È un bel momento per la vita professionale dell’attore Paolo Briguglia, il quale è al centro di diversi progetti televisivi, ognuno di genere diverso. Ed è proprio la sua versatilità che lo rende sicuramente uno degli attori più interessanti del panorama italiano.
Ti abbiamo visto in Brennero, la nuova seri tv su Rai1. Ci parli un po’ della tua esperienza sul set e del tuo personaggio?
«Questo è un personaggio a cui tengo veramente molto, si tratta di un serial killer. Il PM Eva Kofker e l’ispettore Paolo Costa nel corso delle puntate hanno diversi casi da risolvere. E poi c’è il caso del mostro che attraverserà tutta la serie, un serial killer che cercano di catturare da tempo e che è costato una gamba a Paolo. Il mostro torna ad uccidere e i due si alleano per cercarlo. Ho sempre interpretato personaggi buoni, sia in televisione che al cinema e a teatro, questo è stato un personaggio interessante da fare. Ho preso parte ad un provino sono felice di aver superato il provino. Quando ho rivisto alcune delle scene, mi sono reso conto di aver raggiunto un traguardo importante per essere riuscito ad interpretare un personaggio così, dove c’è tutto da costruire, da recitare, da inventarsi».
Cos’è che ti è piaciuto in modo particolare del tuo personaggio?
«Certe volte sono stato chiamato ad interpretare il lato solare e positivo, questo invece rappresenta il lato completamente opposto. È un personaggio che ha un’ombra pesantissima sul suo passato e probabilmente anche sulla sua infanzia e adesso vuole vendicarsi e vuole il male degli altri e quindi uccide, come vendetta per il suo passato. Mettere in scena delle emozioni così forti per un attore è sempre una sfida, se pensiamo al teatro, per esempio a William Shakespeare i personaggi cattivi sono i più belli da recitare per un attore, come in Riccardo III, Macbeth, perché anche quel tipo di male c’è un’umanità. Ed anche in questo film è così, anche dentro una persona che nuoce agli altri e fa del male c’è un’umanità calpestata che viene raccontata, c’è un lato umano. E questo è molto affascinante da poter tirare fuori».
Quindi in futuro vorresti ancora interpretare il ruolo del cattivo?
«Sì, ad esempio adesso ho accettato un ruolo nella serie Le libere donne di Michele Soavi in cui interpreto un personaggio molto violento. Sono un attore quindi mi piace cambiare sempre personaggio. Ne I fratelli Corsaro è qualcosa di completamente diverso è un giallo comedy, il mio personaggio è simpatico. Ogni film è un’occasione diversa per divertirsi a creare e quando queste creazioni possono essere agli antipodi uno rispetto all’altro, allora per un attore è fantastico».
Ne I fratelli Corsaro sei protagonista insieme a Giuseppe Fiorello. Come hai vissuto quest’altra esperienza e come ti sei trovato a lavorare al fianco di Giuseppe Fiorello?
«Sono un lettore di gialli e già in passato mi era capitato recitare in un giallo, quindi mi divertiva l’idea di poterlo fare di nuovo. Con i fratelli Corsaro siamo partiti dai romanzi di Salvo Toscano e mi piaceva l’idea della coppia. Con Beppe abbiamo lavorato molto bene. I due personaggi sono fratelli molto legati ma al tempo stesso molto litigiosi. La dinamica a molla di allontanamento e riavvicinamento è stata molto bella. Abbiamo trovato un grande affiatamento e questo lo sto ritrovando nelle recensioni, nelle osservazioni, nei commenti. È una coppia che funziona molto bene, quindi, spero di poter continuare questa avventura e che ci sia un seguito a questa serie. Il mio personaggio è un avvocato penalista, molto serio e appassionato del suo lavoro, innamorato della moglie alla quale è molto fedele. Al contrario il fratello è un po’ un don Giovanni. Mi sono anche divertito a renderlo un po’ più umano forse nel romanzo era ancora più austero ma ho aggiunto al personaggio dei lati goffi, che ogni tanto gli capita di fare qualche cattiva figura. Una persona all’antica, ipocondriaco, sempre paura di avere qualcosa o che gli altri possono trasmettergli qualche malattia. Volevo che fosse serio e affidabile e qualche volta buffo. Rivedendolo mi è piaciuto».
