C’è un’ispirazione futurista italiana (nella copertina) e tanta musica di “rottura” come la definisce lui stesso, nel nuovo disco di Mika, No Place In Heaven. Sì perché Mika oltre a fare tv, spot, design per gli Swatch è soprattutto un cantante. E lo ha dimostrato con energia nel debutto del suo show (“per il momento molto basilare”) il 10 giugno al Fabrique di Milano (code ai cancelli dalle 7 del mattino). E lo dimostrerà in poche selezionate date estive (23 luglio – Taormina (ME) – Teatro Antico; 25 luglio – Cattolica (RN) – Arena Della Regina; 27 settembre – Assago (MI) – Mediolanum Forum; 29 settembre – Roma – PalaLottomatica; 30 settembre – Firenze – Mandela Forum). Il quarto album di Mika, “No Place In Heaven” arriva al termine di due anni intensi di lavoro creativo, anche se la star anglo-libanese per il nostro mercato ha pubblicato una raccolta vendutissima nel 2013, Songbook Vol.1. Mika ha prodotto il nuovo disco (17 tracce in versione deluxe) in collaborazione con Gregg Wells (Katy Perry, Pharrell Williams, Adele, Rufus Wainwright), già nominato ai Grammy. Ecco cosa ha detto alla presentazione alla stampa.
LA DIFFERENZA: “Sono sempre un po’ triste e nostalgico quando pubblico un disco perché è stato mio per tanto tempo e all’improvviso lo devo dare agli altri. Non ho usato filtri, ci sono metafore per parlare di me ma è un lavoro nato come quelli della golden age dei cantautori degli anni 70, Elton John , Carol King. Io al piano che compongo canzoni semplici con arrangiamenti e produzione più basilari che in passato”.
ESSERE MIKA: “Io non sono un modello, mi fa paura pensare di poterlo diventare. Anche io ho amato nella mia vita le persone e gli artisti che mi hanno aiutato a conquistare la libertà. Mi piace più scrivere di quello che voglio diventare piuttosto che di quello che sono. E quando ho scelto il titolo per il disco, pensavo che fosse un modo gioioso per dire: se non c’è spazio per me in parafiso va bene lo stesso”.
L’ITALIA: “Mi piace il Piemonte e il mistero delle persone e delle colline di quel posto. Sono molto chiusi ma poi si aprono. Evito le spiagge affollate e non mi piacciono gli aeroporti. Mi piacciono i vini, la canzone italiana d’autore. E mi piace Dario Fo, uno che starebbe bene accanto a quelli che mi hanno ispirato la canzone Good Guys. Morgan è troppo contro per essere un good guy! Ma è stato bellissimo e difficilissimo provare a collaborare con lui mentre eravamo a X Factor. Avevo scritto un pezzo di canzone con Guy Chambers che volevamo fare con lui ma avevamo i tempi stretti. Ho visto la gioia del bambino quando eravamo in studio, ha una passione per gli strumenti e per la musica…ora quella canzone è finita nel suo album e si chiama “Andiamo A Londra”.
IL LIBANO: “Sembra strano ma la metà libanese della mia famiglia mi ha influenzato molto. Ora sto scrivendo dei diari che parlano di loro, della mitologia che si è sempre raccontata in casa, di un nonno in Siria nel 1870. Fino a 5 anni fa nelle canzoni non parlavo di niente, almeno credo oggi di non aver avuto il coraggio di parlare dei miei, di quello che mi accadeva, andavo a indagare nella vita degli altri per nascondere la mia. Credo di avere il supporto anche di mia madre, che mi segue nel mio lavoro con tutte le scadenze e che immagino rimpianga una situazione tipo moglie, figli, pranzo domenicale. Accanto a me è diventata una zingara senza volerlo”.
LE ILLUSIONI: “Questo mestiere è fatto per creare anche illusioni, voglio farlo nello spettacolo con fantasia e con mezzi semplici, con la carta, come si fa nei teatri o negli spettacoli di ballo. Sarà molto simile a un balletto il mio show, io detesto i video wall perché dal vivo è inutile proiettare immagini, devi intrattenere con quello che hai sul palco. Anche la mia musica è fantasiosa, è a volte un modo gioioso per reagire al dolore. Ho scritto Relax a Londra quando ci hanno fatto evacuare dalla metropolitana per gli attacchi terroristici. Sono andato a casa e ci ho scritto una dance song”.