“L’immortale è morto”. Queste le parole di Ciro Di Marzio nel trailer, prima stretto collaboratore del boss di Secondigliano e poi mina vagante e causa scatenante della sanguinosa guerra che si è protratta ormai per ben tre stagioni: parla di se stesso, dell’uomo che era e di quello che le circostanze l’hanno fatto diventare. Nel 1968 i Rolling Stones cantavano Sympathy for the devil, compassione per il diavolo; la stessa che sentiamo noi, dall’altra parte dello schermo. Abbiamo pietà di questi assassini. Gli riconosciamo una dignità, forse anche un’umanità, che non hanno né intendono fingere di avere: sono prepotenti e brutali, ma magnetici.
Tutto nasce dall’omonimo libro di Roberto Saviano, pubblicato nel 2006 da Mondadori; un lavoro di denuncia riguardante il mondo affaristico e criminale della camorra in Campania, pregno di descrizioni basate sugli atti processuali e sulle indagini di polizia. Matteo Garrone ne ha tratto un film nel 2008, acclamato dal pubblico internazionale e premiato dalla critica a Cannes; infine, nel 2014 Sky l’ha reso un dramma seriale capace di inchiodare allo schermo numeri record di telespettatori.
Il male si muove nella piena luce del giorno, alle pendici del Vesuvio; protetto dalla stessa terra che devasta, dalla stessa gente che assoggetta e spaventa. È il carisma dell’arroganza, la perversa bellezza del potere che non conosce regole di condotta se non quelle che si scrive da sé. La storia del clan camorristico dei Savastano, guidato dall’ineffabile Don Pietro, ha ridefinito per sempre il concetto di crime drama: tutto, dal dialetto inintelligibile sottotitolato piuttosto che doppiato, passando per le romantiche fotografie di una periferia in evidente stato di abbandono che celebra il cancro che la infesta, ha permeato l’immaginario collettivo creando un nuovo modo di raccontare gli anti-eroi. Basta far caso a come la serie Narcos, più recente, riprenda in molte scelte le intuizioni narrative di Gomorra, per notare quanto i canoni del racconto criminale siano cambiati.
Questi gangster non sono eleganti, né suadenti: sono chiassosi ed intelligenti, volgari e crudeli. Risolvono i conflitti in carneficina; smerciano droga; infestano come parassiti una realtà già fatiscente, aggiungendo la disperazione al degrado. Sono la peggior specie di cattivi, sleali e feroci, malvestiti e malissimo educati. Ma loro sono i soldi, il potere, il rispetto dovuto al più forte dalla legge della giungla; la freddezza con cui premono un grilletto per lavare un’offesa incute un certo timore reverenziale. Uccidono senza onore, ma per qualche motivo muoiono come eroi. Ed incantano.
Dall’inizio della serie si susseguono a ritmo serrato eventi che ruotano intorno ad una feroce guerra di potere che non prevede limiti né esclusione di colpi. Don Pietro e sua moglie Imma, a capo del clan originario, trasformano un erede un po’ tonto in una macchina da guerra mandandolo in Honduras ad affettare indigeni col machete; vengono traditi, imprigionati, uccisi, scavalcati, minacciati, assediati. La lotta per la piazza di spaccio è una partita a scacchi; bisogna sempre essere due mosse avanti all’avversario, per vincere. Ed il malanimo tra i rivali è palpabile e perenne. Gli abitanti del quartiere si muovono assonnati sullo sfondo, tra omicidi e regolamenti di conti; osservano impassibili i propri figli adolescenti venire fagocitati da questa enorme macchina del crimine, alla quale sono, anzi, grati per il lavoro ed il benessere che offre, dimostrando che si dismette perfino il sentimento naturale della paura quando ci si convince che la sola alternativa al mattatoio è stare dalla parte del macellaio. I clan si scindono, cambiano gli equilibri, è una continua gara per il potere fatta di colpi bassi e sottili o enormi ricatti. Vince il più furbo, chi si nasconde meglio, chi inganna meglio. Per quanto oscene e terrificanti siano le azioni che perpetrano questi personaggi (Malammore, braccio destro di Don Pietro, nella seconda stagione uccide con un colpo di pistola la figlia bambina del rivale Ciro Di Marzio), le circostanze narrative riescono a conferirgli un’inevitabilità che le nobilita sempre. Uomini “d’onore” e donne in grado di reggere sulle spalle l’orrore di un mestiere che richiede quella totale mancanza di coscienza spesso confusa dalla collettività con la forza di carattere; tutto ha un suo tempo, un suo posto, un suo innegabile, incredibile fascino. Tutto questo è il male, e lascia a noi la sensazione di vederlo dall’interno e l’ebbrezza di trovare, in fondo e senza dirlo ad alta voce, comprensibili le sue ragioni.
La serie evento prodotta da Sky è giunta alla sua terza stagione, ed è più forte che mai: l’anteprima cinematografica dello scorso 14 e 15 novembre ha fruttato 500.000 euro di incasso.
Dalla 21.15 del 17 novembre Gomorra è di nuovo su Sky Atlantic: la storia ricomincia dalla morte di Don Pietro, ucciso da Ciro Di Marzio alla fine della seconda stagione, e dalla ricerca del colpevole e della persona che gli ha armato la mano.
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