«Mi piace attraversare i diversi linguaggi musicali che sono stati oggetto di studio e contaminazione del mio percorso musicale fino ad oggi»
È uscito È il bene che resta il secondo album del cantautore, bassista e contrabbassista napoletano Fulvio Di Nocera, in arte Scapestro. Alla sua realizzazione hanno collaborato la percussionista e cantante Chiara Carnevale, la tastierista e chitarrista Antonella Bianco, il batterista Jonathan Maurano, la polistrumentista Caterina Bianco e il pianista jazz Giosi Cincotti. Il disco della maturità artistica di Scapestro è disponibile sulle piattaforme digitali e in formato CD. Pubblicato dall’etichetta SoundFly, l’album è stata anticipato dal singolo È il bene che resta, accompagnato dal videoclip della regista Denise Galdo.
Il tuo nuovo album dal titolo È il bene che resta, concepito durante la pandemia, è il frutto di profonde considerazioni sulla vita, in un periodo in cui i rapporti umani si sono inaspriti. Ma quali sentimenti hai provato in quei lunghi mesi?
«Nel primo lockdown ho vissuto quei mesi come un’opportunità; avere del tempo per dedicarmi alla stesura del nuovo disco mi ha fatto stare bene, mentre tutto sembrava irreale era l’antidoto migliore. Il lato positivo era constatare il riprendersi della natura quando l’uomo si arresta con la sua macchina infernale. Abbiamo visto delfini e balene ritornare in acque non battute, mari e aria più pulita, anche in questo caso un lato positivo c’è stato se vogliamo vederlo».
È il bene che resta è un disco dalle sfumature rock, blues, elettronica, jazz, musica popolare. È il risultato di un’intensa sperimentazione musicale?
«Si certo. Mi piace attraversare i diversi linguaggi musicali che sono stati oggetto di studio e contaminazione del mio percorso musicale fino ad oggi. È un po’ come poter cambiare un vestito e trovare quello più adatto per esprimere al meglio il mood di un brano».
Il singolo È il bene che resta si tuffa nel passato tra ricordi indelebili, mentre guarda al domani. È il bene compiuto che alla fine dà senso alla nostra esistenza?
«Credo di sì. Viviamo in parte di ricordi, la scelta di quali possano risalire a galla resta a noi. Per me “è il bene che resta” rappresenta un cammino verso una realizzazione personale e umana».
Il brano Non c’è tempo per amarsi sogna giorni migliori in cui finalmente poter riuscire a comprendersi. Stiamo vivendo un tempo complicato anche nel vivere i rapporti sentimentali?
«Assolutamente sì. Questa pandemia ci ha mostrato un evidente segnale di quanto siamo distanti, divisi e incattiviti verso l’altro. In questo periodo storico ci riempiamo la bocca con parole come inclusione, integrazione, rispetto delle diversità, ma sinceramente sembra regnare individualismo e rabbia repressa che si manifesta nel peggiore dei modi».
Marinai è un inebriante canzone di musica popolare dalle tinte jazz, impreziosita dalla voce di Chiara Carnevale. Da cosa ti sei lasciato ispirare?
«Il testo è tratto da un libro che raccoglie canti e racconti popolari. Quando l’ho ascoltato per la prima volta in una versione che Chiara aveva fatto con suo padre mi ha subito conquistato. Da lì poi abbiamo iniziato a suonarlo insieme nei nostri concerti e ha trovato un nuovo mood sulle onde della sua voce, non potevamo non inserirlo in questo nuovo disco».
La tua carriera artistica inizia con i Polina, una band napoletana jungle- drum ‘n’ bass. Come musicista cosa ti resta di quel periodo artistico?
«Quegli anni mi hanno dato tanto sia dal punto di vista musicale sia umano. Era davvero un’altra epoca, un modo di vivere e fare musica molto diverso da oggi, non avevamo ansie da visualizzazione 🙂 facevamo la nostra musica e questo ci bastava».
Hai collaborato in questi anni con 24 Grana, Francesco Di Bella, Pennelli di Vermeer, Epo, Assurd, Rione Junno. Quanto ti hanno forgiato a livello musicale queste collaborazioni artistiche?
«Come tanti pezzetti di un mosaico, tutte le esperienze e collaborazioni di questi anni hanno influenzato e contaminato la mia musica».