"Oltre il Giardino" è il terzo lavoro discografico del suo percorso da solista
L’ex frontman ed icona de Il Giardino dei Semplici, Gianfranco Caliendo con la sua Miele Band, ha pubblicato l’album Oltre il Giardino che raccoglie i successi indimenticabili della sua lunga carriera come M’innamorai, Tu ca nun chiagne, Miele e Concerto in La Minore, insieme a brani scritti negli ultimi anni e alcuni inediti.
Tra le canzoni scritte di recente il disco contiene una rivisitazione di Cia’ guagliò, dedicata a Pino Daniele, interpretata insieme ad Andrea Sannino, ed Anime in cui Gianfranco duetta con Nick Luciani de I Cugini di Campagna. Il singolo Le Canzoni del Giardino, che ha anticipato l’uscita del disco, è impreziosito dalla voce di Flora Contento, autrice del testo. Gianfranco Caliendo è diventato artista solista nel 2012 e quattro anni dopo ha fondato la Miele Band.
Il gruppo è formato da: Gianfranco Caliendo (voce solista e chitarre), Mario Montella (tastiere e programming), Dami Tedesco (chitarra e cori), Piero Pisano (basso e cori), Vito Capone (batteria e cori).
Il suo ultimo album Oltre il Giardino è il terzo lavoro discografico del suo percorso da solista. Il disco contiene canzoni inedite e le hits principali della sua carriera come frontman de Il Giardino dei Semplici. Cosa rappresenta questo disco per lei?
«Questo disco rappresenta una reale svolta nella mia carriera da solista perché, per la prima volta, ho coinvolto i musicisti della “mia” Miele Band in prima persona. Infatti, all’interno, oltre che nella veste di strumentisti, possiamo apprezzare anche le loro notevoli voci. Il titolo trae spunto dal celebre film di Peter Sellers, in cui un giardiniere, che aveva vissuto un’intera vita al servizio di un nobile, senza mai uscire fuori dalla sua sontuosa residenza… si ritrova, alla sopraggiunta morte del suo signore, in un mondo a lui sconosciuto, tutto da scoprire e da sperimentare. Così com’è accaduto alla mia carriera…».
Il disco è stato anticipato dal singolo Le Canzoni del Giardino, interpretato insieme all’autrice del testo, la cantante Flora Contento. È un brano davvero evocativo!
«Assolutamente sì. La mia coautrice e compagna di vita, Flora Contento, racconta in questa canzone le atmosfere e lo scenario di quell’epoca, con tanto di juke-box, festività e ricordi che hanno accompagnato gli anni dei più grandi successi dei ‘70, tra cui naturalmente… le canzoni del Giardino dei Semplici. Nella canzone, si ascoltano le voci, oltre alla mia e a quella di Flora, di Dami Tedesco (chitarrista “aggiunto” della Miele Band), Vito Capone (batterista) e Piero Pisano (bassista)».
Tra i brani inediti dell’album, si distingue Cia’ guagliò, interpretato insieme ad Andrea Sannino. È un omaggio commovente a Pino Daniele. Quando ha sentito il bisogno di scriverlo?
«Anche Cia’ guagliò è scaturito istintivamente dalla penna di Flora, pochi giorni dopo la triste notizia che, quella mattina, mi sconvolse e mi addolorò infinitamente. Lei, quando io ascoltai della scomparsa di Pino Daniele al telegiornale, mi sentì urlare e piangere… pochi giorni dopo, mi diede il testo, ed io, con le lacrime agli occhi, mi sedetti davanti al pianoforte e la musica mi uscì come un fiume in piena da dentro il cuore. Non volli registrarla e pubblicarla subito… perché avevo timore che la gente pensasse che io avessi voluto fare un’operazione commerciale… invece, il dolore era tutto lì, nelle parole e nelle note sincere. Cercai una voce “emozionante” per interpretarla, e Andrea Sannino si prestò, sebbene si trovasse in concomitanza con l’uscita di Abbracciame. Dopo qualche mese, la pubblicai con la sua voce e quella di un deejay cittadino, per aiutare quest’ultimo ad emergere. Dunque, ne feci una versione cantata con Flora e inserita nell’album Amanapoli, e infine decisi di “duettare” in prima persona col bravissimo Andrea, che ha fatto davvero tanta strada».
