Lo spettacolo con protagonisti Pamela Villoresi e Baba Sissoko, scritto e diretto da Gigi Di Luca
Dopo essere stato in scena nel mese di marzo al Teatro Biondo di Palermo, lo spettacolo “Memorie di una Schiava”, scritto e diretto da Gigi Di Luca, con protagonisti Pamela Villoresi e Baba Sissoko, approderà dal 2 al 6 aprile al Teatro Sociale di Brescia.
Grande successo per il ritorno in scena di “Memorie di una Schiava”, lo spettacolo con protagonisti Pamela Villoresi e Baba Sissoko, scritto e diretto da Gigi Di Luca.
Lo spettacolo è liberamente tratto dal romanzo “Spedizione al Baobab” della scrittrice sudafricana bianca, Wilma Stockenstrom che ha vinto numerosi premi tra cui in Italia il Grinzane Cavour.
“Memorie di una schiava” racconta di una schiavitù senza confini geografici, che parte dall’Africa e incontra simbolicamente le storie e i volti delle tante ragazze vittime di altre schiavitù contemporanee.
Il regista Gigi Di Luca ha costruito un linguaggio essenziale, unico, interiore, che intreccia la parola, il gesto, il suono per superare ogni forma di descrizione esotica e oleografica per allontanare il rischio di uno stereotipo, di un pregiudizio verso la madre terra Africa. Il suo percorso registico continua anche per questa piece, sui binari del rapporto tra musica etnica e parola. Linguaggi essenziali per un recupero d’identità collettiva, per una narrazione fatta di codici della tradizione popolare in framment-azioni contemporanee.
Per l’occasione abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Gigi Di Luca, il quale oltre a descrivere lo spettacolo nel dettaglio, ha parlato anche di altri progetti a cui sta lavorando.
Il primo adattamento dello spettacolo è avvenuto nel 2012. In questa nuova versione hai aggiunto qualcosa oppure è rimasto fedele all’originale?
«Lo spettacolo rispetto a 13 anni fa ha subito uno snellimento, registicamente parlando. Resta immutata la scelta di mettere al centro della storia una schiavitù senza confini geografici, che parte dall’Africa e incontra simbolicamente le storie e i volti delle tante ragazze vittime di altre schiavitù contemporanee. L’Africa, dunque, vista su un piano universale, che vede come protagonista della storia un’attrice come Pamela Villoresi, lontana dall’immaginario di donna africana. Il dolore resta ancora un punto forte nello spettacolo, come già lo era allora. Nel riprendere questo spettacolo, io e Pamela, ci siamo resi conto di quanto fosse attuale questo tema, perché dentro la storia lacerata, dolorosa, a tratti anche molto poetica della protagonista, della schiava che non conosce il suo nome perché non sa come si chiama e che trova rifugio all’interno di questo baobab – come se fosse un ventre materno – dentro questa storia c’è un dolore un vissuto che si può trovare in qualsiasi donna, in qualsiasi essere umano a cui venga inflitto ogni tipo di frustrazione, mancanza di dignità, e non solo di povertà. La poesia in questo spettacolo si eleva dal dolore, la bellezza rinasce dalla brutalità, dalla sofferenza, complice il ventre protettivo del Baobab “Sono un essere supremo in questa corteccia e ogni volta che lascio il ventre protettivo dell’albero torno a essere umana. Rinasco ogni volta dal grembo del baobab”. Il voler essere ad ogni costo più vicina alla natura umana che a quella animale è significativo della condizione della schiava e del percorso lacerante della sua vita. “ Ho superato anche l’offesa di non poter essere umana “ confessa a se stessa, desiderando ancora di essere madre, madre di figli che le venivano rubati e venduti in lotti separati fin da piccoli. In questa nuova messa in scena ho avvertito la necessità di ricercare, l’essenza, la naturalezza nel dolore e nel piacere come unico mezzo espressivo per portare il dramma umano e sociale dentro ogni forma di riflessione, dandogli assoluta verità, per indagare sulla sottomissione psicologica e fisica, sulla schiavitù che con nuove forme di costrizione continua a negare la libertà e la dignità umana».
Memorie di una Schiava è liberamente tratto da Spedizione al Baobab di Wilma Stockenstrom. Come e quando ti sei avvicinato alla lettura di questo libro?
