Venticinque anni dopo, Il Re Leone, l’amato classico dell’animazione Disney, è tornato al cinema dal 21 agosto. Negli ultimi anni la casa di produzione ha puntato molto sul progetto dei remake e ormai la produzione di film di questo tipo è aumentata esponenzialmente, da Maleficent a Cenerentola, a La Bella e la Bestia, fino ad arrivare ad Aladdin, che attualmente detiene il record di incassi. L’esperimento più arduo in questo senso, però, è il remake di Il re leone, che è il primo a non poter essere effettivamente considerato un film in live action, bensì un film animato realizzato con una tecnica differente grazie ad una CGI accattivante e ai limiti della perfezione. Purtroppo il risultato finale è meno convincente di quello che ci si sarebbe aspettato e il remake non ha saputo fare breccia nel cuore di molti tra quelli che hanno avuto la grande opportunità di vederlo in versione originale.
Il film, firmato da Jon Favreau, ricalca con prepotenza l’originale del 1994 : la trama è infatti quella che tutti già conosciamo, che prende le mosse dalla nascita del leoncino Simba, e la celebre sequenza de Il cerchio della vita, e ci conduce lungo il cammino di vita dell’erede al trono e la lotta per il comando, tra drammi e tradimenti, nuovi incontri e amore. Questa rivisitazione manca dell’energia e del cuore che avevano caratterizzato l’originale firmato Roger Allers e Rob Minkoff. Nella ricerca naturalistica, il tocco incantato viene perso ma gli effetti visivi guidati da Robert Legato, Adam Valdez e Andrew R. Jones, sono notevoli: ciascun personaggio e ogni ambientazione sono stati completamente costruiti in computer grafica. Però Simba e soci non trasudano simpatia ed empatia come i loro alter ego di venticinque anni fa, la stessa frase “Hakuna Matata”, cantata da Timon e Pumba, ha perso la magia di quelle “due magiche parole contro tutti i problemi”. Anche le coreografie delle canzoni, che sono il cavallo di battaglia del film originale, finiscono con il diventare delle imitazioni di quelle che tutti ricordavamo. Non essendo i protagonisti degli animali capaci di azioni antropomorfe, gran parte dei momenti più iconici sono stati rimossi, cosa che si può notare con “Sarò re”, la canzone cantata da Scar, che qui diventa un mesto balletto che nemmeno viene cantato, ma si riduce ad un recitato intonato.
Esattamente come il film precedente, anche questo ha al doppiaggio molti nomi famosi. Nella versione originale, Mufasa ha l’imponente voce di James Earl Jones, mentre nella versione italiana, la scelta è saggiamente ricaduta su Luca Ward, che è riuscito a rendere giustizia al padre e mentore di Simba. Simba, nella versione originale è doppiato da Donald Glover, ma nella versione nostrana è Marco Mengoni a dargli voce dando vita a momenti cantati perfetti. Infine, non è meno importante il fatto che nel il Re Leone compaia molto di più il Simba cucciolo, doppiato da Vittorio Thermes per i dialoghi e da Vittorio Iuè per la parte cantata. Nala è stata doppiata dalla cantante Elisa, ma la vera sorpresa sono stati Edoardo Leo e Stefano Fresi, che hanno prestato la voce rispettivamente a Timon e Pumba dimostrando di essere fenomenali insieme anche nel doppiaggio. Senza ombra di dubbio, il personaggio più affascinante rimane Scar: se in lingua originale la voce del perfido zio di Simba è di Chiwetel Ejiofor, in italiano la sua interpretazione è stata affidata a Massimo Popolizio che aveva già doppiato Voldemort nella saga cinematografica di Harry Potter. Il resto dei personaggi è stato doppiato da professionisti del settore, tutti completamente calati nella loro parte, tra cui spicca uno Zazu perfetto, doppiato da Emiliano Coltorti. Infine, anche le Iene sono rimaste identiche, fatta eccezione per Shenzi, che qui è decisamente meno comica e promossa al ruolo di capobranco forte e indomita. Rafiki è l’ unico personaggio la cui essenza è stata mantenuta alla perfezione, diventando ancora più simile ad uno sciamano africano.
Insomma, Il Re Leone di Jon Favreau è un film che va assolutamente visto, ma che purtroppo non riesce a variare sul tema in maniera efficace, soprattutto per quelli che hanno già amato la versione originale. Non ci resta che applicare l’ “Hakuna Matata”, rassegnarci, e sperare in “Mulan”, che promette di rivisitare molto di più l’omonimo classico.