Matthew McConaughey, premio Oscar nel 2013 come migliore attore protagonista nel film Dallas Buyers Club, ha dato alle stampe la sua biografia dal titolo Greenlights. L’arte di correre in discesa, pubblicata in Italia da Baldini & Castoldi.
Si tratta di un libro bellissimo per come è scritto e per i contenuti. L’attore dimostra che la sua vita ed i suoi successi sono il frutto di un lungo percorso che lo ha portato ad attraversare le strade del mondo sfruttando le luci verdi dei semafori ovvero i greenlights.
Noi di Mydreams abbiamo seguito via streaming l’intervista realizzata dal giornalista di Rainews24 Francesco Gatti all’attore texano, organizzata da PDE e Baldini & Castoldi
Il tuo libro è pieno di foto, colori, di appunti che tu hai preso nel corso del tempo. Come sei arrivato a dargli questa forma?
«Il libro è basato su alcuni diari che ho sempre scritto fin da quando ero ragazzo. Mi piace scarabocchiare, disegnare, prendere appunti e mi sono accorto che in tutti i miei diari, su molte pagine ovunque scriva c’erano simboli e segni. Mi piaceva l’interattività dei miei diari quindi ho pensato alle storie migliori da trascrivere. Le storie, cronologicamente, sono il filo conduttore: la storia principale è fatta di poesie, preghiere, consigli, gli adesivi per paraurti e poi c’erano i flashback, come in un film. Tutto questo offre al lettore il contesto per richiamare le storie che aveva appena letto come a dire: “Ehi, la stessa situazione si può vedere in un altro modo!”. La mia speranza è che possano proiettarti, lanciarti verso la storia successiva con maggiore consapevolezza del contesto e della prospettiva. Nei film i flashforward e i flaschback a volte funzionano, a volte no. Sono contento quando riescono a fare quello che ho appena spiegato, quando sei incentivato dalla storia che hai appena letto a entrare nel flashback e poi ti lanciano alla storia successiva. Sono attivi, o almeno spero. Soltanto due colori: nero e verde. Aggiungere anche il rosso e il giallo sarebbe costato moto di più. Ma il mio messaggio è che tutti i gialli e i rossi diventano sempre verdi. Quindi abbiamo messo un solo colore: il verde. Ci sono i font, io adoro i font, c’è un font per le storie, uno per i consigli ed essi creano una coerenza all’interno di tutto il libro. La mia speranza è che il libro abbia una profondità di campo di cui sono molto orgoglioso e penso che il libro possa risultare una lettura coinvolgente in questo senso».
Facciamo insieme un gioco. Tu sei uno sceneggiatore ed io un produttore. Mi vuoi vendere il libro per farne un film. Cosa mi diresti?
«Di sicuro questo libro potrebbe generare un musical perché l’approccio di questo libro è come danzi la tua vita, come danzi con il successo, come danzi quando non ti piace la canzone, come danzi quando cadi e come danzi quando ti rialzi, quando danzi sul tempo, quando danzi fuori tempo, quando ritrovi il tempo dopo che l’hai perso, quando ritrovi il tempo ed è una storia d’amore. È un musical, una commedia, è un film d’azione e di avventura, tutte le cose che la vita, che le nostre vite, possono essere. Ma sono tutte una canzone sola, un solo libro e molti capitoli ma collegati tra loro. E per questo mi riguarda, se facciamo ripartire la registrazione 51 anni fa, non so a che punto sono del film, ma spero di essere subito prima dell’intervallo. Vedremo».
Greenlights è una biografia, è un manuale di vita, è un libro di avventure e altro. In quale sezione di una libreria collocheresti il tuo libro?
«Bella domanda. Forse tra le opere di filosofia o forse un giorno con i libri di religione (N.d.r. Risata)».
Sai usare bene il tuo corpo, come attore. Sei riuscito a dimagrire, a guadagnare peso, cambiavi nel corso del tempo ma erano film. Stavolta ti esponi in modo diverso, con la scrittura. Che tipo di esperienza è stata questa?
