Rinnovati ancora una volta, dopo la defezione nel 2015 della cantante Noémie Wolfs, gli Hooverphonic sono un nuovo trio del pop europeo. Come lo sono sempre stati, in verità, da quando nel 2000 arrivò nelle radio di tutto il mondo quel “Mad About You” che diede inizio alla loro favola orchestral pop. Ora che sfornano un’altra canzone di vintage contemporaneo come “Romantic” (che fa parte dell’album appena uscito “Looking For Stars”), abbiamo incontrato il leader del gruppo, Alex Callier per farci raccontare tutte le novità.
Alex, ora nella band siete tu, Raymond Geerts e la giovane Luka Cruysberghs, che è nata dopo che è uscito il vostro primo successo. Come vi sentite?
«Siamo stati sempre molto eclettici, a volte abbiamo fatto dischi anche con voci diverse e quindi non ci sembra molto distante da quello che per noi sono gli Hooverphonic. Per questo abbiamo fatto un trip hop album, un altro con mood orchestrale alla Morricone e uno decisamente funky. Ora abbiamo sintetizzato tutte queste influenze in un solo disco».
Come si sente Luka con voi?
«Luka ha avuto tre settimane per imparare tutto il nostro repertorio, conosceva delle canzoni ma noi volevamo fare un primo concerto intimo per famigliari e amici per capire dove andavamo. Ed è stato un successo, lei stessa, nonostante i suoi 17 anni ha scelto le canzoni più disparate del nostro repertorio. Viviamo in un’epoca che assomiglia agli anni ’60, ognuno compra il proprio singolo preferito e noi per fortuna ne abbiamo tanti».
Come tratterete i vecchi successi dal vivo quando a marzo arriverete in tour in Italia?
«Dal vivo faremo i classici di 20 anni fa e i pezzi live come sono stati inventati, con rispetto e molto vicini all’originale. Ci immaginiamo una grande bilancia con le cose vecchie e nuove. E con la voce di Luka ogni cosa prende un respiro nuovo».
Che disco è “Looking For Stars”?
«La parte principale è un ritorno alle origini e questo è il nostro album elettronico dopo molti anni. In seguito alla nostra esperienza orchestrale abbiamo pensato di tornare a un’idea originale ma non vintage di musica, perché come l’abbiamo programmata e mixata è molto attuale secondo noi. Devi rispettare il ragù ma devi metterci un ingrediente segreto».
C’è sempre un po’ d’Italia nei vostri dischi?
«Certo, abbiamo scritto “Amalfi” qualche anno fa, io vado spesso da Luca Chiaravalli a Gallarate a scrivere. Lì c’è un magnifico studio, è quello il mio senso d’Italia, il fatto che sua mamma cucini per noi, vivere la giornata come gli italiani. E poi il nostro amore per la melodia ci spinge naturalmente verso di voi».
Credi che ci sia un trait-d’union tra i vostri dischi?
«Una nota sola che non c’entra niente ci deve sempre essere. Altrimenti non è interessante. Come i Beatles, non i primi dischi, ma da Strawberry Fields Forever in poi, c’è sempre stata qualche distonia. Noi, certo, facciamo delle canzoni orecchiabili, il rock non è per noi. Facciamo musica popolare».
Ora siete una band davvero eterogenea, con tre generazioni diverse. Che rapporto c’è tra voi?
«La musica pop è l’unico ambito dove questa unione sembra strana. Se pensi alla classica, allo sport, sono ambiti in cui tutti hanno un ruolo al di là dell’età. Ma in questa band funziona l’unione perché abbiamo tutti gusti diversi, Luka ascolta Ariana Grande e Portishead, per dire. Alla fine c’è molta musica che ci tiene uniti ed è questo che importa».