Partendo dalle riflessioni di alcuni dei più grandi autori del teatro, tra cui Shakespeare, Goethe e Pirandello, 6 giovani illusionisti portano in scena con le loro performance un’interrogazione sull’incanto, sulla sua vera natura e sull’importanza di saperlo coltivare nella propria vita. Attraverso una serie di performance di diversa natura, sempre basate sulle illusioni e sulle apparenze, il pubblico viene chiamato a risvegliare il “fanciullino” che ognuno è stato per riscoprire la capacità di meravigliarsi anche per le piccole cose che spesso vengono date per scontate.
Scrivendo “Incanti”, Andrea Rizzolini si è posto l’obiettivo di colmare il divario che storicamente sussiste tra l’illusionismo e il teatro. Dello spettacolo ne abbiamo parlato con l’ideatore e regista.
Chi è Andrea Rizzolini? Ci faccia una breve presentazione.
É un po’ difficile descrivere quello che faccio. Forse la parola più giusta per il modo in cui mi vede il pubblico è mentalista. Anche qui è difficile descrivere che cos’è un mentalista perché questa parola porta con sé molti significati. Diciamo che io sono un illusionista che non utilizza specchi, botole o scatole truccate, ma che utilizza le parole per creare le proprie illusioni.
Ma io non sono soltanto questo, sono anche uno studente di filosofia, laureato in filosofia del linguaggio e appassionato di teatro e letteratura. Vanto una vocazione da drammaturgo e da regista. In questo spettacolo, il pubblico mi vede quasi più spesso nelle vesti di attore, non molto bravo ma che ci mette il meglio di sé che di qualunque altra cosa.
Qual è stata la scintilla che l’ha fatta avvicinare al misterioso e fantastico mondo dell’illusionismo?
Quando avevo dieci anni ho visto la videocassetta che mio nonno ha registrato nel 1994 di uno speciale televisivo nel quale veniva David Copperfield in Italia. In quel programma ho visto Copperfield presentare una performance in particolare, quella in cui lui vola sul palco. In quel momento ho provato qualcosa di così unico che mi ha fatto scegliere di voler essere capace anch’io a mia volta di far provare questo qualcosa alle persone.
Come si diventa illusionisti e/o mentalisti?
Non c’è un percorso preciso, sicuramente esistono dei corsi di magia, dei club di magia. Qui a Roma ce ne sono un paio. Io in particolare ho avuto un maestro per i primi anni e poi adesso lavoro, essendo che io e i miei colleghi creiamo le nostre performance e lavoriamo tutti insieme per poi creare le performance che portiamo sul palcoscenico. In particolare, per il mentalismo è necessaria una formazione multidisciplinare che non soltanto deve avere la capacità di vantare sugli strumenti di cui può vantare un attore per quanto riguarda la presenza scenica, la capacità comunicativa e espressiva, ma deve anche avere un background di letteratura, filosofia, psicologia, comunicazione e marketing. Queste discipline spiegano in modo le modalità con cui le parole influenzano il nostro modo di percepire la realtà. Infatti, quando mi chiedono quali libri leggere per approcciarsi al mentalismo, dico sempre più che leggere un libro di mentalismo è meno utile che leggere libri come “1984” di Orwell, “Così è (se vi pare)” di Pirandello e le “Ricerche filosofiche” di Wittgenstein.
Psicologia, teatro, letteratura e filosofia, materie che in qualche modo attraversano un analogo filo conduttore, ci vuole spiegare come è riuscito a metterle insieme, e nello stesso tempo confezionare uno spettacolo?
Ho sempre avuto una passione per tanti campi artistici e intellettuali e quindi per me è sempre stato normale cercare di utilizzare questo mio linguaggio, un linguaggio fatto di illusioni, per portare in scena il modo in cui queste diverse discipline parlano delle illusioni. Questo è un tema molto comune sia in ambito letterario che teatrale. Noi citiamo molti testi, come ad esempio “La vita è un sogno” di Calderón de la Barca e “Il piacere dell’onestà” di Pirandello, testi in cui il rapporto tra sogno, realtà, verità e finzione è centrale e cardinale. E di fatto, questi testi parlano di ciò che noi mettiamo in scena con le nostre performance. La sfida, appunto, è mostrare la versatilità di un linguaggio come quello dell’illusionismo, che può permettersi di sfociare in e attingere linguaggi diversi, e restituire le tematiche che sono comuni a questi linguaggi da una prospettiva nuova.
Per la realizzazione delle vostre performance ha preso come riferimento le riflessioni dei grandi del teatro. Da tali contesti portate in scena uno spettacolo che ha come principio un’interrogazione sull’incanto. Vuole chiarirci la definizione incanto?
La parola “incantare” deriva dal latino “incantare” e significa letteralmente “entrare in un canto”. Ciò implica diventare parte di una reazione, di una storia, di un racconto. Questo è il legame che esiste con il teatro, ma non solo, perché quel senso di essere presi dall’incantamento di cui parla anche Dante significa essere talmente trasportati altrove, in un luogo tra realtà e finzione in cui tutto può accadere, proprio perché ogni cosa non è nient’altro che un sogno. Il teatro è proprio questo luogo in cui ogni cosa può accadere, in cui tutto è finto ma niente è falso, come diceva Gigi Proietti, proprio perché ogni cosa non è nient’altro che un sogno. Un sogno che però ha la capacità di permettere al pubblico di rispecchiarsi in esso e quindi di vedere la propria umanità.
Cosa accomuna il teatro all’illusionismo?