«Ho sempre amato le parole e le amo ancora. Forse sono un prescrittivo, cioè mi piace risalire al significato originale, prescrittivo della parola. Mi piace vedere come noi, come società abbiamo modificato il significato delle parole. Da un lato dico: “OK ,il significato di questa parola è cambiato”, dall’altro invece: “No, no, dobbiamo tornare alle origini, al significato originario della parola”. Tutti abbiamo un rapporto con le parole e i significati, li riscriviamo in continuazione, ognuno di noi ha una relazione individuale con le parole. Io ho avuto un brutto rapporto con la parola VULNERABILITÀ per moltissimi anni. Ho avuto un rapporto complicato con la parola UMILTÀ, per moltissimi anni. Nella nostra vita abbiamo un rapporto con le parole, e le ridefiniamo per noi stessi o le guardiamo in modo diverso. Per esempio UMILTÀ. Per me è stato un problema essere sicuro di me, andare a testa alta e con coraggio quando mi sentivo umile. Solo dopo aver compreso la definizione di umiltà: “capire che c’è sempre qualcosa di nuovo da sapere e da imparare”, mi sono detto: “allora posso essere umile e sicuro di me allo stesso tempo. Quindi, scrivendo il libro ti sto raccontando una storia: hai le mie mani, la mia voce, il mio sguardo, capisci quando sto per dirti una frase decisiva perché alzo la voce. Ci sono moltissime informazioni visive ed uditive che ti trasmette il mio entusiasmo quando ti racconto la storia. Ma quando leggi un libro la telecamera è spenta, non c’è niente di tutto questo. Quindi ho pensato che le storie del libro sarebbero state migliori se le avessi buttate giù parola per parola, registrandomi mentre raccontavo le storie ad alta voce e le registravo. “Hai registrato questa storia al meglio Matthew, adesso trascrivila sulla pagina. Sarà la versione migliore della storia”. Ma mentre lo facevo capivo che non era la versione migliore. Era sempre almeno il 30% troppo lunga. Dovevo essere molto più preciso con le parole, molto preciso su dove mettere le virgole, i punti, le ellissi, l e citazioni, le parentesi, cosa mettere in grassetto e cosa mettere in corsivo. Nel pieno della lavorazione ho imparato a fidarmi, a togliere tutto. Man mano che procedevo nel rivedere quello che avevo scritto mi fidavo sempre di più anche se a volte ci ho messo settimane per trovare la parola giusta, come ad esempio nel caso di mio padre: disciplina, “punizioni corporali”, ho impiegato settimane per definirla al meglio. C’erano tantissime parole ma le scartavo tutte. Il processo di scrittura è sostanzialmente questo per me: mi sveglio all’alba e cerco di trovare la prima frase, la sensazione giusta, l’odore, la musica, della prima fase della storia. Possono volerci delle ore ma se trovo la prima frase, il resto della storia si scrive da solo, viene facilmente. È come la prima nota di una canzone, poi il resto della canzone si scrive da sola».
Nel tuo libro ci racconti che sei cresciuto con dei valori che ti hanno insegnato i tuoi genitori, in particolare la disciplina. Anche oggi noi abbiamo bisogno di valori: quali?
«Certo, abbiamo bisogno di valori. Abbiamo bisogno del valore della responsabilità, di dare più valore al sacrificio, dobbiamo dare più valore al piacere. Il valore più importante e di cui oggi tutti noi abbiamo estremo bisogno, è dare più valore a noi stessi. Dobbiamo dare a noi stessi il giusto valore, per dare il giusto valore agli altri. Perché altrimenti non possiamo dare valore agli altri. Non posso davvero darti valore, sinceramente, se non do valore a me stesso. Se do a me stesso più valore, se ho rispetto per me stesso posso dare più valore e rispetto a te. Questo può diventare un’epidemia, però sana, un’epidemia di valori, non un’epidemia da Covid. Diffondiamo valori perché diamo più valore a noi stessi. Dare più valore a noi stessi non è esclusione degli altri anzi è inclusione. Ed è quello che ci manca come persone, specie, pianeta ma è ciò che dobbiamo fare per evolvere, perché la frontiera, la nuova frontiera verso cui il nostro pianeta si sta dirigendo è qui. Cambiamo noi stessi, diamo più valore a noi stessi, alle persona che vediamo allo specchio e creiamo più valore nel mondo in cui viviamo».
