Dopo averlo visto in “Lacci”, l’ultimo film di Daniele Lucchetti, Silvio Orlando sarà nuovamente protagonista del grande schermo nei film: “Ariaferma” di Leonardo Di Costanzo e “Il bambino nascosto” di Roberto Andò. Di recente è ha ricevuto il Premio alla carriera al Social World Film Festival, un riconoscimento che va ad aggiungersi ai due David di Donatello, i due Nastri d’argento, un Globo d’oro, due Ciak d’oro e alla Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile e il Premio Pasinetti al miglior attore alla 65ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia per “Il papà di Giovanna”.
Nel 2021 dovrebbe uscire “Ariaferma” con lei e Toni Servillo come protagonisti. Può darci qualche anticipazione sul suo personaggio? È la prima volta che lavora con Servillo, come l’ha vissuta?
«Primo o poi doveva accadere di incontrarci su un set. “Ariaferma” è un film di Leonardo Di Costanzo, un regista rigoroso che proviene dal documentario, in questo film è riuscito a sintetizzare perfettamente un documentario con un film di finzione. È un ritorno al cinema di impegno civile, insieme ad un altro film intitolato “Il bambino nascosto” di Roberto Andò, un film girato a Napoli. Sono nato con il cinema di impegno civile, ricordo il film “Il portaborse” di Daniele Luchetti. Il film “Ariaferma” prende posizione forte sul tema delle carceri. Il carcere non può essere il luogo solo della vendetta. Coloro che commettono reati efferati meritano una punizione, ma la società non può esercitare solo vendetta. Il carcere deve essere occasione di riflessione per lo Stato e per chi subisce la privazione della libertà. Il tasso di recidività nelle carceri d’Italia è spaventoso, insostenibile, uno dei nostri limiti, perché non si nasce detenuto. Purtroppo spesso in molti quartieri delle nostre città non nascono colpevoli ma detenuti».
Nel film “Lacci” il suo personaggio recita la frase: “per stare insieme tutta la vita bisogna parlare il minimo indispensabile”. Questa filosofia può essere applicata oggi in un mondo in cui tutti hanno bisogno di comunicare?
«Questa è la visione dello scrittore Domenico Starnone, il cui testo l’ho portato anche a teatro. Pur essendo una persona solare, divertente, un intellettuale che dialoga con tutti senza farti sentire mai il peso di quello che sa, negli ultimi romanzi possiamo definire la sua estetica quella della fine del mondo, dell’estinguiamoci. La cosa impressionante del film Lacci più che il rapporto di coppia, sono i figli peggio dei genitori, raramente si era visto in un film, dando del futuro un’immagine devastante. Lui sostiene: “se volete consolazioni, qualcosa che vi fa stare meglio andate in farmacia, non è compito della letteratura. La letteratura deve creare disagio”. Ed io sposo il suo pensiero. Starnone è uno scrittore che mette sempre ironia in ciò che scrive.»
Qual è il regista più esigente con cui ha lavorato?
«Il mio primo film è stato “Palombella rossa” di Nanni Moretti, allora ho acquisito un’idea di cinema che richiede tanto. Nel tempo ho avuto registi più o meno esigenti fino ad arrivare a Paolo Sorrentino, penso che sia il mio punto d’arrivo per quanto riguarda l’esigenza».
Come si è evoluto negli anni il suo percorso da attore?
«Nel mio piccolo ho cercato di assolvere con responsabilità di questo mestiere. Non ho frequentato particolari scuole di recitazione. Ho cercato di capire come intraprendere questo lavoro, partendo dal mio vissuto, dalla mia storia, dalle mie ferite che ho cercato di condividere con gli spettatori, che spesso si immedesimavano e si identificavano in quelle ferite».
Lei riesce ad interpretare senza fatica qualsiasi ruolo. Quale personaggio le ha dato particolare difficoltà?
«L’esperienza con Paolo Sorrentino nei film “The Young Pope” e “The New Pope”, la considero come una specie di sogno. Nel rivedere le immagini della Cappella Sistina sembra che non lo avessi fatto realmente, come se me lo fossi sognato. All’interno di quel sogno qualche volta c’è un risveglio di notte, ricostruisco quei brandelli del sogno. Quella è stata l’esperienza più stressante, ma al tempo stesso uno dei regali più importanti che mi ha fatto il cinema e Paolo Sorrentino mi ha regalato le parole più belle che ho detto al cinema».