Nel nuovo spazio espositivo dell’Ara Pacis a Roma, va in “scena”, fino al 25/01/2015, una retrospettiva (proveniente dal Centre Pompidou di Parigi), del grandissimo fotografo francese Henri Cartier-Bresson, pioniere del foto-giornalismo, del reportage d’autore e della fotografia come principio di vita e modus vivendi.
Agli inizi, dopo gli studi, Henri fu presto attratto dalla pittura grazie allo zio e comincerà i suoi studi con André Lhote che lo introdurrà al surrealismo francese. Conoscerà (e ne sarà influenzato), quindi, il lavoro magico di Eugène Atget che catalogò Parigi con un corpus di 10.000 fotografie. Si recò – nel 1930 -, munito di quella che diventerà la sua compagna inseparabile di viaggio, in Costa d’Avorio e al ritorno proprio da questo viaggio, diventerà un appassionato irriducibile del mezzo fotografico come espressione prima del linguaggio surrealista e poi della realtà così come appare. Alla ricerca, quindi, del momento decisivo tanto che egli stesso si definì come un pescatore che deve avvicinarsi con estrema cautela alla preda e colpirla nell’istante opportuno.
La macchina fotografica diventerà il prolungamento del suo occhio, pronta a “[…] prendere in trappola la vita, a fermare la vita nell’attimo in cui viene vissuta. Volevo soprattutto cogliere, nei limiti di un’unica fotografia, tutta l’essenza di una situazione che si stava svolgendo davanti ai miei occhi”.
Lavorerà per le maggiori riviste, da Life a Vogue ad Harper’s Bazar e sarà uno dei fondatori della mitica agenzia Magnum. Praticamente, Bresson ha ripreso tutti i maggiori eventi nel mondo. I suoi occhi, con i quali osservava e capiva, sono stati ovunque, davvero “l’occhio del secolo” come più volte è stato definito. Certo, è un’utopia il concetto di realismo e di fotografia che riprende la realtà così come appare agli occhi; nonostante la macchina fotografica sia un mezzo tecnico e distaccato, non possiamo dire altrettanto del fotografo che, in quanto umano pensante, riprenderà sì la realtà ma con l’inquadratura che più gli appartiene. Fin dai suoi inizi, la fotografia è stata sinonimo di verità e, ancora oggi, identifichiamo documenti importanti come la carta d’identità attraverso una fototessera ma cosa c’è di meno reale se non proprio una piccola immagine che non segue i cambiamenti continui del nostro corpo? Quanti di noi si possono dire rappresentati a trent’anni da una foto di quando ne avevamo 18? In mostra un grande numero di immagini, dalle più note alle meno famose con anche lavori di pittura e disegno, compresi i lavori cinematografici e i video-reportage. Una gran bella mostra.