Sarà in scena al Teatro Cilea di Napoli lo spettacolo “Una notte con Dora”, l’esilarante commedia di Marco Lanzuise, in programma dal 2 al 4 marzo. A muovere i fili di una regia vestita di carattere, un brillante protagonista del panorama teatrale partenopeo, Gianni Parisi, impegnato nello spettacolo anche come interprete. Al suo fianco Mariano Bruno (il comico napoletano divenuto popolare grazie a suoi divertenti monologhi proposti nell’ambito del programma Made in Sud), la cantante e attrice Anna Capasso e Feliciana Tufano. Un cast eterogeneo, per una commedia dai toni genuini e frizzanti, ricca di colpi di scena. Per l’occasione abbiamo incontrato e intervistato il maestro Gianni Parisi.
Una notte con Dora di Marco Lanzuise. Come è nata l’idea di curare la regia?
«Non sono molto attratto dal cabaret come rappresentazione teatrale. È innegabile però che nel panorama napoletano, ci siano in tal senso degli interpreti straordinari, che proseguono nel cabaret ma potrebbero fare tanto teatro. Potenzialità ancora inespresse che possono esprimere un valore aggiunto al teatro. Marco Lanzuise e Mariano Bruno sono due esempi che trovo estremamente interessanti. Mariano Bruno lo avevo conosciuto premiandolo in occasione del premio Massimo Troisi. Pensai all’istante che mi sarebbe piaciuto fare qualcosa con questo giovane attore-comico. Marco Lanzuise lo seguivo già all’epoca della formazione de I Teandria. Un gruppo in cui veniva diffuso un buon cabaret. Ho poi letto alcune cose scritte da lui e le ho trovate coinvolgenti. Per una serie di belle coincidenze, quando mi è stato chiesto di seguire la regia della commedia oltre ad affidarmi il ruolo di co-protagonista, ho immediatamente detto sì. Appena ho letto la commedia mi sono divertito già a leggerla. Un turbinio di situazioni veloci, fluide e dinamiche che hanno sposato il mio modo di fare. A tutto quanto ho aggiunto una forza in più. Una maniera non solita d’interpretazione. Concludo con un esempio. Un attore per non sbagliare si dirige verso quello che sa fare. Questa lezione me l’ha data il grande Aroldo Tieri. Sono stato con lui all’incirca due anni e mi ricordo che Tieri diceva al regista Giancarlo Sepe: “Ho sessant’anni di mestiere teatrale ed inevitabilmente mi rifugerò in una battuta per me solita. Quando ti accorgi di questo avvisami perché non voglio ingannare il pubblico”».
La sua è una carriera che rientra negli anni clou della scena teatrale partenopea. Quando a partire dalla metà degli anni ‘70, c’era al centro del teatro, il cabaret. Una sua opinione in merito.
«Non mi piace il cabaret d’oggigiorno in Italia. Se invece ci colleghiamo allo spettacolo tedesco, in quel caso le esibizioni sono fondate sulla satira, viene sviscerato un più adeguato significato del cabaret. Se poi ci spostiamo in Italia e ricordiamo che tra gli anni ‘60 e ‘70 cominciarono ad approdare i primi cabarettisti, tra cui nomi, come Gianni Magni, in tal senso si impiantava uno spettacolo fondato sul monologo. Si poteva così parlare di una dimensione appropriata del cabaret, diversa dall’idea che si ha oggi, molto legata invece allo sketch. Questo tipo di cabaret, prende origini dal “Vieni avanti cretino”, da immensi comici quali Erminio Macario, Totò. Dalle grandi spalle, come quelle di Walter Chiari. Io però provengo da un’altra matrice artistica».
Lei ha fatto parte del Gruppo Teatrale del Centro Teatro Spazio con Massimo Troisi e Lello Arena. Che ricordi ha?
