Vertigo 20 è un omaggio ai venti anni di attività di questa compagnia di splendidi danzatori (Vertigo appunto) fondata dalla coreografa Noa Wertheim e Adi Sha’al. Già presenti al Napoli Teatro Festival 2012, avevano incantato tutti con “Null” e “Birth of the Phoenix” all’interno di una progettualità che voleva incentrarsi sulla danza israeliana. Qui, invece, si assiste, in prima mondiale, ad un mix di “successi” e il pensiero potrebbe subito andare a quei “greatest hits” di musicale memoria in cui non si trova nulla di nuovo. Con Vertigo 20, invece, si sconvolgono le regole del gioco e ci si trova di fronte ad uno spettacolo a sé in cui ogni piccolo passaggio è così naturalmente studiato e sviluppato che ti vien voglia di salire sul palco per danzare. I costumi di Rakefet Levy (che firma anche la scenografia fatta da ripiani posti a diverse altezze con i quali i danzatori interagiscono leggeri da sembrare capaci di spiccare il volo da un momento all’altro) creano figure cool ma, al tempo stesso, fuori dal tempo, dalle connotazioni e dalle mode. In scena lo spettatore vede delle apparizioni silenziose o al massimo della loro forza impegnate alla creazione di perfette e poetiche sincronie coadiuvate dal disegno luci di Dani Fisher, così magico e sfumato che non ci si accorge di nulla. Lo spettacolo crea delle atmosfere così uniche e sospese che vorresti non finisse mai; ci sono tumulto, passione, delicatezza e le musiche originali di Ran Bagno (storico compositore di Vertigo) a completare il tutto. La coreografa Noa ha nel suo nome tutto il suo destino perché, in lingua ebraica, significa “movimento”. Attenta anche alla natura, ha creato una sorta di comune ecosostenibile: il Vertigo Eco-Art Village situato in una valle tra Tel Aviv e Gerusalemme. Insomma, una compagnia che merita più di un approfondimento e con danzatori il cui corpo dovrebbe essere considerato Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Non è solo danza, è un’esperienza olistica di totale benessere, se noi tutti avessimo solo un briciolo delle consapevolezze fisiche di questi danzatori potremmo vedere un mondo decisamente migliore in cui l’estetica non è solo bellezza esteriore ma coscienza di potenzialità inespresse.
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