Dal 23 aprile è disponibile il nuovo album di Andrea Tich dal titolo Storia di Tich, una pop suite che racconta il viaggio onirico dell’alter ego cantautore siciliano.
È un disco fatto di paesaggi sonori e di ricordi dove tutto viene raccontato con maturità e consapevolezza, un album in cui i 10 brani che lo costituiscono sono legati tra loro da un’orchestrazione vincente che fa percepire sensazioni ed emozioni grazie alla Magister Espresso Orchestra, al musicista e scrittore Alessandro Sbrogiò e al fedele amico, collaboratore di sempre e da sempre Claudio Panarello.
Andrea Tich è stato percepito dai suoi esordi come un disobbediente, un artista che non può essere catalogato ed etichettato perché la sua vena creativa è libera, anarchica, unica. Anche in questo ultimo album lo dimostra senza ombra di dubbio.
Ecco la tracklist: Viaggiare, Il mio acquario, La finestra, I sogni, Questo angolo di mondo, Megavita Megamore, Racconto in treno, Sotto un albero, Meduse in amore (il canto), Pensa se non avessimo le ali ( Nella versione CD un undicesimo brano: Riavremo le ali).
L’album è stato preceduto dal singolo Megavita Megamore, una ballad che, con flashback visivi ed astratti, ripercorre il passato del cantautore. Il video che l’accompagna, girato da Jacopo Tich è l’espressione di come i ricordi, le attese, i sogni e l’inconsapevolezza che abbiamo vissuto ci facciano continuare a credere che ci sia un futuro migliore. Le immagini, con la loro tipica patina anni ‘70 ripercorrono gli anni del debutto del cantautore e riprendono parte della registrazione del brano in studio e mostrano i processi di making of di tutto il disco insieme ai musicisti coinvolti nel progetto.
Noi di Mydreams abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistarlo.
Come è entrata la musica nella tua vita?
«Quando avevo circa nove anni, girava per casa una chitarra alla quale erano oramai rimaste soltanto due corde. Un giorno la presi in mano e cominciai a “smanettare” con le chiavette per l’accordatura, e come per magia mi resi conto che il casuale e gradevole suono che scaturiva da quella cassa armonica di legno sprigionava in me meravigliose sensazioni che spalancavano le porte delle infinite combinazioni melodiche e armoniche. Avevo scoperto la “mia” musica, quella che mi avrebbe accompagnato nel corso della vita».
Quali artisti ti hanno influenzato?
Sono tanti, ma spesso e volentieri riascolto Frank Zappa, che per me è stato una folgorazione. Ha cambiato completamente il mio modo di comporre musica: la sua genialità, l’arte di creare musica in maniera così artigianale e inconsueta, stimolava in me la voglia di imitarlo. Ogni singola nota, ogni passaggio musicale, ogni “rumore” era perfetto. Poi c’è il primo Battiato, nello specifico l’album “Fetus”. I suoni di questo disco, le atmosfere, gli intarsi di voci, formule fisico/idrauliche e le citazioni classiche (il pianto di Battiato sulle note della Moldava di Smetana è struggente) ti portano ad avere una speranza, ormai svanita… e i Kraftwerk. La musica elettronica fatta con audacia, che racchiude tutta l’energia della loro musica ma con la bellezza e delicatezza delle armonie, creando tappeti elettronici che scatenano la voglia di vivere una vita parallela, che ipnotizza e rende schiavi dei loro ritmi».
Con quali vorresti collaborare?
«Con Frank Zappa oramai non è più possibile, ma anche se fosse ancora tra di noi, dubito che avrei potuto avverare questo sogno. Un po’ per lo stesso motivo Battiato, credo abbia problemi di salute e la musica per il momento non è nelle sue priorità. Invece grazie alla collaborazione con Paolo Tarsi e l’ex Kraftwerk Emil Schult e Lothar Manteuffel, ho partecipato come voce nel brano “Artificial intelligent”, e ho anche realizzato due mix: “Kunstliche Intelligenz” e “A.I.Tich MIX”. Ho curato anche i missaggi e la programmazione della drum machine. Quindi posso ritenermi soddisfatto».
