Al Teatro TRAM di Napoli la compagnia Virus Teatrali ha debuttato in prima nazionale con lo spettacolo Amleto (o il Gioco del Suo Teatro) liberamente tratto da “Amleto” di William Shakespeare. Drammaturgia collettiva scenica con adattamento e regia di Giovanni Meola. In scena, ad interpretare tutti i personaggi, Solene Bresciani, Vincenzo Coppola e Sara Missaglia. Lo spettacolo replicherà da venerdì 11 a domenica 13 Febbraio.
Per l’occasione abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il regista Giovanni Meola.
Come mai la scelta di mettere in scena “Amleto (o Il Gioco del suo Teatro)?
«Per chi fa e pratica il teatro, Shakespeare è un colosso col quale confrontarsi, prima o poi. E così, un personaggio come Amleto, scritto più di 400 anni fa ma totalmente, completamente a noi contemporaneo, per i dubbi, le incertezze, i tormenti dell’anima, conditi da crudeltà e ironie più o meno involontarie, mi sembrava il banco di prova ottimale in tal senso».
In che modo si è avvicinato al testo di “Amleto” di William Shakespeare e che in modo lo ha adattato?
«Con i miei tre attori abbiamo studiato molto approfonditamente il testo, basandoci su diverse traduzioni e anche, talora, sul testo originale. Lo abbiamo discusso, digerito e sedimentato. Dopodiché, lo abbiamo accantonato per dare vita a una grande mole di improvvisazioni, tutte riprese in video, basate sui rapporti tra i personaggi, scandagliando anche il ‘non detto’, e sviluppando in questo modo diverse dinamiche corporee, verbali e relazionali, tutte confluite nel grande studio effettuato da me, sulla base dei mille filmati girati in prova, grazie al quale sono poi arrivato all’adattamento arrivato in scena».
‘Amleto’ (o Il Gioco del suo Teatro) prova a prendere la strada di un Amleto in cui del suo dramma potrà essere lui stesso drammaturgo, regista e anche un po’ interprete. Ci può spiegare un po’ questo “gioco”?
«La cosa straniante, ma a noi molto familiare, è che Shakespeare fa di Amleto una sorta di improvvisato drammaturgo e regista quando, alla ricerca di una prova concreta della colpevolezza dello zio-re Claudio, gli fa tenere una vera e propria ‘lezione’ di teatro ai poveri Comici vaganti che capitano a corte nel momento giusto. Perché Amleto fa questa cosa? Semplicemente perché ritiene che il teatro, quando riesce ad essere più ‘vero’ del vero, possa avere la forza d’urto di una tempesta emotiva in grado di smuovere anche le peggiori e più incancrenite coscienze. E così, alla fine, sarà il teatro e non lo Spettro di suo padre, a dargli la certezza della colpevolezza dello zio. Nello scegliere ‘Amleto’, quindi, potevo e potevamo mai trascurare questo aspetto della storia? Nella nostra drammaturgia, e nel mio adattamento, i Comici acquistano un peso maggiore che nell’opera originale, divenendo così l’arma perfetta, nelle mani di Amleto, per ottenere il suo scopo. Ecco perché ‘il gioco del Suo teatro’».
Quanto è stato difficile, in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, preparare uno spettacolo e portarlo in scena?
«Chi fa teatro è armato, per sua natura, o dovrebbe essere armato, di tanta, tanta pazienza. Non solo perché creare teatro è un processo lento e articolato, ma anche perché le pratiche organizzative e produttive sono lente e troppo spesso frustranti, data la cronica crisi del settore, di cui si parla in modo invariabile da almeno cinque o sei decenni. Detto ciò, è stato difficile mantenere alta e costante la fiamma dell’immaginazione e del desiderio, perché per molti mesi c’è stata una totale incertezza sui tempi, e soprattutto, sui modi legati alla ripresa. Io, però, sono stato fortunato perché, nello scegliere i tre attori di questo lavoro, la già esperta, affidabile e talentuosa Sara Missaglia, e i due giovani, arrembanti e a loro volta talentuosi Solene Bresciani e Vincenzo Coppola, mi sono circondato di persone che hanno saputo coltivare entusiasmo e desiderio, ma sempre alla luce di una lucida capacità di analisi dei tempi. In due parole, nessuno di noi ha mai perso la certezza di un arrivo in scena di questo lavoro e nessuno di noi, comprese Marina Mango e Chiara Vitiello, rispettivamente costumista e occhio esterno/ass.te alla regia, ha mai perso la pazienza, lasciandosi andare allo sconforto. Anzi, per dirla tutta, proprio il tenere vivo questo lavoro, nel corso del tempo, ci ha permesso di mantenerci in costante esercizio nel nostro personale rapporto col teatro».
Dopo ‘Tre. Le Sorelle Prozorov’ libero adattamento da ‘Tre Sorelle’ di Anton Čechov, questa volta ha scelto di portare in scena “Amleto” William Shakespeare. Cosa rappresentano per lei questi due drammaturghi?«Due giganti. Shakespeare ha scritto, riscritto, inventato e reinventato di tutto e di più. Ha lavorato con mille plot, mille atmosfere, ha lavorato con la lingua (alta e colta ma anche bassa e popolare), ha esaltato il magico e stupefacente ‘blank verse’, ha creato personaggi indimenticabili. Ha aperto strade e fatto immaginare mille soluzioni a tutti coloro che si sono cimentati con le sue opere, nei quattro secoli a seguire.
Cechov, a sua volta, è stato autore di una vera rivoluzione, anzi direi di una vera deviazione nella storia della drammaturgia teatrale, col mondo infinito dei suoi ‘non detti’, che permeano la totalità delle sue opere, che raccontano di un mondo al suo ‘cupio dissolvi’, con il nuovo che incombe (di lì a pochissimi anni prima la rivoluzione del 1905 e poi la rivoluzione bolscevica del 1917, che Cechov a modo suo preconizza con fin troppa chiarezza, in alcuni passaggi delle sue opere). I suoi personaggi sembrano sempre rispondere a chi dà loro a parlare, ma in realtà sono quasi tutti delle monadi che inseguono i loro pensieri, i loro stati d’animo, le loro ambizioni, spesso frustrate, i loro desideri, le loro angosce. Una rivoluzione drammaturgica che lui stesso, autore di tantissimi racconti più o meno brevi di incredibile valore e qualità, non credo abbia compreso di aver compiuto, data la scomparsa in giovanissima età (a 44 anni), e convinto com’era, come viene riportato dai diari di un suo giovane collega ed ammiratore, che le sue opere gli sarebbero sopravvissute meno di un decennio. E invece, a distanza di 130 anni, possiamo affermare che Cechov è l’autore più rappresentato al mondo (dopo Shakespeare) a dispetto della sua stessa previsione. Ecco, imbattersi in questi due giganti è allo stesso tempo una fortuna e un rischio per chi fa teatro. Ma, sempre per chi fa teatro, bisogna sempre sapersi meritare le fortune e affrontare i rischi che fortunatamente popolano i nostri progetti e le nostre scelte».
Lo spettacolo debutta al Teatro TRAM, ci saranno altre date in programma?
«Al momento no, ma solo perché le stagioni dei vari teatri, quest’anno, sono state fortemente influenzate dall’incertezza dovuta all’andamento ondivago della pandemia. Appena le cose si stabilizzeranno, altre date e altri teatri accoglieranno il nostro Amleto drammaturgo, regista e attore di se stesso».