Lasciandosi ispirare dalla bellezza dell’isola Paros in Grecia, il pianista e compositore Dan Costa dà origine ad Iremia, brano jazz che trasmette un messaggio di pace. Iremia, è un singolo autoprodotto, disponibile su tutte le piattaforme digitali ed in rotazione radiofonica, in cui il talentuoso pianista Dan Costa viene affiancato da Randy Brecker, uno fra i più celebri trombettisti jazz. Iremia, che in greco significa “pace”, è un brano suggestivo, intimistico ed evocativo, contraddistinto dal tocco morbido, magico del pianista e dagli avvolgenti interventi del trombettista. Il nuovo singolo di Dan Costa esce dopo il secondo album Skyness, e il disco dal vivo, Live in California.
Il tuo nuovo singolo Iremia comunica un messaggio di pace. Il suo ascolto regala un senso di serenità. Da cosa ti sei lasciato ispirare nel concepire questa composizione?
«Il brano è stato concepito sull’isola di Paros, in Grecia, impreziosita da paesaggi luminosi ed armoniosi, dove ho vissuto per diversi anni. La contemplazione delle sue caratteristiche, come i suoi colori, le sue spiagge, i suoi vicoli, la sua flora, la sua fauna, hanno portato alla genesi di questo brano».
Iremia è stato impreziosito dall’intervento del trombettista jazz Randy Brecker. In quale occasione è nato questo sodalizio artistico?
«Anche se non ci conoscevamo, gli ho inviato una mail con una versione piano solo del brano, alla quale ha risposto con entusiasmo. C’erano evidentemente alcuni legami artistici, dato che abbiamo diversi colleghi in comune, quali il chitarrista Ricardo Silveira o il sassofonista Teco Cardoso, con i quali avevamo entrambi registrato in passato».
Il singolo precedente Love dance è un coinvolgente brano jazz interpretato da Ivan Lins. Da quali emozioni è scaturita la canzone?
«È un brano scritto negli anni ‘80 da Lins con Peranzzetta e Williams e registrato da artisti come George Benson, Sarah Vaughn, Betty Carter, Diane Schuur, Barbra Streisand e Carmen McRae. Musicalmente è un brano interessante, in certi aspetti semplice e in altri sofisticato, con una progressione armonica e cromatismi nella melodia che possono sorprendere chi lo ascolta per la prima volta. Il testo, invece, narra un incontro amoroso, ricordandoci la bellezza dell’amore».
Nel 2016 hai registrato a Rio de Janeiro il tuo album d’esordio intitolato Suite Três Rios. Alla realizzazione del disco hanno preso parte musicisti brasiliani come Jaques Morelenbaum, Ricardo Silveira, Teco Cardoso, Rafael Barata, Marcos Suzano e Leila Pinheiro. Il jazz brasiliano ti ha forgiato come compositore e musicista?
«Ha avuto il suo impatto in modo naturale, dato che sono cresciuto con certi stili brasiliani e per le mie origini culturali. Molte delle persone che ascoltavano le composizioni che scrivevo durante la mia adolescenza sentivano questo legame profondo, sia per motivi melodici che ritmici. L’opportunità di vivere lì mi ha dato l’opportunità di conoscerli più a fondo, nonché di scoprirne altri, come il baião e il maracatu. Pensa che il primo brano jazz che ho suonato è stato O Barquinho di Menescal e che mentre ero in Inghilterra, alla scuola di Paul McCartney, ho scelto di interpretare Mas Que Nada di Jorge Ben Jor in uno dei concerti».
Quali ricordi conservi dei lunghi ed intensi anni di studi?
«Per quanto riguarda la musica classica, mi ricordo degli spartiti che mi incuriosivano e che leggevo spesso a prima vista mentre nel campo della musica popolare ricordo le canzoni che ascoltavo e la teoria musicale che studiavo per capirne la struttura. Per quanto riguarda il jazz, invece, potrei rievocare gli assoli che dovevamo trascrivere per capire l’approccio stilistico di diversi musicisti, mentre, in Brasile, mi divertivo a portare diversi ritmi brasiliani, spesso suonati da altri strumenti, al piano».
Durante il tour internazionale del 2019 ti sei esibito negli Stati Uniti, Italia, Malta, Grecia, Egitto, Turchia, Brasile, Armenia, Cipro, Portogallo, Spagna, Libano e India. Cosa ti ha lasciato quest’esperienza importante per la tua carriera artistica?
«L’importanza del dialogo interculturale, già suggerito dalle mie origini miste e dall’ambiente cosmopolita della mia città natale, Londra. L’aver scoperto altre culture e paesi nei quali avrei vissuto più tardi, però, ha intensificato questo approccio che la musica rispecchia ed intensifica, forgiando ponti transculturali».
Quali tappe del tour ti hanno segnato in modo profondo?
«Tutte le tappe sono state significative ma il tour in India è stato segnato dall’ospitalità degli organizzatori, nonché dall’ambasciata brasiliana e dal consolato portoghese, che hanno appoggiato la mia visita. Ho anche avuto l’opportunità di organizzare delle masterclass e workshop per alunni in gamba ed entusiasti, in scuole quali il Global Music Institute, affiliato alla Berklee, e collaborato con musicisti specializzati in strumenti locali come il sarod. L’ultimo concerto del tour internazionale, negli USA, è stato anche significativo dato che sarebbe diventato il mio terzo album, Live in California».
Iremia farà parte di un nuovo album in fase di lavorazione?
«Seguendo la scia del singolo precedente, Love Dance, Iremia è un lancio a parte, impreziosito dalla bella copertina del disegnatore francese Lucas Robert. Per quanto riguarda i prossimi progetti ci saranno a breve informazioni sulla mia pagina www.dancosta.net e su reti sociali come Instagram. Vi aspetto!».