Corrado Ardone, attore, autore, regista e sceneggiatore, sarà impegnato in diversi progetti; al cinema esce nelle sale “Felicissime condoglianze”, un film che lo vede tra i protagonisti diretto da Claudio Insegno. Nel cast anche Andrea Roncato, Sandra Milo, Ettore Massa, Enzo Salvi, Massimo Peluso, Antonio Fiorillo.
Un film dal titolo originale, tratto dal libro di Tonino Scala, ce ne parla?
«Mi ha colpito subito il titolo che trovo geniale.È la storia realmente accaduta di due fratelli Leo e Max; cresciuti senza genitori, in un paese della provincia campana, i due fratelli sono sulla bocca di tutti per un’iniziativa folle di Max (Ettore Massa): organizzare funerali come feste. Il trauma della morte dei genitori quando ancora erano bambini ha reso Max una persona apparentemente folle che tenta continuamente di sabotare i funerali del paese con iniziative che tendono a mandare su tutte le furie il prete del paese (Andra Roncato). A pagarne le conseguenze è Leo, che è il mio personaggio, prossimo a un matrimonio di convenienza con la famiglia più in vista del paese. Ho avuto il privilegio di lavorare con Sandra Milo che trovo una persona unica, una forza della natura».
Cosa pensa del cinema italiano in questo periodo?
«Sicuramente il cinema italiano migliore lo abbiamo avuto dal dopoguerra con le correnti neorealistiche, abbiamo inventato un genere, la commedia all’italiana che oggi la Francia ci copia con ottimo successo. Le operazioni più creative in terra nostra sono affidate a produzioni indipendenti che rischiano di proprio per portare sugli schermi piccoli ma significativi film. Il problema, se così si può chiamare, non è nella crisi creativa come spesso si vuole lasciare ad intendere, ma nello scarso sostentamento. Faccio un esempio semplice: in Francia, appunto il costo del biglietto di un film americano è maggiorato di un euro, che va a finanziare le produzioni indipendenti francesi. In Italia si finanziano film che fanno rimpiangere i Pierino di Alvaro Vitali, con la dicitura: film di interesse culturale…come mai?».
Il suo impegno nella compagnia del Sannazaro va avanti da anni, lì esiste la forte volontà di riprendere la tradizione partenopea, come si trova in questo contesto?
«Quella di preservare la tradizione è senz’altro un aspetto che va sostenuto in ogni dove. Siamo la somma del nostro passato, non possiamo non averlo presente nel costruire il futuro di una città e di ognuno di noi. Affrontare autori come Raffaele Viviani, per esempio, è un po’ come raccogliere ricchissime eredità che non si possono lasciar cadere».
Parlano di una rinascita culturale, economica, turistica di Napoli, corrisponde al vero da un punto di vista artistico?
«Napoli artisticamente non ha mai smesso di macinare talenti, si è solo acceso qualche riflettore in più. Grazie anche ad una amministrazione che, criticabile o meno, sta creando delle condizioni migliori, anche se il percorso è ancora lungo, ma sono sicuro che non mancheranno i risultati, ci sono ottimi segnali, a mio avviso».
Quante Napoli esistono?
«Napoli è lo yin e yang occidentale. Il luogo dove accade tutto e il contrario di tutto. Capace di grandi eccellenze e di incredibili miserie. Non a caso Viviani, attraverso la miseria, raccontava la grandezza dell’umanità. Perché Napoli è uno strumento per leggere meglio l’uomo, in tutte le sue sfaccettature».
Una delle esperienze più interessanti e stimolanti della sua carriera è quella con il regista visionario Giorgio Barberio Corsetti, che tipo di lavoro avete fatto?
«Giorgio mi ha coinvolto in un progetto su Pier Paolo Pasolini. Uno spettacolo recitato su un campo di calcio. Consisteva in una vera partita. Durante lo svolgimento c’erano invasioni di campo da parte dei personaggi di Pasolini: Mamma Roma, I Picari e tanti altri. Tutto recitato in poesia. Anche una parte delle tifoserie, interpretate da attori, intonavano liriche del poeta sotto forma di cori da stadio. Sposare la poesia con il calcio, tanto amato da Pasolini. È un’idea che solo un genio come Corsetti, poteva immaginare».
Ha diretto un corto sul femminicidio, un tema attuale, come ha pensato il suo corto?
«Nasce da un’idea di Rosalia Porcaro, con la quale ho collaborato anche con la stesura del suo nuovo spettacolo teatrale “Core ingrato”. È un tema delicato, difficile da trattarlo con ironia. Nella stesura della sceneggiatura ho cercato di raccontare i segnali che ci sono dietro una violenza, quelli che sembrano insospettabili e che si manifestano nel quotidiano. Attraverso il montaggio, invece, attraverso l’accavallamento di fotogrammi che si alternano veloci e con transizioni a strappo ho cercato di rappresentare il pensiero sconnesso di chi giunge a certe conclusioni estreme».