«La spinta a fare teatro insieme nacque perché sistematicamente ci recavamo presso la Parrocchia di Sant’Anna a San Giorgio. Una comunità di cui faceva parte mia zia. Sotto la sua direzione c’erano un po’ tutte le attività della zona. Aveva sempre dato una mano alle persone disagiate e faceva altresì da catechista. Così ci invogliò non solo a giocare a pallone dopo il catechismo, bensì a dedicarci ad un’attività a sfondo ludico-teatrale. Nacque l’idea di impiantare il Teatro a San Giorgio a Cremano. Massimo Troisi iniziò a scrivere per conto suo intraprendendo la strada di autore ed interprete. Io insieme ad altri fummo invece guidati da un “vecchio” attore del posto che iniziò a parlarci di Pirandello e delle origini delle scene. Decisi così di proseguire, ampliando questa meravigliosa forma d’arte».
Dopo il Centro Teatro Spazio, il suo percorso ha ricevuto un’impennata, insieme a nomi di spessore con i quali ha collaborato. Ricordiamo Luisa Conte, Nino Taranto, Mario Merola, Giacomo Rizzo, solo per citarne alcuni.
«Con ognuno conservo un legame intimo. Ricordo con grande affetto Mario Merola che mi ha instradato nel ruolo del cattivo. Il famoso “malament”. Ne ho preso “schiaffi” e “coltellate” da lui mentre impiantavamo una sceneggiata. Difatti mi diceva sempre che ero bravo a morire. Con la Conte sono stato dieci anni, insieme alla compagnia teatrale La Gloriosa. In qualche modo sento di aver ereditato da Luisa Conte. Perchè dopo un momento storico in cui ho lavorato per altre compagnie, sono ritornato al Sannazzaro per stare vicino a Lara Sansone che era succeduta alla dirigenza artistica. Poco prima della sua scomparsa, Luisa mi aveva chiesto di accompagnare Lara, nella prosecuzione. Con grande sacrificio e passione, io e Lara Sansone mettemmo su un intenso prolungamento artistico, insieme a Gigi Savoia ed Ingrid Sansone. Coniugando tradizione ed innovazione. Nel frattempo avevo maturato esperienze di teatro insieme a Carlo Giuffrè, Giorgio Albertazzi mi ero formato in maniera forte».
Se volessimo rappresentare la sua storia artistica come con una tela, si tratterebbe di materia variopinta. Quando lei si ferma ed intravede questo quadro, che emozioni sente?
«Lei ha usato il termine emozioni. Lo trovo estremamente appropriato perché io continuo a fare questo mestiere dopo quarant’anni, sull’onda delle emozioni. Se non mi emoziono non lo faccio, se non mi diverto non lo faccio. Amo talmente questo lavoro ed ho bisogno cammini su di un’alta quota emozionale. Mi emoziono a vedere del bel teatro, mi emoziono dinanzi ad una bella proiezione cinematografica, mi emoziono a sentire una poesia. Ogni forma d’arte deve sempre incontrare il mio livello emozionale. Così, allo stesso modo e tanto di più quando faccio teatro».
La sua carriera ha poi incontrato il cinema. Ricordiamo i Maccheroni di Ettore Scola. Sulla mia pelle di Alessio Cremonini. Certi bambini diretto da Andrea ed Antonio Frazzi. Malafemmena con Giovanna Mezzogiorno, il noir Mare buio di Roberta Torre. Che legame intravede tra cinema e teatro?
«Il cinema lo ritengo un incidente di percorso (sorride). Il cinema ed il teatro rappresentano tante facce della stessa medaglia. Si tratta di acquisire tecniche diverse, estremamente difficili. Il luogo comune ci spinge a pensare che il cinema sia più facile perché puoi ripetere una scena venti volte. Non è così perché nel legarle sequenzialmente, nella realtà possono essere intervallate dal tempo. Nel senso che due scene che vediamo al cinema in un’una, vengono montate in un passaggio di quindici giorni e dunque la difficoltà risiede nel trasferire lo stesso stato emozionale. In teatro invece ogni spettacolo è unico ed irripetibile. Ogni sera l’humus dell’attore è unico a se stesso, così come ogni sera c’è un pubblico unico in quanto diverso dalla sera precedente».