Mare, vino, cibo: che vita meravigliosa quella che Vittorio Baiamonte porta avanti in una località dell’Italia meridionale; le giornate scorrono tra una nuotata, una passeggiata con il cane, chiacchiere di paese, una partita di pallone e ore passate in cucina a preparare manicaretti di pesce. Peccato che quasi mai la vita è quella che sembra ed infatti anche in questo caso, l’affascinante sessantenne, sebbene con qualche acciacco fisico, nasconde molto di più di quello che la sua vita routinaria lascia vedere.
Il mendicante arabo, romanzo di Dario Esposito (edizioni Mea), racconta in più di quattrocento pagine la bellezza dei luoghi, (le descrizioni potrebbero essere utilizzate per pubblicizzare i magnifici luoghi di cui l’Italia è piena), e le storie umane, quelle palesi e quelle nascoste, di una piccola comunità.
Un summit di Ministri dell’Unione Europea sconvolge l’equilibrio dei luoghi e costringe il protagonista Vittorio Baiamonte, agente dei Servizi Segreti italiani, coinvolto con quello che dovrebbe essere un semplice compito di supporto, ad affrontare una serie di attentati.
La vicenda va avanti in maniera non fluida, quasi come se la stesura del romanzo avesse avuto molte pause, molti stop, eppure si scorge una certa capacità narrativa nell’autore; in alcun parti indugia in descrizioni che potrebbero essere definite di secondaria importanza, ma l’intreccio tipico di una spy story c’è tutto.
Nei rapporti umani di Baiamonte si nota un qualcosa di non definito; quello con le donne, per esempio. L’uomo è vedovo e da quello che si capisce nei brevi passaggi dedicati a sua moglie, si è trattato di un grande amore, ma il rapporto che vive nel presente con Aurora è qualcosa di marginale ed il possibile passato amore con Sandra resta solo accennato. L’unico rapporto saldo è quello con il professore con cui Vittorio condivide informazioni anche di carattere “lavorativo”. Manca l’azione, quella fisica tipica dei romanzi d’azione.
Il titolo incuriosisce molto (molto bella l’immagine di copertina) ed il lettore deve fare molta attenzione a capire il perché di questa scelta che viene, in un certo senso, svelata alla fine della storia.
Gli scrittori s’innamorano di quello che scrivono e non sempre riescono a capire come sia opportuno tagliare quello che appesantisce, quello che rende meno fluido lo scorrere delle pagine.
Resta il valore di un libro ben scritto dove le storie dei luoghi e delle persone dimostrano che, come spesso capita, di cristallino c’è solo l’acqua del mare.