L’Auditorium Parco della Musica di Roma, nell’ambito del Roma Jazz Festival, ha accolto il piano solo di Tigran Hamasyan. Il jazz è il luogo dell’incontro, uno spazio aperto e inclusivo. La forza di questa musica globale risiede anche nella sua capacità di accogliere le diverse culture. Non solo è consentito essere se stessi, ma è richiesto. In particolare, a partire dagli anni ‘80 si è sviluppata in Europa una tendenza che ha visto musicisti sperimentare il convergere della tradizione jazz con quelle delle musiche popolari e accademiche, del rock e del pop. Ne sono nati linguaggi fortemente personali e il giovane pianista Tigran Hamasyan ne è una delle prove più convincenti. Echi della sua identità armena emergono all’interno di uno stile rigoglioso e virtuosistico che guarda spesso alla spiritualità incantatoria delle melodie della musica sacra e profana della sua terra.
La gioia di un dito su una tastiera, l’emozione della sua gioia, l’essere poco appariscente. Intimo, mistico e furibondo, mai placato dalle voglie dello spettatore. Un’arte, la sua che si basa su delle tonalità basse, cupe ma che danno un gran senso di speranza. L’ impressione che si ha assistendo al concerto di Tigran è quasi come una forma di dialogo che l’artista ha con se stesso. La sua musica parla diretta al cuore di chi assiste. La forza di un amore, la bellezza di un sorriso, lo stringersi di una mano. Un senso di appartenenza che ti prende e ti riempie l’anima.
Davvero complimenti a questo talento vero. Unico e inimitabile.