Dopo una brillante carriera impegnata nei cortometraggi, il regista Antonio Vladimir Marino, realizza L’Ardore dei Timidi, il suo primo lungometraggio. Ambientato nel Sannio, a San Marco dei Cavoti, a Torre del Greco e a Napoli, il film parla della timidezza. I timidi sono coloro che non fanno notizia, che aiutano e ascoltano gli altri in silenzio. «Stavo leggendo un piccolo trafiletto di un giornale. A Torino un barbone si lanciava nel fiume per salvare una ragazza sotto lo sguardo dei presenti – racconta il regista – fui molto colpito dalla potenza delle emozioni che poche righe riportavano: dalla volontà di morte alla volontà di salvezza». Questa è una delle cinque storie che hanno ispirato Marino, le altre sono nate osservando scene di vita in strada.
L’Ardore dei Timidi verrà proiettato alle 20.30 al Multisala Corallo di Torre del Greco, il 2 maggio, al Multisala Gaveli di Benevento, venerdì 6 maggio, e al Nuovo Cinema Aquila di Roma, il 9 maggio. In occasione delle prime tre proiezioni del film abbiamo intervistato il regista Antonio Vladimir Marino.
Arriva nelle sale il suo lungometraggio L’Ardore dei Timidi. Il film narra cinque storie permeate di umanità. Quali sono i timidi protagonisti della sua pellicola?
«In questo piccolo film i “timidi “ sono quelli che si guardano intorno e hanno occhi e orecchie non solo per se stessi, ma anche per gli altri, in particolare per quelli in difficoltà, compiono piccole azioni in silenzio, con discrezione e senza pubblicizzarle e forse modificano almeno un po’ la realtà (non meravigliosa) che abbiamo intorno».
I timidi dovrebbero scuotere le nostre coscienze?
«I timidi del film cercano di pensare con la propria testa e seguire le pulsioni interiori in un mondo in overdose di comunicazione e pressioni esterne, i “timidi” hanno ancora un sentire genuino, non so se questo può scuotere le nostre coscienze, ma può dare un incipit».
L’umanità sta morendo con i clic è una delle battute penetranti del film che enfatizza il dramma della nostra società, ossia, l’assenza di valori morali. Il film ha l’intento di emozionare, ma anche di seminare sentimenti nell’animo dello spettatore?
«La speranza di ogni film è quella di emozionare, far vibrare le corde e non lasciare indifferente lo spettatore. Se è accaduto in questo film bisogna chiederlo allo spettatore, ma devo ammettere che la volontà di seminare dubbi e sensazioni e provare a creare un ponte con chi lo guarderà era nelle intenzioni».
L’Ardore dei Timidi è il suo primo lungometraggio. Inizia un nuovo percorso per la sua carriera di regista e sceneggiatore?
«Scherzando dico che il prossimo percorso serio è aprire un’attività di beni di prima necessità ( produrre taralli, sughi o lavorare un campo), ma ci sono dei “pruriti” visivi anche già in forma di sceneggiatura che vorrei realizzare con il gruppo di matti che mi ha seguito, dipende molto dal contesto produttivo non semplice e molto “globalizzato”. E parlando seriamente e al di là del cinema aggiungo che la concentrazione dei media in poche mani, oggi più che mai, non aiuta a pensare con la propria testa ed è un dramma con le vere urgenze di trovare una formula diplomatica e politica per fermare la guerra in corso, per trovare un’altra strada e più ecologica da percorrere nel mondo. Gli argomenti sono tanti…».
L’Ardore dei Timidi vuole omaggiare uno dei maestri del cinema che lei stima?
«Io amo il cinema italiano che racconta le storie, meno quello di mera confezione che oggi imperversa in televisione e nelle sale, e non bado ai generi da spettatore, commedia di seria a-b- c, dramma, musicale, documentario, cortometraggio, animazione, il film se funziona parla da solo. Adoro La vita difficile e Il Sorpasso di Dino Risi, Novecento di Bertolucci, La Grande Guerra e I Soliti Ignoti di Monicelli, Bianca e La Messa è finità di Moretti, i lavori di Marco Tullio Giordana, i primi Ciprì e Maresco, Carlo Mazzacurati, Daniele Segre, Leonardo Di Costanzo, e tanti altri registi e i titoli sono innumerevoli. In verità non c’era la volontà di omaggiare uno dei miei registi preferiti in particolare, ma ora che ci penso un film sì, ed è Roma Città Aperta di Rossellini che ho avuto la fortuna di vedere in sala a Mosca, è un film come tanti altri bei film italiani che dovrebbe essere inserito nei programmi delle scuole e farlo vedere ai ragazzi nelle sale».
La pellicola ha partecipato a diversi festival, tra i quali il Tiburon International Film Festival in California. Com’è stata accolta?
«Sarei voluto andare a Tiburon in California, ma non è stato possibile. Dopo le proiezioni ai festival ( Ischia, Inventa un Film, Corto e a Capo ) ho discusso con un pubblico variegato ed è stato interessante per me, mi sono segnato spunti e domande e anche critiche. In particolare a Ischia un ragazzo mi ha parlato di “eroismo” dei timidi dei nostri giorni e non nascondo che ho gradito e riportato agli attori del film. A “Lenola Inventa un film” una spettatrice mi ha detto che l’ultimo episodio è una citazione 2001 Odissea nello Spazio del maestro Kubrick, ho sorriso e ringraziato, ma sono rimasto basito e non capivo, ho chiesto lumi che non svelo e lascio a chi speriamo guarderà il film».