Salvatore Formisano, dopo anni da “Cronaca di un borgo marinaro” torna al suo primo amore e scrive il romanzo “San Gennaro si fida di me” (Ed. La Valle del Tempo).
Il Libro. È una Napoli vista con gli occhi di un adolescente. Una banda di ragazzi con l’illusione di poter contare nella società. Il voler diventare a tutti i costi camorristi con l’ambizione di controllare i rioni della vecchia Napoli, tra le bancarelle dei Decumani e Piazzetta Banchi Nuovi. La strada diventa la palestra per chi vuole entrare a far parte a pieno titolo nella “banda”. In quei luoghi si fanno le prime esperienze: amicizie, amori e guapparìa. Pasqualino è uno di loro che, dall’esperienza della strada, prende la parte buona: la consapevolezza di sottrarre i suoi compagni dalle reti della malavita. Della sua idea, l’unico alleato è San Gennaro, il cui rapporto, determinerà la svolta. Una storia di amore e solidarietà, uno sguardo sulla città dove le brutture sono nascoste dalla leggerezza dell’essere, ma che restano ben visibili nella mente dell’adolescente che sogna un mondo diverso.
Al centro della storia del tuo romanzo troviamo Pasqualino, un adolescente che si ritrova davanti a un bivio: scegliere la strada del bene o quella del male. Il giovane protagonista sceglierà quella più complicata, quella in cui dovrà mostrare tutta la sua forza e il suo coraggio. Come nasce questa storia?
«Questa storia nasce da alcune riflessioni sulla società, e dai tanti confronti avuti, soprattutto con i ragazzi. In loro ho rivisto Pasqualino, e poco per volta ne ho costruito il personaggio. Il romanzo mi ha dato la possibilità di osservare Napoli con gli occhi di un adolescente, e ne ho evidenziato le caratteristiche, le ambizioni e le paure. I giovani oggi vogliono avere la possibilità di poter scegliere e decidere il loro futuro e, il primo desiderio è di poter contare, essere rispettati, e avere la possibilità di osare e di imporre le loro regole: La camorra, nel caso del romanzo, è il vestito perfetto da indossare. Questa caratteristica cresce nell’animo di chi è convinto di voler proseguire verso una strada che conduce al male. Per Pasqualino è diverso, l’esperienza della “banda”, lo induce a ripensare il suo percorso, ormai è a un bivio e deve scegliere, e sceglie la più difficile da affrontare. Con coraggio decide di percorrerla da solo, consapevole che parte dei suoi amici non lo seguiranno».
Tu sei anche un regista e un autore di testi teatrali. Il romanzo sotto certi aspetti sembra una vera e propria sceneggiatura. Lo hai scritto con la consapevolezza che un giorno potesse diventare uno spettacolo?
«In realtà ho pensato di scrivere un romanzo, anche se spesso mi porta a utilizzare il metodo della scrittura teatrale. Infatti, le scene narrate e i dialoghi, contengono le indicazioni e le sonorità giuste per trasformarlo in un testo teatrale o in una sceneggiatura cinematografica. Per il momento voglio godermi il romanzo, poi magari un giorno si potrà pensare di utilizzare la storia per il teatro o il cinema».
Chi legge il libro, si ritrova coinvolto in una storia, dove il protagonista alle prese con le sue scelte e il suo racconto, fa rivivere alcune delle tradizioni tipiche napoletane. Che significato assumono le tradizioni nel tuo romanzo?
«Le tradizioni costituiscono la base di una comunità, sono il dna dell’individuo, dettano il tempo di un’esistenza, danno colore alla vita stessa. Senza le tradizioni un popolo non esiste, esse rappresentano le tappe fondamentali di un radicamento storico e sociale. Io le ho volute evidenziare per dare colore alla realtà dei luoghi dove si svolge la storia. Se nel teatro o nel cinema alcune azioni si possono vedere chiaramente, nel libro bisogna narrarle e definirle per accompagnare il lettore nell’azione del romanzo. Lo scrittore ha il compito di far rivivere, a chi legge, la storia che sta raccontando».
In “San Gennaro si fida di me” si possono cogliere tanti messaggi, l’uno diverso dall’altro. Quale è quello che vuoi far emergere di più?
«É l’amore incondizionato di Pasqualino per la sua terra, il voler fare a tutti i costi qualcosa. Nel romanzo ho cercato di dare un messaggio chiaro, se c’è la volontà di cambiare si può, bisogna semplicemente crederci come ha creduto Pasqualino. Ma per poterlo fare bisogna uscire dagli schemi e dalle etichette che il napoletano da tempo si porta addosso. Nel romanzo un adolescente c’è riuscito perché ha avuto la testardaggine di portare avanti la sua missione. Il mondo è di tutti e può cambiare, ma ci vuole tanta buona volontà».
Pasqualino è un sognatore, un ragazzo che pur di portare avanti quelli che sono i suoi ideali, sfida tutto e tutti, affidandosi alla fede che ha per San Gennaro. Chi è Pasqualino e in quali aspetti si avvicina a Salvatore Formisano?
«Voglio precisare che Pasqualino si avvicina a San Gennaro per un’esigenza materiale, non tanto per fede. San Gennaro a Napoli è considerato uno di noi, un amico che esce dai dogmi della chiesa e va in giro per le strade. È il confessore dell’intera città. A lui gli si chiede ogni sorta di miracolo, più che miracolo gli si chiede un “favore”. Per Pasqualino è la stessa cosa: San Gennaro è il suo specchio, parla con lui per non essere contraddetto, perché è l’unico che l’ascolta senza profferire parola, e alla fine come tutti i napoletani, spera in un “favore”. Sotto alcuni aspetti il protagonista del romanzo mi somiglia. In comune abbiamo la speranza di vedere un giorno Napoli cambiata, e la poca volontà di frequentare la scuola. Sia io che Pasqualino non amiamo le regole troppo rigide».