Hai letto prima il romanzo?
«L’ho letto subito dopo che mi hanno offerto il progetto. È è una bella dinamica tra il romanzo e sceneggiatura, perché la sceneggiatura deve prendere le sue libertà, però restando fedele ai libri. Per me è stato utilissimo avere accanto il libro così potevo delle volte attingere. Perché lo sceneggiatore l’ha letto e dare per scontato delle cose, ma l’attore ha bisogno di andare più a fondo e a riprendere ad esempio battute che erano nel romanzo ed ho chiesto al regista se potevo reinserirle.
Per quanto riguarda I leoni di Sicilia, quanto invece ti ha coinvolto e appassionato questa serie?
«È una storia di diverse generazioni. Il mio personaggio muore ad un certo punto. Il mio personaggio era Vincenzo Florio. Era in programma la seconda stagione. Anche lì è stato un grande viaggio con Paolo Genovese, la storia dei Florio in Sicilia è una storia mitologica, perché questo nome è rimasto nel tempo. Una famiglia con capacità imprenditoriali uniche a quell’epoca, che hanno regalato tanto alla Sicilia, ricordiamo i vini Florio, il marsala creato da loro, l’invenzione del tonno in scatola, la flotta di navigazione Florio. Hanno animato e lasciato un’eredità poi misteriosamente sono scomparsi, non ci sono eredi. Quindi, ancora di più il nome dei Florio è entrato nella leggenda. Mi sono entusiasmato perché i miei sono i Florio delle origini che arrivano poveri dalla Calabria e aprono il primo negozio abbiamo raccontato l’epopea inizia con il viaggio dei due fratelli e la moglie di uno dei due. È stata una bella esperienza, girare in queste costruzioni che riproducevano parti di Palermo, la mia città. È stata inoltre un’esperienza collettiva, la serie ha un cast di attori bravissimi guidati da Paolo Genovese. È stato avvincente e divertente farlo e le scene erano emozionanti e significative. Mi ha aiutato la radice dei miei studi nel teatro a rappresentare personaggi che portano sulle spalle qualcosa in più della loro presenza lì in quel momento. Portano dietro di sé una storia, una forza generazionale e volevo che questi personaggi fossero dei migranti alla ricerca di un destino migliore. Persone che accettano di subire umiliazioni e povertà e a testa bassa continuano a lavorare perché sanno che dal luogo dove vengono non c’è futuro».
Ogni volta cerchi di andare a fondo del personaggio che ti propongono…
«Tutto parte dalla storia che scegli o per la quale ti scelgono. Questo lavoro è bello se lo si fa tutti insieme, cioè attori, regista, spettatori, quindi condividere una storia che ci aiuta a capire il presente, il passato, a pensare chi siamo. I personaggi sono esseri umani che come in una ruota nel tempo si ripetono di generazione in generazione. Perché avrai sempre dei personaggi che lottano, soffrono. Un personaggio è sempre qualcosa in più, un tassello di racconto di umanità e mi diverto a pensarlo in questo modo. E sono felice che ognuno possa identificarsi nel personaggio che sto interpretando».
Un altro progetto è la trasmissione televisiva su food network insieme a Giustina. Un viaggio alla ricerca di bar siciliani con i migliori sfizi.
«È stato un on the tour molto simpatico inedito perché quando mi hanno invitato ci ho pensato un po’, poi ho visto il lavoro di Giusina che era molto carino, garbato ed ho pensato che mi sarei divertito ad essere Paolo, parlare con le persone, incontrarle, scoprire i posti, il cibo come cultura ed incontro con la tradizione. È stato bello partecipare ad un progetto nella mia terra. Io e Giustina improvvisiamo, abbiamo una traccia da sviluppare. È un format originale e fresco e divertente da vedere. Mi ha dato l’opportunità di conoscere me stesso come conduttore, perché mi sono sempre divertito a nascondermi dietro a dei personaggi, invece mi sono scoperto. È un qualcosa che vorrei continuare a fare».