«L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto» Johann Wolfgang von Goethe
«La verità è nel fondo del pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è né sole né luna, c’è la verità» Leonardo Sciascia
È disponibile in libreria e negli store online Virità, femminile singolare-plurale di Giusy Sciacca, pag. 224, Edizioni Kalòs, Collana Fili e trame.
Il libro è una raccolta di racconti scritti in forma autobiografica dall’autrice che dà voce a venti donne siciliane che non aspettano altro che essere ascoltate e comprese fornendo al lettore una loro verità sugli accadimenti delle loro vite. Prese in toto le verità sono molteplici e superano i confini della Sicilia per farsi universali nel comune sentire. Attraverso le affascinanti storie narrate che cavalcano secoli di storia, condizione sociale, lingua, tradizioni culturali e religiose, la potente forza della verità si fa strada ed è pronta ad illuminare il nostro futuro. Giusy Sciacca consegna nelle mani del lettore un libro colto, raffinato e scritto con rara maestria perché riesce a coniugare le verità storiche con l’immaginazione, la puntuale ricerca dei caratteri peculiari delle protagoniste con la fascinazione delle parole, l’introspezione delle figure narrate con la sensibilità e l’empatia della stessa scrittrice. Ma chi sono queste donne e perché le loro storie affascinano ancora?
Una frase di Gesualdo Bufalino, cambiando opportunamente la parola Sicilia con donna può fornire qualche indizio sulle protagoniste presenti nel libro: «Vi è una Sicilia mite fino a sembrare stupida, una furba dedita alle più utilitarie pratiche, una frenetica, una che si estranea nell’angolino della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale, una che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio…». E nel libro infatti troviamo eretiche e peccatrici, sante e dee, regnanti e nobildonne, artiste e letterate e donne di scienza ma tutte pervase da una forza interiore che le spinge alla teatralità delle loro azioni. Alcune sono note altre meno e proprio queste stuzzicano la curiosità del lettore. Della baronessa di Carini, grazie alla tanta e troppa letteratura prodotta su questo personaggio conosciamo quasi tutto anche se Giusy Sciacca riesce a trovare parole nuove e commoventi per descrivere le sue passioni. E Costanza di Altavilla o Santa Lucia. Ma chi sono Damarete di Agrigento, Joana Reyna, Maria Pizzuto Cammarata, Bint Muhammad Ibn Abbad? L’autrice ci rende partecipi delle loro vite che diventano tessere di un mosaico delle nostre vite. Ecco come la stessa scrittrice ci spiega le sue scelte narrative: «Di queste donne ho cercato di interpretare il sentire, ciò che non hanno detto o non è stato sufficientemente ascoltato. No n hanno mai parlato cos’ o non era stato permesso loro di parlare in alcuni precisi momenti. Adesso, sì». Noi di Mydreams abbiamo avuto il piacere di intervistare Giusy Sciacca.
Quando ha sentito prepotente il richiamo della scrittura?
«Già da piccola trascorrevo ore a inventare storie. Poi, di fatto, ho iniziato in casa giocando con una vecchia Olivetti Lettera 32 verde, la macchina da scrivere di mio padre. Di recente ho ritrovato fogli ingialliti con mie storielle battute maldestramente a macchina. Avrò avuto circa 9 anni. La cosa bella è che quella macchina da scrivere l’ho fatta restaurare e oggi è nel soggiorno di casa mia».
Quali sono i suoi autori di riferimento?
«Ho studiato lingue e letterature straniere, tra i maestri della letteratura internazionale la lista sarebbe veramente lunga. Sicuramente tra tutti Virginia Woolf per la profondità con cui riesce a raccontare l’individuo e la sua scrittura. Ho amato molto la letteratura tedesca da Goethe a Christa Wolf e molti altri. Leggo molta narrativa italiana, adoro Nadia Terranova, per esempio. Ci sono delle scrittrici che ho citato nella mia introduzione alle quali sono debitrice: Marinella Fiume per lo straordinario lavoro di ricerca sulle donne che ha condotto negli anni, a Maria Rosa Cutrufelli per la letteratura militante e a Silvana Grasso per l’uso di una lingua ardente e a volte persino feroce».
Cosa rappresenta per lei la Sicilia e saprebbe definire con un numero ridotto di aggettivi il concetto di sicilianità?
«La sicilianità nel mio specifico caso è consapevolezza e circolarità. Sono cosciente e orgogliosa di essere nata in una terra meravigliosa. Circolarità perché nel mio andare e tornare continuo la Sicilia mi permette di moltiplicare la specificità della sua bellezza in universalità di contenuti».
La sua ultima fatica letteraria si intitola Virità, femminile singolare-plurale. Quali motivazioni l’hanno spinta a scrivere questo libro? Come è strutturato e perché questo titolo intrigante?
«Grazie, il titolo è una scelta importante. “Virità” è un termine in dialetto siciliano descritto subito dopo nel sottotitolo: è “femminile singolare plurale”. Tutto il volume ruota attorno al concetto di verità, spesso parziale e molteplice. Esiste quella singolare di ogni protagonista e plurale del coro di tutte le donne unite dal filo della sorellanza attraverso il tempo e i contesti socio-culturali. Le mie donne sono tutte di nascita siciliana, per questo le ho omaggiate, e ho omaggiato la mia Isola, con una parola in siciliano che può essere facilmente compreso anche da chi siciliano non è. Per quanto riguarda la struttura, era necessario dare un’armonia in qualche modo ed ecco che il libro è diviso in 5 sezioni con i racconti di quattro personaggi ognuno: dee e sante, regnanti e nobildonne, eretiche e peccatrici, innovatrici e rivoluzionarie, e infine artiste, letterate e donne di scienza».
