La cornetta di un telefono, uno specchietto da borsa, collant strappati, persino una tutina di un neonato che mette i brividi: sono solo alcuni dei tanti oggetti lasciati dalle donne nello ‘sfogatoio’, l’installazione artistica allestita al Museo Madre per un giorno contro la violenza sulle donne nell’ambito dell’evento-interattivo ‘I Miserabili’ curato da Désirée Klain e Giuliana Ippolito che ha richiamato oltre 500 visitatori.Per la prima volta l’attenzione è andata non ad immagini di donne picchiate ed umiliate ma alla miseria umana dei carnefici, spesso invisibili. L’invito era quello di abbandonare nella drammatica installazione di Gema Ruperez (un box tappezzato a spina di pesce da 1032 fazzoletti numerati in memoria delle donne uccise negli ultimi dieci anni) un oggetto simbolico per ‘liberarsi della violenza subita’.
«Il coinvolgimento è stato enorme, in una giornata ad alta partecipazione emotiva, oltretutto proprio nelle ore in cui giungeva la notizia della condanna esemplare per l’uomo che ha sfigurato Lucia Annibali – racconta Klain, giornalista e presidente dell’Associazione Periferie del Mondo-periferia immaginaria’ motore dell’evento che si vorrebbe trasformare in una vera e propria campagna di sensibilizzazione. Ringraziamo il Madre per averci accolto e in particolare per la sensibilità l’Assessore regionale alla Cultura Caterina Miraglia».
Interattiva anche la seconda istallazione, di Barbara Bonfilio, a cura di Ippolito, che si è andata arricchendo per tutta la giornata di nuove pagine di diario, anonime ma in molti casi toccanti o sconvolgenti. Storie di mariti carnefici durate anche un quarto di secolo, molestie di amici di famiglia e ‘religiosi’, donne che combattono per far uscire allo scoperto le sorelle e le amiche. Al centro dell’evento, nella sala delle colonne, il concept fotografico di Stefano Renna ideato da Klain: una selezione di immagini forti, scatti di cronaca nera con zoom sui carnefici, ripresi in canottiera, con lo sguardo perso, portati via in manette, mostrati davanti l’obiettivo dei tanti fotoreporter che seguono le troppo numerose vicende della cronaca italiana recente. “Vogliamo proporre provocatoriamente un’identificazione negativa – spiega Klain – attraverso queste immagini viene in superficie la sconfitta proiettata in uno specchio deformante, dove il protagonista del delitto è svestito da ogni possibile mitizzazione o forma di giustificazione, e raccontato invece nelle conseguenze negative insite in ogni gesto di violenza”.