Una magica e suggestiva presentazione del libro di Valerio Grutt nello scenario alchemico e misterioso della Cappella San Severo, dove impera al centro della navata il Cristo Velato. Il libro di Grutt intitolato “Però qualcosa chiama – poema del Cristo velato” (edizioni Alos) contiene la prefazione di Beatrice Cecaro, una delle eredi della famiglia Di Sangro, proprietari della Cappella.
In occasione della presentazione del libro, Marco D’Amore – uno tra i grandi attori partenopei conosciuto grazie al successo di Gomorra La serie – ha interpretato alcune delle poesie scritte nel libro di Grutt.
Valerio Grutt è poeta, narratore, autore televisivo, copywriter pubblicitario, cantautore e video maker napoletano, artista di spicco nel nuovo panorama culturale, con un ritmo del verso non tanto sofisticato, semplice, popolare, immagini che scorrono come in un trailer di un film, punti salienti e focali di una vita che lo circonda.
Vincitore di vari concorsi, Grutt ha scritto diversi libri di poesie e altre sue opere sono state pubblicate in diverse antologie, come “Subway. Poeti italiani underground” (Ed. Il saggiatore) e in numerose riviste.
Grutt è un cognome preso in prestito da Anton Grutt de Herlen, capitano di ventura, che nel 1744 arriva in Italia alla conquista del Regno di Napoli, a battaglia persa, decide di rimanere in Italia, precisamente a Napoli dove metterà su famiglia.
In occasione della presentazione del suo libro “Però qualcosa chiama – poema del Cristo velato”, abbiamo scambiato qualche battuta con il poeta.
“Però qualcosa chiama – poema del Cristo velato”…Lei scrive per immagini, scatti presi dalla realtà che la circonda…
«Non ho troppa lucidità su quello che scrivo, non so spiegare la mia poesia in sé, dico solo che sento il bisogno di farlo e lo faccio. Non saprei dire se lavoro per immagini. Sicuramente questa è una caratteristica della scrittura contemporanea, figlia del cinema e della televisione. Molti scrittori, secondo me, lavorano soprattutto per immagini. Io lo faccio in maniera quasi inconsapevole. In questo poemetto avevo in mente un filo conduttore e da lì mi facevo arrivare tutto il resto. Aprivo una porta e cercavo, più di inventare o pensare cosa scrivere, di ascoltare come se ci fosse un suggeritore interiore. Dico sempre che il poeta è un’antenna che deve cogliere il segnale, meglio è questa antenna e più forte è il segnale. Dante era un’antenna eccezionale, poi ci sono tante altre antenne più piccole, ed è quello che cerco di fare anch’io, di aprirmi al segnale e percepire il tutto attraverso la mia esperienza, quel segnale che poi arriva sulla carta.»
Perché l’esigenza di raccontare e descrivere qualcosa che riconduce a Napoli e alla Cappella San Severo?
«Sono dieci anni che non vivo più a Napoli e questo poemetto è un mio ritorno, un dono che volevo fare alla mia città. La Cappella San Severo e l’immagine di Raimondo di Sangro mi hanno folgorato quando avevo quattordici anni, all’inizio non capivo il perché, poi ho provato a studiare, a leggere per capire qualcosa in più, m’incuriosiva molto. È un percorso iniziato qualche tempo fa e non credo finisca con questo poemetto, non so come, ma so che andrà avanti.»
“Però qualcosa chiama – poema del Cristo velato”. Chi o cosa chiama?
«È difficile dirlo, qualcosa chiama è quello che sei veramente, è la chiamata del proprio sé interiore. Noi, spesso, confusi nella vita di tutti i giorni, non ci ascoltiamo più, non ci ricordiamo neanche più di noi stessi, facciamo una vita da dormienti, siamo in questo sonno, andiamo a lavoro, andiamo a casa, facciamo questo o quell’altro, facciamo all’amore, senza più esserci, quindi, quel qualcosa che chiama, potrebbe essere proprio quella scintilla luminosa dentro se stessi.»
Nella poesia dove lei racconta di un Gesù fatto a uomo, riconduce al ritrovare se stessi, le cito i primi versi che lei ha scritto: Ho visto Gesù vomitare nel cesso/ di una stazione, venire al passo nero/ delle ore. Con il camice da infermiere,/ la divisa da pompiere, sorridermi /da un passeggino. L’ho visto tante volte / e ora non lo riconosco, questa sera /non lo riconosco.
«In effetti è questo, l’uomo che si trova davanti al Cristo Velato, dentro la Cappella San Severo in una notte magica è un uomo che cerca la verità, e la trova nel Cristo, ma nel senso che trova Cristo dentro se stesso. Non la trova nella storia della religione o nella Chiesa o altro, il vero tempio è l’uomo, quella luce è dentro l’uomo, quindi, è dentro noi stessi che la dobbiamo trovare, dentro noi stessi c’è quella scintilla che muove tutto l’universo.»
L’amore per la poesia o l’esigenza di raccontare com’è nata?
«Io faccio anche tante altre cose, però i versi hanno una caratteristica particolare, una volta mi è capitato una piccola cosa da bambino, mio padre è morto quando avevo 11anni, e, mia madre mi regalò un ovetto kinder e dalla sorpresa uscì un ambulanza e, mio padre fu portato via da un’ambulanza, e buttai subito questo ovetto. E quando mia madre mi chiese cosa fosse uscito, io le risposi, niente. Perché non lo sapevo dire, che era successo questa cosa, e la poesia fa quella cosa lì, dice con le parole quelle che le parole non possono dire, noi possiamo esprimerci in mille modi, parlando, chiacchierando, facendo disegni, però la poesia ha questa caratteristica strana, è un grande paradosso e, me la sono ritrovata addosso, non è che l’ho scelta, mi è sembrato un modo vero per dire alcune cose che non riuscivo a nominare.»
In futuro scriverà qualche romanzo o ha altre idee…
«Adesso sto lavorando a varie cose, musicalmente ho un progetto tutto mio, e vedremo cosa succede, ma è tutto in forma segreta, posso dirti solo che scrivo e canto. Poi la prosa m’interessa ma ha il tempo, la narrazione, mentre la poesia è una cosa senza tempo.»