Ci parli della scelta della copertina?
«Non è stato semplice scegliere la copertina. Avevo un’idea un po’ articolata. Cercavo un quartiere di Napoli, e l’immagine di San Gennaro che non fosse iconografica. Ho visionato alcune bozze ma nessuna faceva al caso mio, tutte erano troppo schematiche, realistiche e che non denotavano le caratteristiche del protagonista. Poi ho parlato con Claudia Formisano, un’ottima disegnatrice ed anche figlia mia, le ho chiesto di tenere in considerazione i tre elementi di cui avevo bisogno: Un quartiere di Napoli, San Gennaro che incombe sulla città, e la vicenda raccontata da un adolescente. Già dalla prima bozza che mi ha sottoposto, me ne sono innamorato».
Chi è Salvatore Formisano e quando è nata l’idea di scrivere libri?
«Sono una persona che per gran parte della propria vita ha creduto in un cambiamento radicale della società. Ho sempre pensato che il mondo è di tutti e deve essere libero. Sono per la condivisione delle idee. A un certo punto del mio percorso è giunta la rassegnazione. Poi mi è tornata la voglia di voler ridare il mio contributo utilizzando gli strumenti a me più congeniali: il teatro e la scrittura. L’idea di scrivere è nata dalla volontà di voler sognare, si perché la scrittura è un viaggio che puoi costruirti con la fantasia, e metterci dentro i tuoi pensieri e le tue riflessioni. Con la scrittura ho affrontato viaggi idilliaci ed esplorato situazioni talvolta a me sconosciute. La speranza è anche quella di lanciare un messaggio».
Cosa rappresenta per te questo libro?
«Rappresenta l’inizio di un confronto, una nuova avventura da condividere soprattutto con i giovani che spero leggano il libro e prendano Pasqualino come esempio, affinché giunti al bivio, possano incamminarsi verso la strada giusta».
Nel raccontare la storia di Pasqualino, ti sei ispirato a qualcuno oppure è un personaggio nato dalla tua penna?
«Certo, dei riferimenti familiari ci sono. Alcuni momenti di vita quotidiana affiorano da ricordi della mia infanzia. Sotto alcuni aspetti Pasqualino un po’ mi somiglia. Il resto è frutto di osservazioni e di chiacchierate che ho trasformato in narrazione, ma c’è pure tanto sogno».
Questo romanzo è ambientato a Napoli, una città che per certi versi è una vera e propria protagonista di “San Gennaro si fida di me”, oltre naturalmente al giovane Pasqualino. Come mai la scelta di tale ambientazione?
«Mi definisco un napoletano critico, ma non posso fare a meno di raccontarla. Quale scenografia migliore da inserire nel romanzo se non Napoli? Durante la stesura ho cercato di circoscrivere un’area cui sono più legato: i Decumani, Forcella, e la Sanità, zone che ritengo siano il cuore pulsante della vecchia Napoli. Lì mi sono divertito a fare emergere, oltre alle caratteristiche architettoniche, anche le etnie che vi risiedono e gli odori dei vicoli, che rappresentano la vita di quei quartieri. Poi ho fatto rivivere personaggi che ho avuto il piacere di conoscere o anche semplicemente incontrati durante le mie passeggiate».
In questo libro, si percepisce molto l’importanza della famiglia, ma anche dell’amicizia. Ce ne parli?
«Per me la famiglia e l’amicizia sono due elementi essenziali dell’individuo. La famiglia è il contesto in cui nasci e cresci, è la palestra che ti forma per affrontare la vita al di fuori delle quattro mura di casa. La famiglia ha avuto un ruolo fondamentale per la mia crescita, infatti, nel romanzo ne parlo molto dettagliatamente, e quei momenti sono la fotografia la mia adolescenza. Nonostante le molte delusioni, continuo ancora a credere nell’amicizia. Per fortuna ho anche amici veri che forniscono prova nei momenti di bisogno, e so di poterci contare, sempre».
A cosa stai lavorando in questo periodo?
«Sto lavorando alla messinscena del testo teatrale: “Vecchi tempi” di Harold Pinter e sto scrivendo un nuovo romanzo, ma è ancora in fase embrionale, quindi preferisco non parlarne ancora».
Salvatore Formisano. Regista, sceneggiatore teatrale e cinematografico, Formisano negli ultimi anni ha portato in scena diversi spettacoli da lui scritti e diretti come “La Notte di Natale e Marzia” di Giorgio Serafini Prosperi, “Le Serve” di J. Genet, “Ferdinando” di Annibale Ruccello, “L’Amante” e “Il Calapranzi” di Harold Pinter, il corto teatrale “La Trappola” e “’O Trammammuro”, quest’ultimo ispirato dal Calapranzi di Harold Pinter. Ha realizzato un cortometraggio dal titolo: “La fuga”, che narra di un rapporto tra una madre e un figlio autistico. Ha collaborato con la “Movie Dream Production”, per la quale ha scritto la stesura della sceneggiatura del documentario: “8 dicembre, tra Mito, fede e Tradizioni”, un progetto che traccia il limite tra la fede e le tradizioni popolari.