Nando Paone è un attore straordinario capace di lavorare sul registro comico ma anche su quello drammatico con maestria; appartiene ad una categoria di artisti che si mettono a servizio dell’arte mutando faccia sempre, per ogni lavoro c’è un nuovo inizio, una nuova metamorfosi. É in sala “Veleno” il film diretto dai Diego Olivares, un lungometraggio senza censure che racconta della terra dei fuochi e delle storie, delle cose terribili che avvengono.
Lei è uno dei protagonisti e la critica ha molto apprezzato la sua interpretazione perché ha avuto modo di mostrare tutto il suo talento drammatico, ci parla di questa esperienza?
«Senza falsa modestia credo di non avere fatto nulla al di fuori dall’ordinario perché credo che l’attore debba potersi cimentare in registri differenti. Non è la primissima volta che affronto un ruolo drammatico perché già in “Reality” intrepretavo un ruolo drammatico anche se non facevo un cattivo come mi è capitato in “Veleno”; andando indietro nella mia carriera già in “Cellini -Una vita scellerata” di Giacomo Battiato ero il tesoriere di papa Clemente VII, interpretato da Max von Sydov, un personaggio cattivo, scostante, antipatico. In “veleno” sono un capetto della camorra che, come accade sempre, avendo un minimo di potere lo esercita e in questo caso lo fa sul nipote. Spero che il pubblico andrà a vedere questo film perché non si enfatizza la figura del cattivo, cosa che in molte pellicole viene fatto e che provoca, molto spesso nella nostra società così malata, un terribile effetto emulazione».
In teatro debutterà con “Don Chisciotte” per la regia di Alessandro Maggi con Peppe Barra nei panni di Sancho nella riscrittura di Maurizio De Giovanni; possiamo parlare di una sottile inchiesta che conduce ad una riflessione su sé stessi e sul mondo?
«Decisamente sì, è proprio questo. Con il regista Alessandro Maggi, che stimo e del quale mi fido in maniera totale, un paio di anni fa abbiamo proposto questo lavoro a Michele Gentile che ci ha dato il suo supporto produttivo ed insieme abbiamo pensato al coinvolgimento del grande Peppe Barra per fare Sancho. Devo dire che per me è un onore lavorare con lui, che stimo da sempre e trovo un interprete eccezionale. Ma non vedo l’ora di lavorare su “Don Chisciotte” perché Maurizio De Giovanni, che ha fatto la sua riscrittura del testo di Cervantes, scrive meravigliosamente e ha fatto un lavoro sartoriale su di me confezionando un personaggio ironico, grottesco, comico, drammatico, insomma completo. Apprezzo molto De Giovanni perché, oltre ad essere un gran romanziere, ha una visione teatrale profonda».
Cosa rimane del “Don Chisciotte” di Cervantes nella vostra versione?
«De Giovanni ha conservato il carattere cervantesco dei personaggi, ma ha scritto una storia diversa; è un viaggio nell’introspezione dell’essere umano in cui Don Chisciotte, idealista, individua le cattiverie, le nefandezze, le ipocrisie dell’essere umano. Lui è la mente eletta, forse pazzo o forse il più sano di tutti e svolge il suo pensiero all’interno di un Napoli distrutta dalla guerra. Tutti i personaggi della commedia rappresentano i diversi ceti sociali che cercano di riemergere dalle macerie lasciate dalla guerra».
Una sfida attoriale non indifferente, quindi?
«Si è un personaggio difficile ma io amo le sfide. Oggi c’è la tendenza per i registi, per i produttori, ad avere l’attore che fa sempre sé stesso, c’è di nuovo la tendenza alla maschera cosa che è molto lontana dalla mia formazione; per me l’attore deve essere sempre qualcosa di diverso, al di fuori di sé stesso. Io rinuncio a fare molte cose perché mi chiedono sempre gli stessi personaggi; con Salemme, per esempio, ho interpretato tutti i pazzi possibili, se mi chiedono un pazzo non lo faccio perché ho esaurito questa categoria».
Quasi all’inizio della sua carriera ha lavorato per l’Ente teatro cronaca di Mico Galdieri, dove ha interpretato La buffa historia di capitan Fracassa…; si tratta di un altro personaggio molto amato e noto come il Don Chisciotte, possiamo parlare di corsi e ricorsi teatrali?
«In un certo senso sì. A quel lavoro sono legato molto perché facevo l’innamorato che, secondo le regole della commedia dell’arte, doveva essere intrepretato dal bello della compagnia, io non lo era affatto, ero piuttosto un tipo curioso, ma il grande Mico Galdieri, a cui devo tutto perché è lui che mia ha insegnato tutto, mi convinse a fare questo personaggio e devo dire che fu una sfida vinta».
Pensa che oggi i giovani vogliano ancora fare la gavetta?
«Parto dall’idea che la gavetta non finisce mai; insegno con Cetty Sommella da 14 anni formazione teatrale e ripeto questo come un mantra e devo dire che alcuni dei nostri allievi, pur lavorando in contesti prestigiosi, non credono di essere arrivati da nessuna parte come è giusto che sia. L’attore deve essere al servizio del personaggio, quindi si comincia daccapo ogni volta, bisogna ripartire dal pozzo della purezza».
Ha lavorato con molti attori e registi importanti ma mi piacerebbe che mi raccontasse qualcosa di Luca De Filippo
«Ho ricordi veri con Luca non come quelli che quando muore qualcuno millantano rapporti inesistenti, era capace di mantenere le file della compagnia con estremo equilibrio: rigore e serietà in scena, spirito conviviale fuori dall’ambito lavorativo: le compagnie sono come famiglie e bisogna sapere creare l’armonia. Quel ragazzone sorridente lo faceva molto bene. Mi ricordo di scherzi terribili organizzati da lui e Vincenzo Salemme ai danni dei malcapitati compagni di viaggio».
Quali sono suoi prossimi progetti?
«Dopo il Don Chisciotte vorrei portare in scena “Il diario di un pazzo” scritto da Mario Moretti e tratto da Gogol, un altro lavoro che mi permette di calarmi in un personaggio sfaccettato e completo. Ho fatto un piccolo personaggio, piccolo, ma intenso nel nuovo film di Vincenzo tratto da “Una festa esagerata”. Il 18 ottobre alla sala Moliere stiamo organizzando un omaggio a il grande musicista Gino Evangelista. Sto chiamando a raccolta tutti i musicisti cha hanno lavorato con lui e già in tanti mi hanno confermato la loro presenza. Un omaggio voluto e dovuto ad un grande artista».