Enrico Lo Verso è un attore brillante, che nell’interpretazione di ogni singolo ruolo riesce a fare la differenza. In questo periodo è impegnato in un tour teatrale con “Uno Nessuno Centomila”, omaggio a uno dei più celebri romanzi di Luigi Pirandello per la regia di Alessandra Pizzi. Uno spettacolo che in due anni ha totalizzato ben 300 repliche in tutta Italia, ricevendo diversi premi e riconoscimenti. L’unione Pizzi- Lo Verso si è rivelata vincente, infatti dalle due menti sono nati altri progetti teatrali, tra questi “Metamorfosi. Altre storie oltre il mito”, ispirato a Ovidio in una rilettura contemporanea del testo, dove l’attore sarà affiancato sul palco da ospiti diversi della cultura e dello spettacolo. Questa sera, venerdì 27 luglio, lo spettacolo sarò presentato presso la Villa Comunale di Giovinazzo (Bari).
Oltre “Uno nessuno centomila”, in questo periodo sei impegnato anche con il nuovo spettacolo per la regia di Alessandra Pizzi “Metamorfosi -Altre storie oltre il mito”.
«È uno spettacolo che debutta ogni volta ed è in continua metamorfosi proprio per rendere onore e omaggio al titolo. Ogni messa in scena sarà diversa da un’altra. Questa è l’adrenalina pura di questo spettacolo, per noi ma anche per il pubblico. Lo spettatore si sente partecipe di un evento particolare, straordinario. L’emozione è palpabile in platea. Metamorfosi raccoglie alcuni miti di Ovidio, come atto di Proserpina, Eco e Narciso, il mito di Aracne, che sono letti e interpretati da me. Poi abbiamo un ospite attore che cambia di volta in volta. Le coreografie sono di Marina Martina. Inoltre ci saranno anche dei musicisti che cambieranno ad ogni messa in scena. Questa cosa rende un po’ difficile la vendita dello spettacolo, poiché i direttori artistici dei teatri vogliono sapere da subito i nomi degli artisti. Cerchiamo di pensare alla qualità e quella finora siamo riusciti a garantirla».
Cambiare testi, attori e musicisti ad ogni spettacolo non è cosa semplice
«Infatti, ne stiamo parlando proprio in questi giorni. Come formula è destinata a non continuare, perché con “Uno nessuno Centomila” siamo tutti i giorni impegnati e questo non ci permette di incontrare altri musicisti. Al momento abbiamo l’Arca del blues, che sono due fratelli e un terzo elemento che suona la batteria, ma non con l’uso dello strumento, ma con la propria voce. Sono molto bravi e abbiamo legato moltissimo, infatti stiamo pensando che saranno loro gli unici musicisti a seguirci in questo spettacolo. Cercheremo di mantenere l’idea del cambiamento per quanto riguarda i testi e gli ospiti. I testi sono di Nicola Pice, che li ha tradotti in un linguaggio contemporaneo, non occhieggiante all’antico. Sarebbe assurdo raccontare queste miti, ancora oggi molto attuali, con parole auliche non più usate».
Cosa ti ha colpito in particolar modo di questo progetto?
«Queste erano le storie che mi raccontava mia madre da bambino, erano le favole che leggevo. Avevo un libro sulla mitologia greca che avrò letto più di 200 volte prima di restituirlo ad una zia che me l’aveva prestato. Mi ricordo ancora la carta, i colori, le illustrazioni, questo prima dei dieci anni. A me piace tantissimo recitare questi pezzi, farlo nella mia maniera. La cosa che sento, che vedo, quando sono in scena e interpreto questi testi è sicuramente che lo spettatore segue e si precipita in queste storie. Ho visto gente piangere dall’emozione, e questa è una cosa che ha mi ripagato di tutte le mie insicurezze nel pensare allo spettacolo, al tipo di recitazione. Con Metamorfosi si riesce ad aprire una porta che magari lo spettatore pensava di trovare chiusa, invece l’ha trovata aperta ed è entrato».
“Uno nessuno centomila” vanta 300 repliche in tutta Italia, quasi tutte sold out e oltre 200mila spettatori.
«È uno spettacolo che è stato visto dallo stesso pubblico più volte. Siamo stati a Trani due volte a distanza di meno di un anno e in tutte e due le occasioni, parlando con il pubblico ho scoperto che l’avevano già visto. E questa per me è una grande soddisfazione perché parliamo di un monologo di filosofia. Anche in questo il testo fa la differenza, poiché viene utilizzato un linguaggio quotidiano con echi del passato».