In Geenlights parli di alcuni libri che ti hanno formato. Cosa ti piaceva in Lord Byron? Cosa trovavi e trovi in quei versi?
«É stato Lord Byron a trovare me nella biblioteca di una scuola australiana mentre, lontano dalla famiglia, senza amici ed ero in piena interrogazione di me stesso, avevo 18-19 anni, la mente persa in fantasie romantiche. Le poesie d’amore di lord Byron finiscono sempre in modo triste, le parole delle donne sono scritte sulla sabbia, parla dell’impermanenza dell’amore e delle relazioni. Ma della permanenza della perdita e del dolore. Lui aveva questo modo musicale che ho scoperto e che mi ha sottratto alla mia logica. Io sono una persona molto logica e molto pratica. Non ero particolarmente attratto dalla poesia ma in un certo senso mi rilassava, perché anche se era di un’altra generazione, sentivo che i suoi sentimenti erano uguali ai miei. Dicevo: “Allora non sono l’unico a provare queste cose, anche i grandi poeti del passato si sono sentiti come me nelle questioni di cuore”. Avevo all’epoca il cuore spezzato e lord Byron era un confidente, aveva il cuore spezzato come me».
In una recente intervista hai detto che il tuo libro preferito è Il più grande venditore al mondo di Augustine Og Mandino. Ne ho letto qualche pagina e, sbaglio se dico che in questo libro c’è un poco della tua determinazione?
«E in modi di cui non sono neppure consapevole. Quel libro mi ha trovato e mi ha aiutato a modificare la traiettoria della mia vita. Mi ha dato la fiducia di fare quello che sapevo di voler fare, nella solitudine del mio cuore, ma che non ho avuto il coraggio di fare finchè quel libro non mi ha trovato e mi ha detto: ”Vai! Fallo!”. Sì, buona parte della mia determinazione proviene da quel libro, in modi che non saprei definire; c’è molto di quel libro radicato in me, ma quello che è davvero bello è la tesi dell’autore: non ci dice che grazie a nuova tecnologia avremo una vita più sana, più costruttiva, saremo più noi stessi, ci ricorda semplicemente quello che abbiamo imparato da bambini e che sappiamo ancora essere vero anche se forse siamo troppo vecchi per crederci ancora: la purezza, il coraggio, l’innocenza. Ci ricorda queste cose, ma ci mette anche alla prova, mette alla prova il lettore, parla di come far funzionare le cose, che serve impegno, ti devi impegnare, il più grande venditore del mondo sei tu! Tutti vendiamo noi stessi, pure in una relazione con un amico, con la moglie, i figli, stiamo continuamente vendendo noi stessi. Vendiamo il nostro io, il nostro vero io, il migliore. Dobbiamo vendere noi stessi agli altri insieme alle nostra aspirazioni. Siamo sempre in modalità di vendita o almeno dovremmo esserlo. Quindi sì, questo libro è inevitabilmente legato alla mia determinazione».
Nel libro dici che da bambino eri un appassionato lettore di Hulk. Leggi ancora i fumetti?Guardi i film con i Supereroi? Ne gireresti uno?
«No, non leggo ora molti fumetti. Vengo però aggiornato dai miei figli nelle letture preferendo libri illustrati. A mia figlia piacciono gli anime. Li guardiamo in TV, li condividono con me. Se li sento ridere nell’altra stanza chiedo il perché e loro me lo spiegano e mi chiedono: “Quale personaggio ti piace?” Ho un figlio a cui piace l’eroe, un altro che predilige i personaggi buffi, comici o il lato sentimentale e poetico della storia. È un’ottima cosa per noi genitori: quando sentite ridere i vostri figli, quando c’è qualcosa che li diverte, che li spaventa, andate a verificare. Possono nascere delle belle discussioni».
Hai bisogno spesso di ricalibrarti e di ritrovare te stesso?
