Igina Di Napoli direttore artistico di Casa del contemporanea e imprenditrice teatrale ha un’anima sfaccettata che è un piacere scoprire.
Casa del contemporaneo è la sublimazione del tuo lavoro. Non solo teatro ma arte a tutto tondo. Come è nata l’idea?
Direi che non è mai nata, nel senso che è stato piuttosto un processo naturale per noi di Cdc coniugare i diversi ambiti artistici del contemporaneo in una visione d’insieme. Se si parte dalla convinzione che ogni singolo gesto creativo utilizza e sintetizza le diverse forme d’arte, la connessione viene da sé.
La tua formazione artistica come è stata?
Sono un’autodidatta penso, si parte da una sensibilità per le arti in generale, ho frequentato l’artistico e poi la facoltà di architettura. Ma sono stata sempre attratta dall’aspetto misterioso, quello della scatola magica, una calamita per me. I miei riferimenti artistici sono stati artisti e critici appassionati. Mentore indimenticabile Giuseppe Bartolucci che mi ha insegnato e guidata a vedere oltre il gusto, e ad essere aperta alla sorpresa che può arrivare da un momento all’altro e a provare a riconoscere il talento. E per altre ragioni Goffredo Fofi stimolante figura di riferimento per i giovani napoletani del mio tempo. Ma credo che quello che più di tutto ha contato è stata la fortuna di aver incrociato un numero nutrito di talenti straordinari.
Casa del contemporaneo è un insieme di più forze artistiche, casuale o vi siete scelti?
Il caso ha voluto che ci scegliessimo! In realtà veniamo da esperienze di fraternità e condivisioni più che trentennali, siamo sempre stati dalla stessa parte del teatro. Poi il cambio di regole voluto dal mibac nel 2015 ha creato la necessità di cercare soluzioni intelligenti per concorrere in modo incisivo al nuovo assetto teatrale italiano. E sento di poter dire che questa che stiamo costruendo è una bellissima realtà, che trova la sua forza nelle ns individualità messe tutte al servizio di un unico obiettivo, produrre e proporre del buon teatro.
Una donna imprenditrice di teatro e arte a Napoli: cosa ha significato nel tuo percorso lavorativo e cosa vuol dire oggi?
È un tema sempre spinoso quello della affermazione delle donne in qualunque campo, che le donne partono sempre con l’handicap di genere è una amara ovvietà. Una regista svizzera/francese mia amica una volta dipinse certi luoghi istituzionali come clan dove il genere maschile liberava il suo desiderio “omosessuale” unilaterale, coniugando maschilismo e omosessualità. È una esagerazione, ma la questione si fonda nel mancato senso di comunità paritarie che leggano e vivano le differenze come ricchezza collettiva. Le donne hanno dovuto coniare le quote rosa, umiliando ancor più il peso delle loro capacità e indipendenza. Cosa vuol dire oggi? Più o meno quel che voleva dire ieri. Non amo il lamento, ma chissà forse potevo essere più utile e incisiva per la comunità cittadina se mi fosse stata data l’opportunità? Magari si… Ma non lo possiamo dire dato che non è accaduto! Una volta qualcuno mi disse: tu dovevi nascere a Parigi.
È possibile avere un rapporto sano con le istituzioni o è un dialogo impossibile?
È piuttosto difficile, certe volte un po’ si riesce, dipende naturalmente dalle personalità politiche e talvolta anche dai funzionari che spesso non riescono a coniugare le esigenze dei cittadini con le regole. Da noi insiste un modello culturale molto diffuso che vede le istituzioni come qualcosa al di sopra del cittadino, in realtà bisognerebbe convincersi che dovrebbero essere al servizio del cittadino. Ma va anche detto che dai ’70 ad oggi molte cose sono cambiate nella costruzione di migliori e più proficue relazioni con le istituzioni. Un esempio è la legge regionale 6/2007 che disciplina la relazione tra la massima istituzione del territorio e il mondo dello spettacolo dal vivo, frutto di un confronto alto tra il settore e il governo regionale.
Come approcciano oggi i giovani al mondo del teatro?
Premesso che la retorica dell’indispensabile coinvolgimento dei giovani in tutti gli ambiti lascia il tempo che trova. Penso che a differenza di quando ho iniziato io i giovani oggi hanno una offerta formativa ampia e diffusa e in taluni casi di qualità, così come nelle proposte e nei luoghi da frequentare e nutrirsi di arte. Negli ’80 i luoghi dove praticare o vedere il teatro o il buon cinema o la danza erano davvero esigui, ora ce n’è in abbondanza. DI giovani autori attori registi etc.etc per costruire il ricambio generazionale direi che il sistema ne produce. Ma credo che una preoccupazione dovrebbe essere quella di trattenere i nos giovani fornendo occasioni di lavoro vero adeguate alla loro formazione, in generale, sia nel mondo dello spettacolo ma soprattutto in tutti gli ambiti direi che questa è una priorità. Trovo che noi abbiamo lottato e resistito e modificato tutti gli assetti nel ns mondo. Ora tocca a loro.
Cosa manca di più in città come progetto artistico?
Ritengo che le manifestazioni tipo eventi o festival pubblici dovrebbero misurarsi diversamente con il territorio, mi pare che vada via via spegnendosi il legame tra queste proposte e la città. Sembrerebbe che Napoli non ha più un festival di teatro ad esempio. E non è solo questione di locations autoreferenziali, ma di distanza sociale e distrazione culturale. Le grandi mostre talvolta non parlano direttamente alla città. Insomma declinazioni più aderenti alla vitalità contemporanea. Questi grandi eventi dovrebbero attrarre attenzioni e operatori internazionali e da tutta Italia per attivare e connettere quella vitalità che sappiamo esistere in loco, magari costruire relazioni aiuterebbe a far crescere il sistema e i giovani, con investimenti che dovrebbero essere utili a tutta la collettività artistica e cittadina.