitore di un lavoro spirituale che tu racconti in musica. Ci spieghi come nasce?
«Panir è un passaggio di un percorso musicale che risale a più di dieci anni fa. Stanco di spendermi solo in stili musicali con moduli espressivi codificati, ho sentito l’urgenza di creare un mondo musicale mio proprio senza dover pagare dazio all’aspettativa del successo sociale».
Hai iniziato a studiare musica sin da bambino. Come hai fatto ad incanalare la tua “non convenzionalità” nei percorsi di studio?
«Ho cominciato da bambino e continuo a studiare in ogni momento utile, qualsiasi elemento possa arricchirmi musicalmente, spesso proveniente da musica tradizionale od ormai chiaramente verbalizzata. Le due nature non si ostacolano ma si alimentano vicendevolmente, per me in questo momento».
Il tuo è un percorso indipendente. Ti sei ispiri a qualcosa in particolare?
«Un elemento decisivo per me è stato l’ascolto attento e rapito dell’ improvvisazione totale dei piano solo di Keith Jarrett.
Volendo fare un bilancio, cosa ti aspetti dalla diffusione di Panir e quali sono i progetti prontamente futuri.
«Non ho particolari aspettative in merito, osservo le dinamiche di diffusione e di contatto con elementi nuovi. Per il futuro mi dedico alla composizione di nuovi brani musicali oltre che all’attività professionale di musicista . Tutto l’arcipelago di impegni che impone».