«Per me la vita è un calibrarsi continuo. Invecchiando…Guardami: ho 51 anni, sono sposato, ho tre figli. Voglio continuare a prendermi dei rischi nella vita. Ma sceglierò la libertà di ritirarmi su un’isola da solo? No! Perché mi sono costruito una famiglia che è qualcosa di non negoziabile. Quando devo ricalibrarmi ci sono sempre loro nei miei pensieri. Quante volte partiamo alla ricerca di quello che vogliamo, stabiliamo un obiettivo e cerchiamo di raggiungerlo. Quante volte diciamo: “No, preferisco starmene seduto qui ed aspettare che sia l’ignoto a venire da me. Sono continuamente impegnato a ricalibrarmi. Scrivi tutte le cose che ti appagano. Al nostro essere serve la manutenzione e non dobbiamo dimenticarlo».
Greenlights ha dominato e domina le classifiche delle vendite. Hai provato un’emozione simile alla vincita dell’Oscar?”Matthew:
«L’Oscar è arrivato in un periodo particolare. Faccio l’attore da 29 anni ed è arrivato dopo 20 anni che mi dedicavo all’arte della recitazione. È stato il massimo riconoscimento da parte dei miei colleghi, l’eccellenza di quell’anno, una straordinaria conferma, l’apice della mia carriera. Ma non avevo mai scritto un libro. Quando il libro ha debuttato al numero uno, ed è rimasto a lungo nelle classifiche dei bestseller, si è trattato di una conferma diversa. È stata una cosa più personale. Il libro è la cosa più personale che ho condiviso, un pezzo del mio cuore. Una vera e propria estensione di me che ho proiettato all’esterno. L’ho scritto, l’ho diretto, l’ho montato, ho azionato la cinepresa. È mio. E l’ho consegnato al mondo. E il fatto che ora mi torni indietro qualcosa, che sia arrivato al numero uno e che continui ad essere letto mi gratifica molto. Sapere che lo leggono in tanti e in tante lingue mi inorgoglisce e mi riempie di gioia».
Continuerai a scrivere, a prendere appunti?
«Sì, certo. Io scrivo ovunque e in continuazione, su foglietti, sul cellulare, scrivo a me stesso, sempre. Appunto tutto anche quello che dice qualche amico. Spesso correggo ma non cancello. Es. I bambini non hanno messo a posto le loro biciclette. Guardarsi indietro è un’arte. Del futuro non sappiamo niente ma se torniamo indietro e colleghiamo tutti i punti possiamo capire come siamo arrivati fin qui. Aforismi. Scrivo tantissimo più ora che prima».
Sappiamo che non vuoi più recitare in commedie romantiche. Cambierai idea?”
«Al momento no, non voglio più farne. Non ho nulla contro le commedie romantiche. Nel momento in cui ho smesso di farle ho capito che avevo avuto tanto successo grazie a loro. Sono stato una vittima del loro successo. Quando la gente mi avrà dimenticato in quei ruoli, tornerò a farle, proprio perché mi hanno dimenticato».
Il libro è uscito nel periodo Covid. Lo hai presentato di fronte al pubblico?
«Il mio piano originario prima del Covid, perché ho scritto il libro prima della pandemia, era di fare un tour mondiale, di persona. Andare sul palco e fare un one-man-show, raccontare le storie del libro, interagire con il pubblico, rispondendo a domande ecc. Proprio mentre iniziavo a programmare il mio viaggio intorno al mondo, è sopraggiunto il Covid. Ha distrutto tutti i miei piani, niente di persona, tutto da remoto. In un certo senso è stato frustrante ma devo ammettere che è stato anche straordinario. Oggi non posso essere con voi in Italia e sono in Texas ma un’ora fa stavo parlando con delle persone a Londra, due ore fa a New York, quattro ore fa a Los Angeles. Oggi ho fatto il giro del mondo senza muovermi dal Texas. Tra poco andrò a pranzo con mia moglie e i miei tre figli. Sarebbe stato impossibile se avessi dovuto essere presente nei posti che ho detto. È davvero una magia che mi sia potuto trovare in tanti posti diversi, uno dopo l’altro, senza lasciare nessuna impronta di carbonio, senza dovermi truccare, pettinare. Mi manca essere nei posti, incontrare ed abbracciare la gente. Ma devo ammettere che questo processo, da remoto , sono riuscito a sfruttarlo al meglio, mi ha permesso di usare bene il mio tempo, di dargli valore e di pranzare con la mia famiglia».
Ti ringraziamo di questa bella chiacchierata e ti aspettiamo quanto prima in Italia.
«Grazie a voi (ndr “in italiano”)».