Rosalba Di Girolamo è architetto ed attrice con una grande passione per la scrittura che la accompagna da sempre. Come ti sei formata artisticamente?
Ho sempre dipinto, fin da piccolissima, come molti dei miei familiari, e con mio padre professore universitario sono cresciuta nell’ idea che fare l’università fosse un valore imprescindibile. Architettura è stata inizialmente un giusto compromesso, poi ho scoperto che l’approccio progettuale imposta qualsiasi mia scelta, anche teatrale. Per me uno spettacolo è una visione di insieme che parte dallo studio, tanto studio, per finire nella stoffa che si usa per un abito o per la luce che illumina un volto. Passando naturalmente per lo studio delle parole e del personaggio. Uno spettacolo è un progetto, sempre, dal generale all’esecutivo, che trova nel personaggio il suo cuore pulsante e la sua ragion d’essere. Non a caso ho sposato un architetto. Il mio percorso teatrale è nato dentro il fertile ambiente della facoltà di architettura di Firenze, che mi ha portato a lavorare a fianco di un grande maestro, Giancarlo Cauteruccio, come scenografa e sua assistente, e a maturare da dietro le quinte il desiderio di calcare le scene. E da lì ha vinto il teatro.
Hai una grande attenzione per il mito, i tuoi adattamenti teatrali come nascono?
Ogni mito greco emblemizza in modo estremo ma chiaro e assoluto una caratteristica e una tendenza dell’ essere umano. L’insieme dei miti, la saga mitologica, è come se componesse l’ essere umano nelle sue molteplici possibilità, e le relazioni tra i vari attori della saga rappresentano la lotta sempre in essere che avviene dentro di noi e di riflesso nella società. Amo il mito perché riesce a esprimere tutto questo in modo chiaro, assoluto, poetico crudo e fiabesco al contempo, senza cadute maldestramente sentimentali o religiose. Dei e uomini hanno le stesse debolezze. Solo Shakespeare è riuscito a fare qualcosa di simile a quello che fecero i greci classici. Sono sempre stata una affamata lettrice. Amo le parole, ne riconosco il potere: una cosa è se viene detta. E diventa altro per come viene detta. Una parola può guarire, se viene dal cuore, certo. Dovremmo pensare di più alle parole che usiamo. Spesso i romanzi che ho amato, e da cui ho tratto spettacoli, mi hanno affascinato innanzitutto per la complessità o l’originalità della lingua, dall’ Horcynus Orca a Breviario Mediterraneo, per citarne solo due (da cui ho tratto Acqua e Itaca). Gioco con le parole, non sono una scrittrice, ammiro profondamente gli scrittori. Nel più assoluto silenzio creano mondi.
Come costruisci un personaggio sulla carta e poi come lo porti in scena?
Per affrontare un personaggio innanzitutto studio. Leggo. Tutto quello che posso, letteratura, cronaca, biografia, poesia, a seconda del personaggio. Non guardo mai film o interpretazioni fatte da altri. L’unica strada possibile per me è fare filtrare quella storia, attraverso la mia storia. Ed è sempre una sorpresa quello che viene fuori. Ogni volta che vado in scena penso che tutte quelle persone avrebbero potuto star facendo qualcos’altro e invece sono lì ad ascoltare me, e non possono controbattere quello che dico, quindi cerco di essere quanto più nuda possibile, per umana par condicio
Che rapporto hai con Napoli?
Sono tornata a Napoli per stare vicino ai miei genitori, in particolare a mio padre. Poi ho incontrato Carpentieri e il fuoco artistico di Napoli e ci sono rimasta più di quanto avessi pensato. Non me ne andrei mai più. Se non per andare a vivere in un posto dove fa sempre caldo, dove fare tutti i giorni il bagno a mare. Ogni cosa che posso aggiungere su Napoli la sua immensa bellezza e la sua immensa violenza è una banalità
Donna e artista: binomio ancora oggi complesso o è cambiato qualcosa?
È difficile autodefinirsi artista. È l’arte che definisce l’artista, non viceversa. Ed è chi fruisce l’arte qualsiasi sia, che identifica colui-lei che ne è stato il tramite un artista. Autodefinirsi artista è a mio avviso quasi sempre un mero atto di vanità. Credo che dovremmo dare di più e raccontarci di meno.