Nel libro si narra di venti donne che, attraverso lei, prendono la parola per raccontare la propria verità. Con quali criteri ha selezionato le protagoniste?
«Il libro è frutto di un lungo percorso di ricerca storiografica che mi ha fatto scoprire profili di donne affascinanti sotto ogni profilo. Delle venti donne di “Virità”, fin troppo poche rispetto a quelle che ho approfondito, alcune mi stavano a cuore da sempre, di altre mi sono innamorata strada facendo. Ma sono quelle ho sentito sicuramente più vicine in questo momento».
Quale di esse ha comportato una maggiore difficoltà di scrittura e reperimento di notizie?
«Bella domanda, già. Il percorso di ricerca di cui parlavo ha anche dovuto fare i conti con la pandemia e l’impossibilità di recarmi personalmente negli archivi siciliani e in quelli di Napoli perché alcune vicende si sviluppano proprio lì sotto il Regno delle Due Sicilie. Il caso che mi ha impegnata maggiormente è stato comunque quello di Maria Pizzuto Cammarata. Ho coinvolto il sindaco di Piana degli Albanesi, Rosario Petta, la responsabile della biblioteca e dell’anagrafe e archivio civile. Loro hanno cercato per me e ci sentivamo quasi tutti i giorni al telefono. Avevo solo un nome e un cognome: Maria Cammarata, guida delle Fascianti che parlò al primo congresso di Palermo nel maggio del 1893. All’inizio erano scettici perché Cammarata non è un cognome del luogo, ma ho insistito molto covando anche il dubbio che quello potesse essere il cognome da spostata. Nel caso delle ricerche storiografiche sulle donne, per esempio, la difficoltà è maggiore perché assenti da molti alberi genealogici e perché il cognome acquisito dopo il matrimonio non agevola le ricerche. Ebbene, dopo varie ricerche abbiamo infine scoperto che a Piana proprio in quegli anni si stabilì una famiglia di contadini, quella di Paolo, che sposò una Maria nata Pizzuto. Gli archivi hanno riconsegnato la loro presenza a Piana degli Albanesi solo in quegli anni. Quel giorno al telefono mi sono commossa perché Maria, la mia Maria Cammarata era tornata alla luce. Questa volta però con il suo nome: Maria Pizzuto Cammarata».
Quale donna l’ha affascinata di più e perché?
«Farei un torto a sceglierne solo una. Le ho amate tutte. È stato uno scambio reciproco entrando e uscendo da ognuna di loro. Personalità complesse, determinate, coraggiose e consapevoli anche quando hanno adottato un comportamento non del tutto esemplare. Tra le venti ci sono una criminale (con le sue ragioni!), avventuriere e un esorcista».
Pensa che dal suo libro si possa ricavare un testo teatrale?
«Sì. Il primo nero su bianco è stato un pezzo teatrale, quello di Peppa la Cannoniera. Poi da lì ho sentito che avevo bisogno di spaziare, di corredare, di ampliare tutto l’impianto e trasformarlo in narrazione. È per questo che Virità è un libro di narrativa atipico. È un’operazione culturale. È un ardito esperimento tra saggistica godibile, narrativa e drammaturgia. Sinceramente, mi auguro di poter assistere alle mie protagoniste parlare in carne e ossa».
Quali donne del ‘900, non solo siciliane, meriterebbero una maggiore attenzione per il contributo dato all’ emancipazione femminile?
«Moltissime. Dalle artiste, sempre dimenticate, alle donne che hanno lottato contro la mafia e il sistema. Non solo nomi che abbiamo già sentito in qualche modo, ma le anonime, quelle “nessuno” che vivono spesso battaglie di proporzioni titaniche nel completo silenzio. Non è solo per l’emancipazione che si lotta ancora. Anche ma non solo. Ritengo si debba lottare innanzitutto per la consapevolezza di ciò che si è e di ciò che ci circonda. Solo una solida consapevolezza può essere motore per una vera e concreta emancipazione».
Quali, secondo lei, le cause dei femminicidi e le soluzioni per arginare questo inquietante fenomeno?
«L’altro giorno avevo in mano il numero zero della rivista “Effe” (sono una collezionista di riviste e materiale sull’argomento), un vero cimelio. Uscì nel febbraio del 1973 e vuole indovinare quale fosse uno degli argomenti? Proprio la violenza sulle donne e il femminicidio. In Virità una delle voci è proprio quella della Baronessa di Carini, il femminicidio siciliano forse più antico, più romanzato e più conosciuto in Italia e all’estero. Lei urla al suo carnefice, il padre, mentre ha ancora il coltello conficcato su un fianco. La causa è la rabbia, l’ignoranza, la virilità incontrollata che non ammette confronti e rifiuti.La responsabilità è di un sistema che, per quanto oggi più conscio, continua ad avallare le forme di violenza a ogni livello, perché ricordiamoci che il femminicidio è la punta di iceberg fatto di violenze subdole e taciute. Le soluzioni mi piacerebbe tanto averle e divulgarle, ma per adesso ciò che possiamo fare è usare un mezzo importantissimo: la comunicazione. Parlare e denunciare. Uscire dalla menzogna del mondo fatato è già una buona strada verso la soluzione. Spero».