Nel brano La Musica Italiana, presente nel disco, si riunisce con i frontmen di altri gruppi degli anni ’70: Beans, Daniel Sentacruz Ensemble, Homo Sapiens, Romans e Santo California. La musica in tutti questi anni per voi è stato la vostra ragione di vita?
«Questo brano, sempre frutto del binomio Contento–Caliendo, in realtà lo “confezionammo” per proporlo al Festival di Sanremo, quell’anno diretto da Carlo Conti. Pensammo che avrebbero potuto tenerlo in considerazione, perché avrebbe accontentato una grande fascia di pubblico che ama gli artisti di quel periodo e che riempie le piazze del centro-sud tutte le estati. Invece, Carlo Conti preferì scegliere rappers e progetti musicali più “moderni”. Il brano racconta proprio del nostro rapporto con la musica… paragonandola ad una donna che non potresti mai tradire. Ma tra le righe, ci sono molti passaggi commuoventi, perché sottolineano gli aspetti delle nostre carriere che, al di là di ciò che appare, nascondono tristezze e frustrazioni da ingoiare col sorriso sulla bocca».
L’album è stato presentato con un grande concerto-evento al Teatro Troisi di Napoli, insieme alla Miele Band. Cosa ha provato sul palco in quella serata speciale mentre l’intera platea cantava le canzoni insieme a lei?
«Quando salgo su di un palco, specie in un teatro dove sai che il pubblico ti ascolta attentamente, mi sento di essere nato per provare questa emozione. Infatti, nonostante io ne viva la preparazione con grandi stress, sfogati e manifestati a “spese” dei miei musicisti, quando imbraccio la chitarra e mi avvicino al microfono, chiudo gli occhi e cerco di esprimere tutto quello che so fare, cercando di tenere a bada le tensioni e… i pensieri. E tutto diventa davvero meraviglioso».
Tra i successi racchiusi in Oltre il Giardino, c’è M’innamorai, la canzone che partecipò nel 1975 al Festivalbar. Era il periodo d’oro della discografia italiana. Quali ricordi conserva di quell’anno?
«Ho chiaramente tanti ricordi di quel periodo, tante soddisfazioni. La registrazione in studio con gli autori Giancarlo Bigazzi e Totò Savio, il mio amato maestro, e poi sentire la tua canzone irradiata dai juke-box in tutte le spiagge italiane… per un ragazzo di 19 anni come me, significava essere all’interno di un sogno. Ricordo poi l’ingresso a settembre della canzone nella classifica di “Dischi Caldi”, trasmessa in radio dal bravo Giancarlo Guardabassi. Ma ricordo anche la delusione che provammo quando dovevamo partire per la finalissima dell’Arena di Verona, conquistata a “suon” di gettoni. Purtroppo, due giorni prima, i nostri produttori ci comunicarono che la nostra partecipazione era stata annullata. Eppure, il nostro primo disco aveva venduto bene per tutta l’estate, e addirittura otto mesi dopo l’uscita, il 2 gennaio del 1976, entrò nella hit parade dei dischi più venduti in Italia».
Insieme allo storico gruppo Il Giardino dei Semplici, nel 1977, partecipò al Festival di Sanremo, classificandosi al quarto posto con la canzone Miele, vendendo più di mezzo milione di copie. È stata importante per la vostra carriera quel Festival?