«Quando ho aperto l’Ethnos Club, avevo dotato lo spazio di tanti libri che il pubblico potesse leggere ma anche acquistare, insomma una forma di divulgazione di quell’editoria minore e soprattutto di editoria di viaggi. Tra questi libri c’era anche Spedizione al Baobab di Wilma Stockenstroem. Solitamente ho un certo intuito nelle cose, quindi quando apro un libro e leggo una scrittura che ha la capacità in poche righe di farmi arrivare qualcosa, intuisco che forse è un buon libro da leggere e adattare per il teatro. La stessa cosa è successa con Viva la Vida. Quando tu prendi un romanzo cerchi di rispettare l’essenza, eliminando tutto quello che non ti serve per l’adattamento teatrale. E’ stata un’operazione ben riuscita, di grande successo che girò l’Italia dal Mercadante al Piccolo di Milano.
Come è nato l’incontro con Pamela Villoresi?
«Quando ho incontrato Pamela Villoresi, nel 2012, che conoscevo artisticamente ma non di persona le proposi “Memorie di una Schiava” e la prima domanda che mi fece fu quella se fosse stata l’attrice giusta per questo spettacolo, poiché non era né giovane e neanche africana. Le dissi di non preoccuparsi perché la mia idea era diversa era quella di superare lo stereotipo, andare oltre. Infatti in scena lei è ricoperta di creta, piena di fango, completamente calva, Questo essere umano così ridotto, non è in Africa, ma in qualsiasi luogo della terra. Ho costruito così una tessitura con delicatezza, una partitura di emozioni in alternanze continue tra pieni e vuoti, tra azioni e sottrazioni in equilibrio costante tra loro. Un linguaggio essenziale, unico, interiore, che intreccia la parola, il gesto, il suono per superare ogni forma di descrizione esotica e oleografica per allontanare il rischio di uno stereotipo, di un pregiudizio verso la madre terra Africa. Ho pensato fin da subito che Pamela Villoresi potesse essere l’attrice giusta per questo spettacolo. E’ un lavoro scenico molto impegnativo, ricco di movimenti e che richiede grande sforzo fisico. Un’ora di spettacolo in cui Pamela è da sola in scena in compagnia di Baba Sissoko, griot, cantastorie dai tanti volti, che incarna “l’uomo “, amore e dolore, offesa e cura allo stesso tempo. Quello che mi ha portato a lei è stata la ricerca di una persona sensibile, un’attrice che uscisse fuori dagli schemi. I suoi tanti anni di teatro con Giorgio Strehler, le hanno dato una formazione straordinaria, di rispetto innanzitutto dei ruoli. Non ho avuto mai un’invadenza da parte di Pamela nella regia, nelle mie idee, in quello che facevo, assolutamente no, entrambi siamo molto soddisfatti di questo lavoro».
Memorie di una Schiava ha fatto da apripista ad altri lavori in collaborazione con Pamela Villoresi…
«Sì, questo è stato il primo di quattro spettacoli che ho fatto per lei. Gli altri sono “Nata sotto una pianta di datteri”, “La nuotatrice” e “Viva la Vida».
Dove andrà in scena questo spettacolo?
«Dopo essere stato in scena nel mese di marzo al Teatro Biondo di Palermo, che l’ha prodotto, dal 2 al 6 aprile sarà al Teatro Sociale di Brescia. Poi siccome siamo a fine stagione, l’anno prossimo dovrebbe girare per gli altri teatri importanti tra Roma e Torino, e forse toccherà nuovamente Napoli».
La messa in scena si muove su più piani narrativi, parole, immagini e musiche eseguite dal vivo da Baba Sissoko…
«Il lavoro fatto con Baba Sissoko è stato importante. Lui rappresenta l’Africa. La sua figura non si può semplicemente associare alla musica, perché lui in questo spettacolo è anche attore, è stato fatto un lavoro molto accurato, poiché ho dovuto farlo abituare ad entrare nelle battute, nella recitazione, a tenere il tempo, a tenere il rigore scenico che un musicista non ha normalmente. Mi piaceva l’idea che lui in scena parlasse la sua lingua, il bambarà. Baba in questo spettacolo rappresenta il dolore e la cura, l’amore e l’odio, per cui lui da un lato è il carnefice, lo schiavista, dall’altro la cura, il sogno di questa donna. È l’Africa che alla fine della storia, si ri-riporta l’Africa, che la accoglie nuovamente per la madre terra. È un racconto molto bello e delicato, narrato con garbo, ma anche con amore da Wilma Stockenstroem nel descrivere il dolore e le sofferenze di questa schiava. È uno spettacolo che emoziona tantissimo soprattutto nell’azione in cui Baba con uno strumento a percussione come se fosse uno sciamano, spinge ritmicamente la crisi della schiava a cui le rubano i figli, sostiene le pulsazioni, le urla fino alla fine, quando crolla a terra accompagnata dal pianoforte dolce di un brano di Omar Sosa. Ferma immobile, sfinita, è la sua voce/pensiero fuori campo che denuncia l’ingiustizia, l’impossibilità di poter essere felice, di poter vivere una storia di dignità come “sapere dove è il cibo e non poterci arrivare”.
