In scena, al Teatro della Cometa di Roma (fino a dom. 1 dicembre) e poi al Nest di Napoli (il 6 e 7 dicembre) Sette Anni di Josè Cabeza e Julia Fontana, nella versione di Enrico Ianniello, con Giorgio Marchesi, Massimiliano Vado, Pierpaolo De Mejo, Serena Iansiti, Arcangelo Iannace per la regia di Francesco Frangipane; una produzione Teatro Argot.
Tratto dall’omonimo film spagnolo del 2016, sceneggiato dallo stesso Cabeza, Sette Anni è uno dei drammi più applauditi della scena iberica degli ultimi anni. La storia è quella di una scelta tragica quanto ineluttabile. Quattro soci di un’azienda di successo si sono macchiati di evasione fiscale. In una concitata notte, prima della visita della Guardia di Finanza, devono decidere chi tra loro dovrà assumersi tutta la responsabilità del crimine (e a quale prezzo) per salvare amici e azienda. La pena prevista è di sette anni di reclusione. Per prendere la decisione, i quattro chiederanno l’aiuto di un esperto in mediazioni che, a sua volta, porrà le sue condizioni… Quanto valgono sette anni di carcere? Possono essere barattati con qualcosa? Cosa si è disposti a dire e a fare pur di salvarsi? Questi sono gli interrogativi che Francesco Frangipane pone a se stesso, ai suoi attori e al pubblico, nell’affrontare un testo intenso, ironico, spietato. E aggiunge: “La storia è soltanto un meraviglioso pretesto per raccontare altro: l’amicizia, l’amore, ma anche la codardia e la meschinità messe a nudo davanti a un evento che trasforma i protagonisti da potenziali vittime in autentici carnefici”.
Continua, così, la ricerca di Francesco Frangipane, come nei suoi lavori precedenti Prima Di Andar Via e Dall’Alto Di Una Fredda Torre, nei meandri della psiche umana e dei rapporti fra simili. Lo fa, questa volta, in modo particolarmente incisivo, non rinunciando a una certa vena ironica e sarcastica. I personaggi di questa pièce, infatti, si muovono in uno spazio apparentemente quotidiano (l’ufficio della loro azienda, firmato da Francesco Ghisu) che assume i connotati di una vera e propria trappola dalla quale è impossibile fuggire senza prima essersi assunte le proprie responsabilità. I silenzi, gli sguardi, le frasi accennate, i sottintesi, il continuo squillare impietoso di un cellulare – unico mezzo di connessione con l’esterno – che, implacabilmente, scandisce lo scorrere del tempo, sono tutti elementi che garantiscono grande tensione fin dalla prima scena. Ottimi gli attori, tutti credibili e completamente aderenti ciascuno al proprio personaggio. Una menzione particolare ad Arcangelo Iannace che, con equilibrio e bravura, dona al suo Mediatore simpatia, cinismo e stravaganza.
Spettacolo assolutamente riuscito. Da vedere.