Scrivi tre aggettivi per definire la tua musica.
«Il primo, assegnato da Gianni Sassi della Cramps che è l’etichetta che pubblicò nel 1978 il mio primo disco è stato “canzoni non allineate” in quanto non precisamente classificabili con la tradizione delle canzoni italiane del periodo. Poi direi “disordinario”, dove vige la legge del non ordinario, perché le canzoni le scrivo così come vengono cercando di creare qualcosa che possa sorprendere e stimolare l’ascolto. E poi “sospeso”… nel mio mondo musicale, tutto è quasi sempre evanescente, etereo, onirico. Questo spesso determina e stimola la fantasia di chi ascolta la mia musica, immaginando attraverso le code strumentali che spesso fanno da colonna sonora alle parole che canto all’inizio nella gran parte delle mie composizioni».
Come e quando è nato il progetto dell’album Storia di Tich?
«Stavo scegliendo le canzoni del nuovo album che volevo pubblicare e mi sono accorto che tra le tante canzoni inedite c’era qualcosa che le accomunava e cioè i ricordi e i sogni, due temi a me molto cari che hanno sempre aleggiando nei testi e nelle musiche della mia produzione. Così ho pensato di creare un album che avesse il sapore di una favola, anzi, avrei aggiunto anche dei raccordi estrapolandoli da registrazioni di “parlati” che facessero da collante al tutto e che dessero l’impressione di un viaggio nel mondo fantastico e misterioso dei sogni, che gioca in maniera bizzarra con i ricordi. Ma la lampadina si è accesa quando ho pensato di coinvolgere il mio alter ego TICH, questo personaggio che ho creato quand’ero piccolo e che mi ha sempre accompagnato una sorta di coperta di Linus. Ed è proprio lui che come un cicerone, guida gli ascoltatori lungo questo racconto».
Quale comune denominatore hanno i 10 brani che lo compongono?
«I sogni e i ricordi ormai diventati sogni. Questi sono i due motori che hanno acceso la voglia di condividere questi stati mentali. Le voci di mia sorella Cristina che parla della meravigliosa sensazione che provavamo quando a primavera spalancavamo le finestre con il sole già caldo che preludeva alla torrida estate Siciliana, di una ragazza Kazaka che divaga introducendo la canzone “i sogni”, di un’amica polacca che ripete una frase sulla gente che nonostante tutto continua a sognare, di un poeta siciliano che recita una sua poesia… insomma tutto questo ha un suo perché e sta a voi scoprirlo».
Quale di essi ha richiesto un maggiore sforzo interpretativo?
«Sono due le canzoni che hanno richiesto più sforzo interpretativo. Una è “Racconto in treno”, perché in origine era stata scritta per essere soltanto strumentale e quindi, senza alterare le melodie, ho dovuto adattare un testo e cantare sincronizzando alla perfezione i temi musicali preesistenti. L’altra è stata “Meduse in amore” perché volevo che la voce trasmettesse lo stato d’animo di questa atipica storia d’amore tra due meduse e quindi lo sforzo è stato molto laborioso… pensa che le take vocali sono state quasi sessanta estrapolando ed editando le parti più convincenti. Poi con la forza delle voci femminili (Isabella Vottariello e Cinzia La Fauci) l’intento credo sia stato raggiunto».
Come pensi di promuovere questo tuo ultimo lavoro?
«Ce la stiamo mettendo tutta, il team che si occupa della “creatura” è altamente professionale e preparato. Numerosi appuntamenti con radio, tv, giornali, webzine sono quasi all’ordine del giorno. Purtroppo non è ancora possibile fare concerti, ma quando questo avverrà voglio condividere con il pubblico le mie esperienze con la mia chitarra e la mia voce parlerò dentro ognuno di voi».