C’è stato un tempo, nemmeno troppo lontano, dove Giorgia aveva preso le distanze dalla sua voce. 25 anni di successi, vari Sanremo vinti e persi, incontri speciali (su tutti Alex Baroni e Pino Daniele che oggi non ci sono più) le hanno fatto guadagnare il titolo di voce più bella d’Italia. Oggi Giorgia si riappropria del suo passato, quello delle canzoni del cuore, e lo riversa in un disco prodotto con Michele Canova (Ferro, Carboni, Jovanotti) dal titolo Pop Heart che arriva oggi nei negozi. 15 brani di altri da Ramazzotti a Vasco, con incursioni nel pop straniero come Whitney Houston, Donna Summer e Rihanna addirittura.
Cosa volevi proporre con questo disco?
«Le canzoni sono strade che portano al cuore, passando dalla mente. Ma io credo che per raggiungere davvero le persone non si debba cantare con grandi pensieri. Un po’ di istinto va bene e non mi faccio più problemi su cosa voglio essere. Qui ci ho messo il cuore e ho fatto il disco come volevo io».
Perché dici di aver ritrovato e fatto pace con te e la tua voce?
«Ho attraversato tutte le fasi, compresa quella di quando volevo far capire che oltre la vocalità ero molto concentrata sulla musica, su quello che c’è attorno. Oggi penso di essere felice di essere una cantante apprezzata, la voce è cambiata ed è cresciuta e mi sta bene così. Le canzoni che ho toccato sono solo una parte di quelle che avrei voluto scegliere. Spesso sono loro ad aver scelto me».
Quali hai scartato?
«Una di Laura Pausini e una dei Duran Duran. A malincuore perché mi piacevano molto ma non erano adatte a me. Magari per un secondo volume…».
Conosci molti degli autori che canti. Come fai a superare la timidezza di rifarli a modo tuo?
«Vero, ci si deve sempre accostare con timidezza ma a me non intimidisce la persona che l’ha scritta, ma come è la canzone. Ci sono dei pezzi che sono davvero dei monumenti. E rifarli nel modo giusto è stata la sfida più interessante».
Cosa pensi dell’autotune?
«Prima ero contro in maniera assoluta. Pensavo: se mio padre scopre una cosa del genere si arrabbia, perché io sono cresciuta in un contesto dove la musica era sacra ed era altra cosa. Le grandi voci soul, la purezza. Ma poi il mio produttore mi ha fatto capire che per arrivare a quella freschezza del suono della voce a cui ci siamo abituati è necessario a volte ricorrere a questi aiuti».
Sei figlia del tuo tempo?
«Come lo è mio figlio che ha 8 anni e ascolta Gemitaiz e Fibra. Però non ho messo molto degli anni 90 in questo disco proprio perché in quel decennio ero io a lavorare molto e quindi mi sentivo dall’altra parte. Il mio tempo da ascoltatrice ha perso la spontaneità e la libertà da quando sono diventata poi cantante. Fino al 1992 mi innamoravo liberamente di alcune canzoni, poi ho iniziato a capire i meccanismi, la produzione, cosa c’è dietro».