“I Bemolli Sono Blu” (TRJ Records) è il secondo album dell’AB Quartet. Il disco si sviluppa in otto tracce ispirate alla musica di Claude Debussy, al quale la band tributa un omaggio in occasione del centenario dalla sua morte. Originale ed accattivante, il nuovo lavoro dell’AB Quartet offre al pubblico uno spaccato musicale di ampio respiro, che spazia dal jazz tradizionale al funk, con largo spazio all’improvvisazione. La formazione dell’AB Quartet è composta dal leader Antonio Bonazzo ( pianoforte ed arrangiamenti), Francesco Chiapperini (clarinetto e clarino basso), Cristiano Da Ros, (contrabbasso) e Fabrizio Carriero (batteria e percussioni).
“I Bemolli Sono Blu” è la vostra seconda produzione discografica, che vede Antonio Bonazzo al piano ed agli arrangiamenti, Francesco Chiapperini al clarinetto ed al clarino basso, Cristiano Da Ros al contrabbasso e Fabrizio Carriero alla batteria ed alle percussioni. Com’è nato e cosa rappresenta questo nuovo lavoro?
«Dopo la faticosa esperienza di “Outsiding”, il nostro primo disco, molto sperimentale, cupo ed estremamente difficile da suonare, il quartetto aveva bisogno di un progetto un po’ più disteso e leggero. Così è nato “I bemolli sono blu” che però non va visto come un punto di arrivo ma come un’ulteriore fase di maturazione del nostro stile musicale che in effetti si sta ancora evolvendo. In generale la sperimentazione si sta cristallizzando su meccanismi ormai consolidati e sta gradualmente lasciando il posto a uno stile musicale rodato e consapevole».
Sette sono i brani originali, registrati nel 2018, come mai avete deciso solo ora di pubblicarli?
«Avendo pubblicato Outsiding all’inizio del 2017 non avevamo una gran fretta di uscire anche con questo e ci siamo presi il tempo necessario per vagliare diverse proposte discografiche e trovare un’etichetta adatta a questo tipo di musica. Alla fine del 2019 abbiamo firmato con TRJ per uscire all’inizio del 2020 ma la data è slittata a fine agosto a causa della pandemia».
L’album omaggia Claude Debussy in occasione del centenario dalla sua morte. Anche il titolo dell’album trae è ispirato ad una frase di Debussy, che, parlando della sua visione della musica, dava risalto ad alcuni aspetti di essa ‘non musicali’, come il colore. Com’è nata la scelta di omaggiare questo artista?
«Al di là del centenario la scelta di Debussy è dovuta al fatto che vari aspetti della sua musica come alcune scelte armoniche e alcune sonorità sono molto vicini al nostro stile e al nostro gusto. La sua nuova concezione musicale, improntata principalmente sulla ricerca armonica, sull’utilizzo di scale modali e di accordi dissonanti, porta ad un risultato che all’ascolto non è così distante dal jazz. Questo è stato per noi un punto di partenza importante anche perché il confronto con i grandi del passato è sempre un territorio insidioso ed è molto difficile elaborare un materiale musicale come quello di Debussy, sempre alquanto sfuggente e al limite dello sdolcinato. Il rischio di scadere in un lirismo stucchevole è sempre presente».
In cosa si differenzia quest’ultimo lavoro dal precedente “Outsiding” uscito nel 2017?
«Con “I bemolli sono blu” le strutture si sono leggermente semplificate e lo stile si è adattato ancor meglio alle caratteristiche dei musicisti dando vita a un risultato musicale più fluido e di più facile ascolto. Possiamo dire che “I bemolli sono blu” è più jazz mentre “Outsiding”, sia per la scrittura con grafie di azione che per l’uso di procedimenti improvvisativi derivati dalla musica aleatoria è più vicino alla musica contemporanea».
Com’è nata la formazione degli AB Quartet? Come vi siete incontrati e avete deciso di unire le vostre esperienze musicali?
«AB Quartet rappresenta il punto d’arrivo di un’idea di musica su cui ho cominciato a riflettere verso la fine degli anni ’90. Pensavo a un progetto in cui i musicisti sono parte attiva della composizione stessa e sono in grado di leggere e interpretare parti scritte ma anche di muoversi liberamente negli spazi sconfinati del free jazz e della musica aleatoria. Dopo tanti anni di sperimentazione con formazioni diverse, nel 2015 il gruppo ha trovato la sua line-up definitiva e il suo sound difficile da definire e situare in una categoria musicale specifica. Le nostre influenze sono molto eterogenee, dalla musica antica al jazz, dalla contemporanea al metal ma il nostro comune denominatore è l’interesse per l’improvvisazione radicale».
State lavorando già a un prossimo progetto?
«Parallelamente ai concerti per l’uscita del disco, che per il momento abbiamo dovuto interrompere, stiamo finendo un nuovo lavoro ispirato alla musica antica che si intitola “DO ut Des”. In questo progetto i brani prendono le mosse da melodie gregoriane trattate con molta libertà, talvolta solo accennate piuttosto che nascoste tra le pieghe più recondite del tessuto musicale o addirittura prese solo come fonte di ispirazione ma alla fine in tutti i pezzi riecheggiano comunque inconfondibili le atmosfere arcaiche di questa musica lontana e così affascinante. Per il futuro abbiamo anche in programma un quarto disco in collaborazione con un progetto vocale di cui ho già cominciato a scrivere i primi pezzi».