Immergendosi nella sua anima e navigando nel mare sconfinato dei sentimenti, il cantautore bolognese Franz Campi, dà vita al nuovo album dal titolo Il sentimento prevalente. Il disco, prodotto e arrangiato da Davide Belviso, svela emozioni, delusioni, paure, dispiaceri, ingiustizie vissute da persone a lui vicine. I dodici brani racchiusi nel disco sono uniti da un unico fil rouge, l’amore, il sentimento che lenisce ogni ferita, che salva, libera, e rappresenta il sentimento prevalente.
Da alcuni giorni è disponibile su YouTube il videoclip di Mentre sprofondi e bruci, singolo in collaborazione con il duo rock and roll italiano Lovesick Duo, estratto da Il sentimento prevalente. È un brano dalle sfumature country, scritto da Franz Campi e Davide Belviso, ispirato al discorso “Questa è l’acqua” che David Foster Wallace tenne al conferimento delle lauree del Kenyon College.
L’album Il sentimento prevalente comprende dodici brani che narrano storie di vita, alcune drammatiche altre intrise di speranza. Quanto ti hanno coinvolto queste canzoni?
«Un tuffo dentro la mia anima. E appena riaffioravo, nel momento in cui un brano si finiva di registrare, facevo il pieno di aria nei polmoni per ributtarmi in un’altra storia. Tutte vicende che riguardano la mia esistenza e quella delle persone che ho accanto. Tutte questioni che fanno parte della vita di tanti di noi. L’incontro/scontro con il sistema sanitario, lo stress, la disillusione, le frustrazioni quotidiane, i dispiaceri per il lavoro, i mille continui ostacoli che ci fanno inciampare. E poi il lunghissimo tunnel della Pandemia con le perdite subite, la stupidità di tante persone che inseguivano teorie complottistiche, che inquinavano i tanti sacrifici e slanci di solidarietà di quelli che facevano fronte comune per sconfiggere la diffusione del virus… Eppure in questo marasma, mi sono accorto che brillavano delle piccole e grandi luci nella comunità e nei cuori di tante persone. E nell’amore, per i propri cari, per il proprio lavoro e pure gli altri che si dimostrava, nonostante tutto, il sentimento prevalente. E l’abbiamo messo in musica, dentro le canzoni».
Il singolo Fragile è una canzone intensa, un tango avvolgente che invoglia a superare le proprie paure. Da quali sentimenti è stata concepita?
«Le donne durante la pandemia hanno probabilmente sofferto più degli altri. Quelle di una certa età in particolare. Quelle che devono fare i conti con una determinata stagione in cui il proprio corpo si trasforma e si mette in moto un insieme di ansie e insicurezze che amplificano ogni stato d’animo. Sono specialmente le donne ad aver perso il proprio posto di lavoro. E la propria faticosa indipendenza. Tutto questo ovviamente si rovescia addosso al rapporto di coppia e tutto diventa impossibile. Ma anche qui la memoria dell’amore perduto può essere salvifica. E può superare tutto, se lo si vuole davvero».
Il singolo Mentre sprofondi e bruci racchiude una riflessione sulla vita. Il testo recita “prendi il vento devi correre hai bisogno devi vivere, puoi fidarti di te”. Il brano che sprona a vivere quotidianamente fino in fondo, si ispira al discorso “Questa è l’acqua” che tenne David Foster Wallace al Kenyon College. Perché ha attinto da quel discorso?
«Perché diamo troppo per scontata la meraviglia del mondo. Siamo immersi in una quotidianità che assorbe ogni pensiero profondo, annulla la bellezza facendola schiacciare da obiettivi fasulli, dalla corsa al consumo e alla futilità. Io sono una macchina desiderante. Quando finirò di esserlo, quando smetterò di sognare palcoscenici, chitarre e storie da raccontare, probabilmente avrò segnato il passo. Già il tempo che mi rimane è poco. Non sono più un ragazzo. Ma a me piace costruire e condividere. Non cerco il potere, i vestiti alla moda o le macchine di lusso. E come me sempre più persone sono affascinate dalla Natura, dalla Cultura, dalla Musica, dalla Libertà. È bene ricordarlo sempre in che acqua stiamo nuotando. E quanto sia prezioso fidarsi di sé stessi, di quello di più prezioso che abbiamo nei nostri cuori».
Il brano Venda l’oro narra una triste storia che vede un medico insensibile e privo di scrupoli proporre alla sua paziente un intervento chirurgico nella sua clinica privata, così da evitare la lunga lista di attesa in ospedale. Purtroppo casi simili si verificano di frequente.
