Dopo un rinvio di otto mesi, l’ultima fatica di Antonio Latella “Chi ha paura di Virginia Woolf?” è finalmente in viaggio. Tra le prime tappe di questa tanto attesa tournée, il teatro Ariosto di Reggio Emilia.
Al centro della scena un pianoforte verticale, protagonista assoluto insieme a Martha, George, Nick ed Honey. Una poltrona, una lampada, dei gatti in ceramica e un armadio completano la scarna scenografia dove predomina il verde “malato” di Artaud.
Si capisce presto il perché di questa scelta, fin dalle prime battute tra Martha (Sonia Bergamasco) e il marito George (Vinicio Marchioni): i personaggi hanno bisogno di spazio per essere scavati psicologicamente da parole che sono tragitti musicali. Ha bisogno di spazio il padre di Martha di cui si sente la presenza ingombrante, che in alcuni punti ci par quasi di veder apparire sulla scena.
Ha bisogno di spazio la musica stessa.
Infine, ha bisogno di spazio la giovane coppia formata da Ludovico Fededegni e Paola Giannini. Nick ed Honey son due funamboli sospesi tra l’essere spettatori e complici del rancore di George e Martha.
I quattro si ritrovano dopo una festa organizzata proprio dal padre per l’ultimo bicchiere prima di andare a letto. Un ultimo bicchiere anch’esso sospeso tra una notte senza luna e un primo timido raggio di sole.
Ed è qui che lo spettatore inizia a soffrire di claustrofobia: i fiumi di alcol, ma soprattutto gli oceani di parole riempiono ogni spazio, rompono la quarta parete.
L’incomunicabilità dei personaggi si alterna al coraggio della verità che vien svelata man mano grazie al brandy, al bourbon e all’alcol puro. L’incomunicabilità, grazie alla musicalità del testo, ha paradossalmente bisogno di un ascolto continuo e totale.
Il dramma che si consuma sulla scena viene ritmato dal ritornello storpiato di “Chi ha paura di Virginia Woolf”. Virginia Woolf scrittrice, Virginia Woolf lupo cattivo. Giochi di parole, ironia sottile.
Ironia che fa paura quanto la verità, come ci spiega George, professore di storia che è nella storia e di storia ne sa: «pochissime persone sanno cogliere l’ironia». Verissimo ai tempi di Albee e oggi più che mai.
E i legami feroci che Latella ci mostra son legami che han bisogno di odiarsi per continuare ad esistere.
Amore, memoria, ossessione, oblio, solitudine, utopia, padri da odiare, figli mai nati da uccidere, borghesi irrisolti… in scena c’è tutto questo. E il soggetto musicale si congiunge fino alla fine con il testo teatrale per rafforzarne l’efficacia, per permetterne la pienezza.
Sonia Bergamasco brilla nelle vesti di Martha perché incarna la fusione tra le due arti: recita a ritmo di jazz. Si dispera, urla, si calma, danza. E quando danza, tace. E il suo silenzio non è qualcosa di indicibile, ma è tutto ciò che lo spettatore e i tre reduci di una battaglia lunga una notte han bisogno di ascoltare.
Inizia una nuova suggestione, si avvicina il giovane Fededegni (degno di note musicali e non anche lui) e così nei panni di Nick ascolta i silenzi sensuali di Martha. La musica intrisa di silenzio mostra gli istinti primordiali e almeno per un po’ nessuno ha più paura.
Si torna però alla realtà, bisogna lenire le ferite prima o poi. Nick ed Honey se ne vanno così come son arrivati, senza disturbare. Che fossero anche loro frutto dell’immaginazione di Martha e George?
George dolcemente sfiora la moglie e cantando le chiede per l’ultima volta “Chi ha paura di Virginia Woolf”.
Martha risponde per lei e per tutti noi: «io George, io ho paura».
Lo spettacolo sarà ancora in giro per l’Italia dal 28 al 30 al Galli di Rimini, dall’1 al 13 febbraio al Bellini di Napoli, dal 15 al 20 febbraio al Morlacchi di Perugia, dal 24 al 27 febbraio all’Arena del Sole di Bologna e ancora, in marzo, dall’8 al 13 all’Ivo Chiesa di Genova, dal 15 al 27 allo Strehler di Milano, il 29 e il 30 al Lac di Lugano.