Arrabbiato quanto basta, cresciuto, baluardo dell’hip hop puro, Marracash, il rapper milanese, torna in questi giorni sul mercato con un disco lungo e denso di testi vorticosi e irriverenti. L’album si chiama Status e il singolo che lo ha anticipato l’anno scorso era già una bella cartolina: La classe dirigente teme più il Gabibbo che la legge (da Status ) diceva. Se scomparissero d’un colpo web e tv ora, non è esagerato dire che in Status ci sarebbe di che leggere per farsi un’idea dell’Italia del 2015. Ce lo siamo fatti raccontare proprio da Marra al lancio del disco, che contiene duetti con Tiziano Ferro, Neffa e anche un sample dei Subsonica.
Cosa hai fatto in 3 anni dal precedente album?
«Credo di non essere mai andato via, anche se non mi interessano le leggi del mercato e il rispetto di un calendario di uscite. Ho fatto una partecipazione al singolo di Guè Pequeno, Brivido, che credo sia il pezzo più emblematico di questi ultimi anni. Ho fatto collaborazioni con la generazione Y del rap italiano e mi ha aiutato a riempire le distanze tra un disco e l’altro.»
Che idea ti sei fatto del genere in Italia?
«Il rap è diventato noioso come il pop. Non è in discussione quello che faccio io, perché con questo disco ho capito davvero cosa volevo essere nella mia musica, evitando di diventare quello che odiavo. È giusto avere una vocazione pop per gli altri, ma io non voglio sacrificare la metrica. A volte mi son fermato per pensare: ma cosa ci faccio io con loro?»
Loro chi?
«Quelli che la stampa butta assieme in un unico calderone. Da quando ho iniziato 10 anni fa molto è cambiato, c’erano 4 nomi che portavano avanti il genere, oggi ce ne sono 15 ma non è detto che siano tutti uguali. Perché nel rock nessuno si sogna di accostare gli Afterhours e i Finley? Nel rap succede.»
Punti al successo commerciale?
«Cosa vuol dire? In America Jay-Z ha venduto molto meno di 50 Cent ma questo non ne ha messo in discussione la sua valenza. La carriera la si giudica alla distanza, il fenomeno giovane può far prese nel momento ma poi? Trovo che comunque la radio e la tv funzionino ancora da spartiacque. Tutti noi sappiamo che puoi fare milioni di visualizzazioni online ma poi tutti vogliono andare in tv e in radio. Anche mia madre se vede che il nuovo disco non si sente per radio mi chiama.»
E tu in tv vuoi andarci?
«Non a cose tipo Amici, dove non ho nulla in comune. E io sono anche uno che ha rifiutato X Factor in tempi non sospetti, quando ancora era in Rai e non era una cosa cool.»
Sei stato in America a realizzare parte dell’album, cosa ti è rimasto?
«All’estero la musica è una professione, qui tutto quello che ruota intorno alla musica è diverso. Tipo, mi chiedo dove sia finita la critica musicale. Ci devono essere strumenti di scelta, qui non sceglie nessuno, è tutto buttato in pasto alla gente. E se si confrontano i top 40 che vanno in radio si vede che sono gli stessi brani che vengono visti spontaneamente sul web.»
E del pop italiano che dici?
«La produzione italiana non ha batteria. È imbarazzante, siamo indietro, io non voglio essere Laura Pausini. Sono altro, voglio interessarmi al beat, alle ultime cose che escono. Qui anche i giovani non fanno musica con gusto giovane. Penso alla Amoroso. Non c’è un’industria giovane per il mercato italiano ed evidentemente il rap è andato a coprire questo tipo di mancanza.»
Il tuo “Status” è denso di storie, denunce, ironia. Di cosa vuoi parlare in maniera più sentita?
«Certamente non faccio politica con i dati Istat e le lamentele sulla disoccupazione. Credo la si possa fare raccontando una storia, una parola chiave. Quello che ho vissuto di persona vale molto di più di una predica politica.»