«È un continuo. A fianco di tanti medici e personale sanitario che si distruggono in turni sfiancanti e le mille difficoltà di quel mondo, ci sono personaggi a cui non bastano i già lauti guadagni che riescono ad assicurarsi e vogliono sempre di più. Anche raccogliendolo dalle tasche di chi non ha molte possibilità. Questo non riuscirò mai a capirlo. Come il grande recente scandalo nel mondo della Magistratura. Si è scoperto che molti erano a caccia di ulteriori entrate. Altri guadagni, illeciti, da sommare agli enormi stipendi che già percepivano. E queste vicende si affiancano agli spropositati emolumenti di certi amministratori delegati di grandi aziende che contano centinaia di migliaia di euro all’anno. Queste sono tutte facce della stessa medaglia. Da una parte la moltitudine che fatica ad arrivare a fine mese e dall’altra queste ignobili vicende e ingiustizie».
Quello che non ho è la confessione di un uomo che uccide la propria compagna. Cosa l’ha spinta a raccontare un femminicidio?
«Nel suo libro “Il male stanco”, il compianto Luigi Bernardi raccontava store di delitti apparentemente assurdi. Al telefono con lui feci diverse chiacchierate e mi faceva notare come in Italia le radici dei delitti non fossero più da ricercare nelle motivazioni economiche, che c’era stata una rivoluzione. In questa canzone, scritta sulla musica di Daniele Faraotti e arrangiata da Mariano Speranza con i suoi Tango Spleen, c’è proprio una di queste vicende. Ho provato a far parlare un assassino. Uno che non sa nemmeno cosa ha fatto. È stata semplicemente la risposta estrema ad una vita di sconfitte. All’incapacità di assorbire gli schiaffi che quotidianamente la vita ci riserva. E allora paga una per tutte. La persona più fragile. Una donna. Come succede ormai nella maggior parte dei casi. È il grande scandalo di un mondo impazzito, di una società che non riesce più ad educare i suoi figli trasformandoli in adulti responsabili e capaci di fare fronte alle difficoltà. Ma, come dicevo prima, siamo tutti infilati in una corsa affannata che non ci fa molto riflettere. Forse questi due anni di dolore e ora la guerra alle porte però, qualche occasione ulteriore ce la stanno concedendo, malgrado tutto. Approfittiamone se possiamo».
Nel 1994 partecipa al Festival di Sanremo con la canzone Ma che sarei. Quale ricordo conserva di quella partecipazione?
«Era il momento di sognare. Di provare a trasformare un anatroccolo in un cigno in un big della canzone italiana. Purtroppo non è andata così… Mi sono trovato in gara con dei cavalli di razza come Giorgia, Irene Grandi e Bocelli… Difficile vincere. Ma è stato comunque un grande risultato calcare il palcoscenico dell’Ariston per due volte, la prima vincendo le selezioni. E alla fine, dopo tantissimi anni, sono ancora qui a cantare, scrivere canzoni e riempire i teatri con i miei spettacoli. Sono un uomo fortunato per questo. Non me lo dimentico».
Ha scritto numerosi testi tra cui Banane e Lampone portata al successo da Gianni Morandi. È stato gratificante?
«Tantissimo. Dopo 34 anni di canzoni, sigle televisive, canzoni per bambini, jingle pubblicitari di successo, centinaia di concerti e spettacoli, sono ancora quello di “Banane e lampone”, un “evergreen” della canzone italiana. E io ne sono felicissimo e non manco mai di eseguirla. Magari potessi scriverne una tutti gli anni con questa storia. Magari».
Nel 2008 è entrato a far parte del Comitato scientifico del Centro Internazionale della Canzone d’autore curato da Lucio Dalla e Davide Rondoni. Cosa ha rappresentato per lei questa esperienza?
«Conoscevo Lucio da anni, ma così, di sfuggita. Grazie a Davide Rondoni riuscii a partecipare a questo progetto ma soprattutto a pranzare con lui. Uno di fronte all’altro il discorso finì su Fabrizio De André. Io e Marco Alemanno sostenevamo la sua grandezza. Lucio chiosava, minimizzava e anche peggio. Qualche mese dopo Fabio Fazio organizza nel suo programma una puntata monografica dedicata a Faber. Accendo la TV perché non posso assolutamente perdermelo. Chi apre le danze? Ma ovviamente Lucio che interpreta “Don Raffaè”… Lui era così. Il genio più bugiardo mai conosciuto. Il più formidabile musicista pop che io abbia mai amato e ascoltato. Che dire di più? Io l’adoro e lo sogno ancora oggi».