Graham Candy è in tutte le radio con Back Into It, il secondo grande successo della sua carriera. Questo cantautore neozelandese è partito dalla sua terra tre anni fa, alla volta di Berlino “dove ho trovato l’incontro perfetto tra passione e lavoro”, ci dice presentando il suo primo album, Plan A, che è pubblicato anche in Italia.
Il primo successo She Moves aveva dei riferimenti alla scena dance. Come ti senti a spaziare tra i generi?
«Penso che sia dovuto al fatto che appena arrivato ho conosciuto il team di produttori Feeling Valencia, che avevano anche lavorato con l’elettronica degli Aparat. E mi sono appassionato, perché l’incontro di stili a Berlino è molto facile. Io compongo su strumenti acustici, quelli che mi stanno intorno sono più che altro techno artist e dj nella scena berlinese».
Parlaci dell’incontro con Alle Farben con cui hai creato She Moves.
«Ci siamo incontrati come è successo per Robin Schultz, attraverso il passaparola, persone che si incontrano tramite amicizie e iniziano a collaborare spontaneamente. Questa è una delle cose belle che mi sono successe a Berlino fin da quando sono arrivato. È tutto derivato dal parlare. Alle Farben è molto diverso da me come personalità, è molto orientato al lavoro e per me è stata una rivelazione. Pensavo che i dj non lavorassero così tanto, e invece…».
Parli di lavoro, famiglia, amore nelle tue canzoni. I tuoi testi sono tutti riferiti al presente?
«Sì sono tutti riferiti al presente, se parlo di me o di mio padre, è un’emozione diretta non riferita al passato ma a come mi sento adesso. Non ho ancora fatto ancora canzoni sul passato o sul futuro, ma è qualcosa di cui tenere conto, ora che mi ci fai pensare».
Che ricordi hai della tua infanzia?
«Arrivo da una famiglia povera, anzi, un tempo avevamo una grande casa, la jacuzzi. Poi i miei si sono separati, il business di famiglia è andato perso e ci siamo ritrovati molto in difficoltà. La canzone Kings and Queens parla proprio di questo: due persone che a un certo punto mettono sul tavolo tutto quello che hanno e decidono di stare assieme e non fregarsene di niente e vivono come un re e una regina, anche se con poco».
Parli molto di riuscire a farcela, di duro lavoro. È un concetto che ti sta a cuore?
«È un privilegio essere qui e un musicista deve farlo capire a chiunque non si renda conto di questo. Devi essere forte e supportare quello che ti succede. Perché dovrei riposarmi dopo un sucesso? Perchè dovrei sedermi? Non voglio lasciare questo posto, voglio rimanerci perché è troppo bello».
L’artwork del tuo primo disco è davvero inventivo. Chi l’ha curato?
«All’inizio volevamo fare una sovrapposizione di foto di me stesso, volevo mostrare la mia terra ma anche cose che si riferissero a Berlino, la mia nuova casa. E poi volevo anche che venissero fuori tutte le mie passioni, il teatro e la danza. Poi alla Bmg mi hanno presentato questi folli grafici berlinesi, MindCliff che hanno ideato questa grafica lunga oltre tre metri che va dalla musica a un viaggio attraverso Berlino e la Nuova Zelanda. È anche questo il mio album: non è folk, è un miscuglio di mood. Per questo mi hanno rappresentato in una posa pensierosa, poi sentimentale, poi allegra».
Ti hanno mai detto della somiglianza vocale con Asaf Avidan?
«È una cosa grande essere comparato a un artista così grande. E quando uscì One Day un mio amico pensava fossi io in radio. Io dicevo: ma che dici? E poi ho ascoltato ed è davvero una voce simile alla mia. E un giorno ci incontreremo e sono sicuro sembrerà molto strano».
Come esplori nuova musica?
«Mi piace sperimentare con l’elettronica, non sono un musicista educato, sono ancora un bambino. A Auckland suonavo certo, ma non è che sognavo di essere un musicista, volevo solo affermarmi. Insegnavo danza al mattino, andavo a cantare nei pub e poi a teatro. Da quando sono a Berlino mi interesso a nuovi strumenti, chitarre, mandolini, voglio imparare».