Carmine Recano di recente è tornato a vestire i panni di Massimo, il Comandante nella serie televisiva “Mare Fuori”, la cui terza stagione è in onda ogni mercoledì su Rai2. Nel frattempo l’attore è impegnato nelle riprese de “La porta rossa”, che vedremo nel 2022. Ma gli impegni per Recano non finiscono qui. Dopo il suo esordio a teatro con lo spettacolo “Masaniello” per la regia di Lara Sansone, Carmine salirà nuovamente sul palcoscenico, questa volta per “Mine Vaganti” di Ferzan Ozpetek, trasposizione dell’omonimo film del regista turco. Abbiamo intervistato Carmine Recano, che ci ha raccontato del suo personaggio in “Mare Fuori 2” e dei prossimi progetti in cui lo vedremo il prossimo anno.
È iniziata la seconda stagione della serie tv Mare Fuori, in cui interpreti il Comandante…in che modo si è evoluto il tuo personaggio?
«Ci sono una serie di situazioni all’interno della serie che influiscono sul percorso dio ogni singolo personaggio, compreso quello di Massimo, quindi il mio personaggio sarà completamente diverso rispetto alla prima stagione. Se prima era un uomo con tante certezze, in questa nuova stagione il Comandante dovrà confrontarsi con i suoi sensi di colpa, dovuti all’attentato a Carmine e alla morte di Ciro, due eventi che hanno influito non poco sulla vita del mio personaggio, rendendolo più vulnerabile. Lui si sente responsabile di questi due eventi e si rammarica del fatto che non sia stata attento a capire quello che stava succedendo intorno a lui».
Nei primi episodi della seconda stagione Massimo decide di abbandonare tutto, ma poi cambierà idea?
«Nel prossimo episodio ritorna. In realtà il motivo del suo ripensamento è dovuto al figlio, che gli farà capire quanto lui sia importante e fondamentale per questi ragazzi. Poi l’IPM è un po’ come la sua casa».
Anche perché tu rappresenti una figura paterna per questi ragazzi, in particolar modo per Carmine.
«Dalle prime lettura, a partire dalla prima stagione, bisognava trovare un modo per sviluppare un legame forte tra Carmine e Massimo. La chiave è stata quella di puntare su questa paternità, su questo affetto che prova Massimo nei confronti di Carmine, che un po’ si rivede in lui, anche perché il mio personaggio arriva dalla strada e conosce bene tutte quelle dinamiche e quegli ambienti».
Quanto quello che vediamo in questa serie si avvicina alla realtà di quello che realmente si vive nelle carceri?
«Quello che vediamo nella serie rispecchia fedelmente il lavoro che fanno gli operatori nelle carceri».
Questa serie sta andando molto bene ed è molto seguita. Perché secondo te piace così tanto?
«Fondamentalmente si raccontano i rapporti umani. È vero che è tutto contestualizzato all’interno del carcere, si parla di reati e minori, però la serie vede al centro di tutto l’amicizia, l’amore, l’affetto, mettendo in risalto l’aspetto umano di ogni singolo personaggio e rendendolo vero».
Cosa ti piace di Massimo?
«Tutto parte anche dal rapporto che ho instaurato con i ragazzi sul set, dal tipo di lavoro che abbiamo fatto tutti insieme in queste due stagioni. Sicuramente del mio personaggio mi piace l’idea di rappresentare una figura importante per loro. Massimo, come dicevo prima, ha vissuto una prima fase ricca di certezze, seguita da una seconda fase in cui è avvenuta una rielaborazione emotiva del personaggio, che quest’anno è ancora più intima, in cui ho dovuto lavorare su questo suo stato d’animo, sui suoi sensi di colpa e su questo suo senso di fallimento».
Oltre a Mare Fuori, ti abbiamo visto impegnato in due stagioni del La Porta Rossa, in cui vestivi i panni di Federico, un uomo ambiguo che ha la capacità di vedere i morti. A quando una terza stagione?
«In questo periodo sono a Trieste e sto girando la terza stagione de La Porta Rossa, ma l’unica cosa che posso anticipare sui nuovi episodi e che andranno a definire tutto ciò che è stato lasciato in sospeso».
Altri progetti a cui stai lavorando?
«Dopo la Porta Rossa inizierò le prove dello spettacolo teatrale Mine Vaganti per la regia di Ferzan Ozpetek, una trasposizione teatrale del film, in cui interpreto Antonio, il fratello di Tommaso».
Qual è la differenza nell’essere diretti da Ozpetek non per il cinema ma per il teatro?
«Anche a teatro, lui ha comunque un’impostazione molto cinematografica, con una recitazione molto naturale, quindi non c’è questa grande differenza. Ovviamente c’è molta cura nel dettaglio della messa in scena e della costruzione dell’immagine».