«Inutile specificare che, la denominazione della mia nuova band, deriva dal fatto che Miele è il brano più “gettonato” del nostro repertorio. Proprio Sanremo ha conferito una massiccia diffusione alla canzone in tutto il mondo, dandoci ulteriore notorietà e prestigio. Neanche la nostra hit più venduta (oltre un milione di copie, con relativo disco d’oro), Tu, ca nun chiagne, regge il paragone delle richieste che arrivano dal nostro pubblico ai concerti. C’è un’evidente magica alchimia nella creazione scritta da Bigazzi e Savio, che la rende un evergreen a tutti gli effetti».
Nel suo libro autobiografico Memorie di un Capellone – Luci ed ombre di un successo anni 70, lei ripercorre e racconta la sua carriera, iniziando dal momento in cui co-fondò Il Giardino dei Semplici con Gianni Averardi nel 1974. Quali sono gli aneddoti che lei ritiene salienti svelati nel libro?
«Avendo parlato nel libro un po’ “senza peli sulla lingua”, sono tanti gli aneddoti mai raccontati prima e le situazioni piacevoli e non, di quasi 50 anni di carriera. Racconto anche di alcuni incontri con personaggi come Claudio Baglioni, Pino Daniele, i Pooh, Gigi D’Alessio e tutte le situazioni, a volte “tragicomiche”, in cui può trovarsi un gruppo di capelloni anni ‘70. Racconto degli ostacoli incontrati, delle affermazioni e delle delusioni. Ma, al di là della mia vita personale, che anche ha avuto delle particolarità che la rendono forse interessante, il mio racconto punta l’obiettivo su di un’epoca, quella dei “capelloni”, simbolo di libertà, di protesta e di ricerca continua. Bravi ragazzi».
Ha fondato nel 1998 l’Accademia Caliendo una scuola di canto moderno a Napoli. Come vive il rapporto con i suoi allievi?
«Nel 1998 ho fondato l’Accademia Caliendo a Napoli, ma provenivo già da cinque anni d’insegnamento di canto moderno, presso “La Ribalta” di Castellammare di Stabia, coinvolto dalla mia amica Marianna De Martino. Praticamente 30 anni fa, quando non esisteva nessuna didattica che insegnasse il canto moderno, e noi fummo i primi a dare questa possibilità ai giovani cantanti dell’epoca, ma anche ai meno giovani. In tutti questi anni, la mia scuola è diventata una vera e propria fucina di talenti ed io, con i miei allievi, tuttora mi sento molto a mio agio, e l’argomento “vocalità” lo viviamo in simbiosi, sperimentando, divertendoci e migliorandoci. Un buon maestro ha anche il dovere di insegnare ad ascoltare la buona musica, indipendentemente dai gusti personali. Voglio però parlarvi di un’allieva in particolare, mia figlia Giada, che mi ha dato tanta felicità, nel 2001, quando fu premiata al Festival di Sanremo per l’interpretazione di Turuturu, scritta da me e dal suo cointerprete Francesco Boccia. Una canzone che ha fatto il giro del mondo e venduto tante copie, in quattro versioni (italiano, castigliano, catalano, portoghese). Tornando alla mia Accademia… è davvero la mia casa, dove svolgo la mia professione con immutato entusiasmo e passione».
Come è stata la sua estate insieme alla Miele Band? Avete fatto molti concerti?
«Provenendo da due estati in cui, a causa del Covid, siamo riusciti a stento a fare qualche esibizione, del tour 2022 non possiamo lamentarci. Abbiamo aperto con il concerto del 5 maggio al Teatro Troisi e poi, da giugno a settembre, abbiamo fatto diverse tappe, sempre però ristrette nel centro-sud dell’Italia. Noi ci divertiamo a suonare e quindi, anche quando troviamo una situazione che non ha una logistica soddisfacente, diamo comunque il meglio di noi stessi. Poi ti capitano sempre delle serate in cui il pubblico ti ripaga di tutti sacrifici. Quest’anno, penso che sia toccato alla città di Catanzaro, la quale, durante il concerto dell’11 settembre nel quartiere di Santa Maria, ci ha dimostrato l’affetto e il calore umano di cui un gruppo come il nostro ha bisogno per ritrovare motivazioni, creatività e forza di volontà».