L’illusionismo è una forma d’arte che nasce in qualche modo e trova le sue declinazioni più interessanti all’interno del contesto del teatro, dello spazio teatrale, come spazio appunto funzionale in cui si instaura una distinzione tra la realtà del pubblico e la realtà del palcoscenico. Questa caratteristica è privata del fatto che entrambe queste realtà insistono ed esistono all’interno del reale, cosa che invece non accade al cinema. Se io vedo una persona che si muove al rallentatore al cinema, questa cosa non mi fa un certo effetto molto spesso distaccato perché si avvia appunto un filtro, il filtro dello schermo del cinema. Quando invece noi a teatro facciamo, per esempio, in modo che una pallina cada davanti agli occhi del pubblico al rallentatore, questo effetto è completamente diverso perché questa cosa accade all’interno della realtà. Ed ecco perché l’illusionismo è un linguaggio che, secondo me, ha una potenza espressiva che non può essere equiparata ad altri linguaggi proprio per il fatto che all’interno della realtà lavora eliminando o distorcendo la distinzione tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Così facendo, mette il pubblico davanti alla questione del fondamento della propria realtà. È una realtà che di fatto può essere molto più malleabile di quello che noi comunemente riteniamo.
L’essenza dell’illusionismo nasce dal potere di fare apparire come vere, cose irreali. È un gioco percettivo di cui non conosceremo mai i segreti perché mai li renderà pubblici, è come vivere un sogno che la vostra abilità rende visibile. Detto ciò, lei si sente mago, attore, narratore, o cosa?
È difficile rispondere a questa domanda perché ogni sera vivo una piccola crisi dovuta al fatto che non mi sento un attore ma mi trovo costretto sul palco a dover recitare dei testi teatrali importanti che portano con sé una grande responsabilità. D’altra parte, non mi sento neanche brevemente un illusionista. Dire di essere tale implicherebbe accettare dal punto di vista degli stereotipi e dei pregiudizi che vengono comunemente associati a questa parola. Ciò che sicuramente mi ritengo essere è un artista e forse anche un filosofo da qualche parte della mia anima che utilizza questo linguaggio, un linguaggio fatto di illusioni per mettere in scena quelle illusioni che la filosofia da sempre studia e cerca di definire in qualche modo. Sono affascinato dal mondo del teatro e dalle potenzialità di questo linguaggio. Sono molto legato alla drammaturgia e alla regia degli spettacoli teatrali. Incanti è stato il mio modo di mettere assieme tutte queste varie sfaccettature della mia anima per portare qualcosa in scena, qualcosa che sia veramente un riflesso di ciò che io e i miei colleghi pensiamo che il pubblico non sappia ancora di desiderare di vedere.
È campione italiano di Mentalismo, altra definizione “ostica” a noi comuni “mortali”. Vuole dirci il significato e la funzione del mentalismo nelle sue performance?
Quando si parla di mentalismo, solitamente si pensa a qualcuno che ha delle doti paranormali, che quindi è capace di leggere il pensiero o di comprendere il linguaggio del corpo, utilizzando i messaggi subliminali per influenzare le nostre azioni. Ecco, secondo me, niente di tutto questo è mentalismo. La vera essenza e la vera potenzialità del mentalismo sta nel fatto che, a differenza del classico prestigiatore, il mentalista non utilizza gli specchi, le botole o i doppi fondi per realizzare le proprie illusioni, ma utilizza appunto le parole e la capacità delle parole di influenzare il modo in cui percepiamo la realtà e quindi di cambiare il mondo che ci circonda. La cosa che mi è sempre affascinata del mentalismo è l’idea che potenzialmente, leggendo il copione che io recito durante lo spettacolo da una prospettiva diversa, in qualche modo riuscirei a capire esattamente come funziona tutto. Eppure, non lo capisco perché le parole del mio testo obbligano il pubblico a vedere ciò che io faccio sul palcoscenico da una determinata prospettiva, e con questa prospettiva appunto che entra in conflitto con la realtà, o meglio con ciò che noi crediamo possa accadere all’interno della realtà.
Dopo il successo ottenuto al Teatro Franco Parenti di Milano, con 11 repliche sold out, potremmo dire che lo spettacolo è già ben collaudato. Per le prossime date potranno esserci sorprese è novità per il pubblico?
Stiamo lavorando ancora su un paio di cose nuove. A Roma presenteremo un nuovo allestimento con scenografie, una colonna sonora originale e un disegno luci creato apposta. Inoltre, stiamo lavorando per preparare qualche altra sorpresa per la stagione teatrale del 2023-2024, ma di questo non posso ancora dire nulla.
Lo spettacolo “Incanti”, scritto e diretto da lei, si avvale della partecipazione di cinque giovani under 30, anch’essi premiati illusionisti (Dario Adiletta, Francesco della Bona, Niccolò Fontana, Filiberto Selvi e Piero Venesia), cosa deve aspettarsi lo spettatore che verrà ad assistere alle vostre performance? Senza spoilerare può anticiparci qualcosa?
Lo spettatore non deve aspettarsi di vedere uno spettacolo di magia classica con uomini di mezza età vestiti in modo discutibile, che segano e torturano giovani donne meno vestite di loro e le mettono in scatole per fini violenti. Nel nostro spettacolo, il pubblico rimarrà incantato non solo dalla performance, ma anche dalla riflessione che cerchiamo di portare avanti. Ogni sera, chiamiamo una persona del pubblico per condividere un sogno o un incubo che hanno avuto di recente su un foglietto di carta, che viene poi raccolto in una scatola. Uno di questi viene scelto ogni sera e il sogno o incubo diventa realtà sul palcoscenico assieme a me.
Foto in evidenza di Sebastian Konopik