Beh dal titolo non possiamo che attenderci un suono di visioni alcoliche anche forti di quel singolo tanto ben recensito come “La vanvera” che tempo fa girava parecchio nelle pieghe discografiche. Eppure questo nuovo disco di Ginez e il Bulbo della Ventola sa anche come variare le carte in tavola anche grazie alla lunga schiera di nuove ingredienti musicali e firme artigiane che vi invitiamo a scoprire tra i crediti di produzione. La famiglia si allarga e con essa anche nuove soluzioni che sfociano anche dentro il pop più classico di voci corali e incisi quadrati. E la voce di Ginez, tra noie di debiti da pagare e modi dal fascino di antiche letterature, è una costante teatrale dentro un disco che, sicuramente questa volta, ha dalla sua una forte ispirazione.
Siamo sempre affascinati alla contaminazione che un disco di inediti porta con se. E questo lavoro non sembra ligure ne italiano per molti aspetti. Cosa hai raccolto nel tuo percorso?
L’ intenzione era di fare un disco ricco di riferimenti musicalmente intineranti. Infatti, la prima impressione che abbiamo avuto terminato il disco era come se ogni brano rappresentasse un luogo diverso.
La mia impressione, forse assai superficiale, è che dentro “Sambuca sunrise” ci sia molta spiritualità o comunque moltissima dimensione dell’uomo “nudo”, privo di maschere. Che ne pensi?
Se la percezione che suscita è questa direi che siamo soddisfatti. La parte primaria del nostro lavoro è quella di esprimere nella maniera più sincera e naturale la nostra anima. Quando poi lavoriamo sugli arrangiamenti e sulla produzione, cerchiamo di mantenerci fedeli a questo principio senza creare forzature o soluzioni scontate.
Ed è forse per questa ragione che spesso le soluzioni ricercano colori bBalcanici?
Non so, a volte quando si scrive una canzone senti già dentro alla tua testa una direzione musicale che il brano sta chiedendo in completa autonomia. Difficile poi andare in una direzione contraria.
E poi c’è anche il pop rock che sinceramente – ci accodiamo molti – sembra quasi stonare con il tuo taglio di voce. Non trovi? Ovviamente parlo di gran come “Ho visto gente” ad esempio…
Si certo, brani come “Memorie di un poeta” o “È qui” sono certamente al di fuori della mia zona di confort. Come ho già detto in altre interviste noi, essendo completamente indipendenti e autoprodotti, abbiamo il vantaggio di poter sperimentare cose senza dover rendere conto a nessuno. Mi sembra corretto a volte rischiare delle cose, in nome della sincerità.
Luci e ombre. Questo disco ha messo in mostra più luci o più ombre?
L’ombra per venire allo scoperto ha bisogno della luce. Senza la luce l’ombra non esisterebbe.
Riscriveresti qualcosa col senno di poi?
Un disco è la fotografia di un momento. In ogni cosa che abbiamo fatto e che oggi riascolto trovo delle cose che vorrei rifare. Però non ha senso, quello che un disco rappresenta è quello che tu eri nel preciso momento in cui lo hai fatto.