Inizialmente, però, eri contrario nel portarlo in scena.
«Non facevo teatro da 12 anni ed uno dei motivi era perché non mi divertiva. Il teatro in Italia si muove su dei binari che non mi piacciono, non mi appartengono, che non capisco. Si muove molto spesso per contatti, legami. Io sono dell’idea che uno deve andare avanti se ha qualcosa da dire e se ha un pubblico a cui dirlo. Il pubblico te lo devi guadagnare, non ti può essere dato da un’amicizia. Molte teatri sono vuoti e tanti spettatori a casa, perché non hanno un qualcosa di bello da andare a vedere. Gli spettatori ci sono in Italia, ma sono come cellule dormienti, quindi vanno risvegliate perché la voglia di andare a teatro c’è. Ora sono in Puglia e devo dire che in Italia è una delle più ricettive sul bisogno di andare a teatro. Non conoscevo Alessandra Pizzi, quando mi ha proposto questo spettacolo. Quando l’ho telefonata per dirle che non ero interessato, mi sono accorto che aveva le mie stesse idee sul teatro, quindi incuriosito ho deciso di leggere il progetto, che mi ha colpito dal primo momento anche se ero sempre scettico poiché pensavo che un testo del genere non potesse ricevere un successo come poi si è verificato. Alla fine ho deciso di accettare. Abbiamo iniziato e già dalla prima sera, ad una prova, avevamo 300 persone».
Se avessi rifiutato quale sarebbe stato il tuo rammarico più grande?
«Tutto. Sono stati due anni bellissimi fino ad ora e ne vedo tanti altri davanti. Lo spettacolo ha date vendute fino al 2020. Nel frattempo con Alessandra sta migliorando sempre di più questa convergenza di vedute, per cui stiamo inventando spettacoli nuovi. In particolare uno con le musiche di Morricone che hanno ispirato i testi della scrittrice Valeria Arnaldi. Abbiamo già provato a metterlo in scena per vedere l’impatto con il pubblico e il risultato è stato molto soddisfacente».
Il complimento più bello che hai ricevuto di recente?
«Abbiamo raccolto due libri pieni di dediche che i nostri spettatori hanno scritto di volta in volta alla fine di ogni messa in scena. Ci sono alcuni commenti davvero belli, come “Non ero mai stato a teatro e non mi aspettavo che fosse così bello” oppure “Non pensavo che Pirandello fosse così leggero”».
Dal 27 settembre arriva sul grande schermo “Michelangelo – Infinito”, il nuovo film d’arte dedicato al genio dell’arte universale Michelangelo Buonarroti e alle sue opere immortali.
«Solitamente quando Sky fa queste produzioni ha una distribuzione e fa l’uscita tecnica nelle sale che dura tre giorni, mentre per “Michelangelo – Infinito” la distribuzione sarà curata in maniera classica dalla Lucky Red, poiché lo sta considerando come un film a tutti gli effetti».
In che modo ti sei avvicinato al personaggio?
«Al personaggio mi sono avvicinato grazie allo studio di letture sulla vita e le opere di Michelangelo. In questo materiale ho potuto conoscere i diversi aspetti di questo genio. La sua è una vita fatta di grande cinismo, apparente avidità, opportunismo, in cui notiamo come tratto distintivo una grandissima durezza, un’asprezza. Anche con i suoi collaboratori, che nella sua storia sono ridotti all’osso. Michelangelo era un uomo durissimo, in primo luogo con se stesso. Non si concedeva uno svago, non si concedeva un momento di relax. Lui era sempre da solo in continua ricerca del bello, della perfezione».
Questo film ti ha dato la possibilità di conoscere a fondo non solo l’artista, ma anche l’uomo…
«Facendo questo lavoro cerco sempre di capire, di studiare la persona, il personaggio che devo interpretare. Non amo fare una caricatura o l’imitazione, quella la lascio fare ad altri, poiché è una cosa che non mi appartiene. Di un personaggio cerco di capire tutte le sfumature. Per quanto riguarda Michelangelo e la sua presunta avidità, in realtà tutti i suoi soldi lui li dava alla famiglia, ma perché l’amava e non perché gli sembrava giusto».