Lo scorso weekend, al Centro Teatro Spazio (storico teatro di San Giorgio a Cremano – Napoli), è andato in scena lo spettacolo dal titolo “Miseria”. Si tratta di una rivisitazione di uno spettacolo della precedente stagione teatrale scritto e diretto da Vincenzo Borrelli; con Cristina Ammendola, Marina Billwiller, Marilia Marciello, Antonio Tatarella, ma non solo.
Questo spettacolo, infatti, che riconferma il grande successo di pubblico della scorsa stagione, porta in scena questa volta ben 40 attori (il più piccolo sedicenne) per un genere nuovo di teatro, quello europeo (un teatro fatto di corpo, mimo e canto) ed ha appassionato gli spettatori dall’inizio alla fine.
Lungi dal raccontare una cronistoria dell’epopea della rivoluzione napoletana del 1647 capeggiata da Tommaso Aniello d’Amalfi (detto Masaniello), è invece uno spettacolo molto attuale che denuncia l’immobilismo dei popoli. “Si tratta di un dramma in un atto d’amore per la propria terra, per la propria storia, per i propri figli”. La trama prende infatti spunto dai fatti successivi agli avvenimenti del 1647 e racconta di “un figlio morto dopo otto giorni: troppo debole per continuare la sua lotta contro la vita, troppo ostinato per non nascere per niente”. Masaniello è dunque lo spunto per parlare di una rivoluzione tipo che poteva accadere ma non si è verificata, non c’è stata perché i napoletani di Masaniello si identificavano in folla e non in popolo. In realtà questa è ancora la storia attuale di una città, Napoli, sconfitta troppe volte ed ormai rassegnata e stanca.
La trama vuole, dunque, portare lo spettatore ad interrogarsi sulla differenza tra miseria e povertà: quest’ultima è una condizione non voluta causata dalla condizione di eccessiva ricchezza altrui, ma che nasconde una volontà di riscatto. La miseria è, invece, una condizione di immobilismo in cui si ha una visione rassegnata della propria situazione economico-sociale senza una volontà di riscatto. La differenza è quindi nel concetto di “resilienza” dal quale si parte per proporre allo spettatore una serie di interrogativi: si tratta di una miseria che oggi riguarda solo il contesto partenopeo oppure è estesa a tutta l’Italia? Si potrebbe, quindi, estendere a tutta l’Italia questa capacità di essere folla e non un popolo? Il concetto di povertà e miseria si potrebbe allacciare anche a ciò che oggi accade per il reddito di cittadinanza: quest’ultimo potrebbe rientrare nel concetto di miseria, invece di essere lo strumento per uscire dalla povertà?