Tu sei molto legato a questo spettacolo, si evince da come ne parli…
«Sono molto legato ai temi che sento miei, credo che ci sia un filo che lega un po’ tutto il mio lavoro sui binari del rapporto tra musica etnica e parola. Mi ritengo fortunato di essere una persona del sud e di aver vissuto in una famiglia semplice che mi ha insegnato i valori umani, ad apprezzare la bellezza della vita negli altri, nelle relazioni, i rituali, le tradizioni. Ho iniziato da anni ad indagare su quelli che sono i segni di un sud amore amaro, delle storie di tenerezza e forza delle donne del sud. La poesia si eleva dal dolore, la bellezza rinasce dalla brutalità, dalla sofferenza, la vedi, la percepisci. E’ un’analisi profonda che ho fatto anni fa quando lavoravo con i ragazzi diversamente abili del centro Don Orione di Ercolano. Un’esperienza straordinaria di laboratorio teatrale musicale che ci ha portato a realizzare un disco prodotto da David Zard, con le mie musiche, e a mettere in scena diversi spettacoli anche per la Rai. Questo percorso mi ha permesso di diventare quello che sono oggi e che porto nei miei progetti».
A quali altri progetti stai lavorando?
« Intanto ho ritenuto di non ricandidarmi in qualità di direttore artistico della Festa dei Quattro Altari di Torre del Greco per cedere il posto ad altri e dedicarmi a nuovi progetti. Sono stato contento di essere stato il primo direttore artistico della rinascita della festa, dopo 16 anni, portandola ad un livello culturale molto alto, grazie però al sindaco Luigi Mennella che l’ha messa nel suo programma elettorale e l’ha riprogrammata dopo anni di assenza. Sarò direttore artistico di un festival molto importante che si farà ad Ercolano, un progetto che si chiama Open – Ercolano nei luoghi dell’arte – che si farà a luglio con un programma ricco di iniziative, di mostre, di cinema e di spettacoli. Inoltre, in collaborazione con una rete di cinque associazioni, lavorerò ad un progetto che si chiama Attraversamenti, che riguarda il terzo settore, ed un altro progetto che si occupa di immigrati, dove ci occuperemo della progettazione culturale di Piazza Garibaldi a Napoli insieme a Dedalus e ad una ampia rete di partner. In futuro darò sicuramente spazio ad altre produzioni teatrali, mentre in questo periodo sto lavorando al trentennale del Festival Ethnos, in programma dal 5 al 21 settembre. Una ricorrenza molto importante. Questo Festival ha un suo marchio e negli anni è riuscito a fidelizzare una grande fetta di pubblico, poiché non ha mai ceduto alle mode, mantenendo una qualità alta di ricerca. Oggi il pubblico di Ethnos viene a seguire la proposta, pur non conoscendo quasi gli artisti. Abbiamo mantenuto la nostra identità e non ci siamo snaturati. Parlare delle culture del mondo, oggi, ha molta più importanza rispetto a quando abbiamo iniziato nel 1995. Oggi c’è molto più bisogno di conoscere, di fare esperienze, di condividere, di interrogarsi sulle migrazioni, sulla multiculturalità, sui cambiamenti che ci sono in atto, sui territori di guerra, per cui credo che questo sia il senso di una presenza ancora attiva, importante, a distanza di trent’anni del festival. Se mi guardo indietro e vado a vedere tutto quello che è passato per Ethnos… guardo il mondo; tanti artisti, anche poco noti ma che hanno lasciato un forte segno. Generazioni sono cresciute con questo Festival e c’è un pubblico folto che aspetta questo appuntamento ogni anno».